Capitolo 8

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In un usuale stato di coscienza, l'individuo è consapevole di se stesso, delle proprie azioni e della realtà intorno a lui.
Al contrario, in uno stato di incoscienza, tutto intorno diventa confuso, amalgamato, i suoni si fanno ovattati, la vista si offusca, le azioni sembrano svolgersi più lentamente rispetto a quanto invece avvenga e ci si sente al di fuori del momento che si sta vivendo, spettatori passivi.

Martina si sentiva così.

Il cuore le batteva molto rapidamente, ma respirava a fatica. Alexandre cercava di scuoterla, risvegliarla delicatamente, ma il suo sguardo era vuoto e la sua mente non riusciva a smettere di pensare ad una singola cosa: aveva contribuito alla strage di Épernon.
Aveva assecondato la morte di un ragazzo.
Aveva ucciso Jacques.
Aveva contribuito alla strage di Épernon.
Queste frasi, le accuse che indirizzava lei stessa, continuavano a rimbombare nella sua testa come un tamburo.
Ad ogni cadenzante tam tam la gola le si seccava ulteriormente, le mani le tremavano più forti e si sentiva sempre più piccola.
Il petto si gonfiava e sembrava esplodere fuori dal vestito stretto sul busto.
I capelli sembravano tirare.
Le mani sembravano seccarsi.

Sua madre, la Regina, era confusa, agitata, continuava a chiedere spiegazioni. Il tono della sua voce era alto e tramante, ma a Martina, in quel momento, sembra solamente un sussulto.
Dietro di lei, la famiglia reale spagnola restava in silenzio.
Carlos aveva lo sguardo incredulo fisso sulla futura sposa, così come Francisco.
Re Felipe, invece, sembrava particolarmente interessato alla reazione del re francese. Si mordicchiava l'interno della guancia, aspettando una reazione del sovrano.

«Mary, smettila.» il Re aspramente zittì sua moglie.
La freddezza e determinazione negli ordini di suo padre nei confronti di sua madre, risvegliò Martina come una secchiata di acqua gelata.
Mary fulminò suo marito con uno sguardo e schiuse le labbra, esterrefatta. Per un secondo tutti si aspettarono una reazione ma, probabilmente, che ci fosse qualcosa sotto.
Non osò proferire parola.

«Vieni qui» Francis prese delicatamente ma con decisione il braccio della figlia.
«Vogliate scusarci, ma dobbiamo capire cosa sia successo e fare ordine.
Ci diamo appuntamento a cena?»

«Certo, Sua Maestà.» Francisco precedette suo padre nella risposta di fronte all'educata proposta del Re.
Martina non osò incrociare il suo sguardo e si fece guidare da suo padre lontano.

***
«Che cosa sta succedendo, Francis? Perché sembrate saperlo tutti tranne me? Esigo delle spiegazioni immediate.» esclamò la Regina.
Mary era visibilmente preoccupata, tesa, ma allo stesso tempo anche spazientita.
«Esigo sapere perché un fanciullo è morto tra le braccia di mia figlia.»

«Ho contribuito alla strage di Épernon.
Ho assecondato la morte di un ragazzo.
Ho ucciso Jacques.
Ho contribuito alla strage di Épernon.» sussurrò la Principessa, dando finalmente voce ai suoi pensieri ridondanti.

«Lui..Lui era sopravvissuto alla strage?» domandò Mary incredula. «Da quanto lo sapevate? Chi lo sapeva?» chiese dopo qualche secondo, portando le mani sul viso. Era un piccolo gesto che si lasciava sfuggire quando sentiva di aver perso il controllo della situazione, quando la sentiva gravare su di se' e Martina lo sapeva bene.
Alexandre prese la parola, lasciando andare la sorella, che aveva sorretto fino a quell'istante.
Martina sprofondò sulla sedia accanto a se', facendosi piccola e fissando insistentemente le sue mani, senza trovare la forza di sollevare il suo sguardo.
Nonostante il Delfino fosse consapevole della sua autorevolezza ed importanza, nutriva grandissima stima e rispetto nei confronti di sua madre. Era propenso a scavalcare suo padre, ma con sua madre non avrebbe mai osato.

«Lo sappiamo da due giorni. È arrivato con nostro padre. Ne siamo a conoscenza solo io, papà, Martina e il Dottor Van Nick.» spiegò.

«E Francisco.» aggiunse il Re.

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