7: Peccati speculari

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7. Peccati speculari1


Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio.
(Ebrei 13:4)



Hogwarts, 4 aprile 1000 d.C.

Salazar,
In tutta la mia intera esistenza (un po' frammentata, ma che è esistita) non vi ho mai domandato niente. Anche quando vi siete detto disposto ad aiutarmi a fuggire di qui, fare perdere le tracce mie e di Helena, che ancora non era nata, ho preferito tacere. Anche se, andare via di qui?
L'avrei voluto tanto, non immaginate quanto. Scappare in qualunque parte del mondo, anche da sola, non trovarmi più nemmeno io? Ve lo immaginate, Salazar?
Godric sarebbe impazzito, e anche io. E mio padre e mio fratello, poi, ve li vedete a cercarmi in ogni landa desolata dell'esistenza pur di ritrovarmi?
A volte, la loro prematura scomparsa penso sia stata un bene, non avrebbero resistito nel sapermi qui, rinchiusa nelle mie stanze, con lui a farmi da padrone e voi che non ci siete. Non avrebbero mai potuto pensare che, dopo essermi unita a voi per la fondazione della scuola, a casa non vi avrei mai più fatto ritorno.
Che era finito il tempo dei giochi, dei capelli sciolti sulle spalle e dei sogni riguardo un matrimonio: io, ho giurato, la donna di qualcuno non la sarò mai. Mai fodera di un pugnale o anello per un dito, potrà pensare di avermi, Lord Grifondoro, per scoprire che ha provato a comprendere solamente un frammento minuscolo della mia mente quando, tutto il resto, gli rimane ignoto.
L'avrei voluto, farmi conoscere da lui, un anello al dito e il fodero per la sua spada, un giorno? Non lo so, Salazar, a volte penso di sì.
Altre volte mi sveglio e mi rendo semplicemente conto che, il prezzo da pagare, per me sarebbe stato immensamente alto. E, allora, un po' invidio Tosca.
Oh, lo so, una smorfia vi avrà deformato il viso: non la invidio per quel che pensate, ma per la semplicità con cui ama e desidera essere amata. A volte, penso che i miei genitori avessero fatto bene i propri calcoli: sarei potuta essere Lady Serpeverde, e vestire dei vostri colori e indossare il vostro anello e, allora, l'anima si sarebbe alleggerita. E Tosca con Godric, sono due sciocchi che amano con semplicità e, allora, che si amino tra di loro.
Avreste voluto, voi, avermi per sempre al vostro fianco? In un tempo che non ho mai rimpianto, credo, l'ho pensato. Ma è sbiadito, Tosca ancora non era diventata donna (la più piccola di noi, la più agguerrita) e non vi aveva stregato, come temo abbia fatto in seguito. È tutto sbiadito, anche io. Voi non potete saperlo – siete scappato: fate sempre così, voi, andate via senza avvisare. Ma Tosca, che moglie non è, vi insegue. Io, che moglie sarei potuta divenire, attendo con pazienza e tesso trame, intreccio orditi in silenzio.
Ma sono sbiadita per davvero. Neri gli occhi, nera l'anima, ma forse un po' slavata su pergamena umida di lacrime.
Vorrei che tornaste, mio signore. Godric mi ha fatta rinchiudere nelle mie stanze e, così, la mia unica speranza siete divenuto voi: è buffo, penserete, che la mia unica speranza sia una persona che è sparita nel nulla.
Farei prima a scrivervi che non l'ho, una speranza, che è tutto sepolto, rovinato, che è tutto finito. Che sono nascosta, dimenticata, perduta.
Vorrei che tornaste indietro, Salazar, vi prego. Liberatemi da lui, per favore, e vi sarò grata in eterno. Se me lo chiederete di nuovo, vi sposerò. Tutto quello che mi chiederete, e anche di più, ma liberatemi da Godric.

Sempre serva vostra,
Corinna

***
Castel Paterno (Viterbo), 2 giugno 1000 d.C.

Tosca l'osserva, corrucciata: ha il vestito stracciato lungo l'orlo, sfilacciato come i suoi pensieri, e le braccia strette sotto il seno. Salazar non glielo dirà mai, ma la teme più in questo momento che in tutta la sua esistenza, a osservarlo senza fiato e con le mani che tremano.
«Voi» lo apostrofa, percorrendo la stanza che li separa a grandi passi. «Voi, voi, voi...!».
Non ha il coraggio per insultarlo, e quelle maledizioni le strozzano la gola, ma Tosca ha gli occhi pieni di lacrime mentre affonda nel suo petto, picchiandolo con il pugno chiuso. Salazar le stringe le mani, con una dolcezza che non prova, avvicinando il proprio volto a quello di lei.
«Come vi siete permesso» sussurra lei, abbassando lo sguardo. «Lasciare tutto, sparire nel nulla, e costringermi a venire a cercarvi!».
Salazar le sfiora i capelli, tirandoli appena, come per farla rinsavire da quei pensieri che le agitano confusamente il cranio. «Io non vi ho costretta» sussurra, piano. «Siete voi che mi avete inseguito per mezzo universo, Tosca».
Ha detto il suo nome, facendole tremare le ginocchia, così che lei è costretta a inspirare profondamente e aggrapparsi al suo petto. È pallida, come se quel viaggio senza fine le avesse drenato ogni energia, e Salazar la stringe, tenendola per la vita, la testa di lei contro il suo petto. Sta piangendo.
«Non piangete» la rimbrotta, asciugandole rudemente una lacrima dal volto. «Non vi voglio vedere piangere».
Lei lo guarda e ha gli occhi azzurri liquidi come mare, e a lui si stringe qualcosa al centro esatto del petto, dove vi è il medaglione (e, forse, il cuore).
«Non fatemi piangere, allora» risponde lei, che è ancora aggrappata a lui. «Spero che almeno abbiate trovato quello che cercavate, così ne sarà valsa la pena, di farmi piangere per voi».
Lui è sommerso da un'ondata di frustrazione, al pensiero della pietra filosofale che sfuma come sogno e svanisce nelle tombe di Bisanzio, in silenzio. Ma, ancora una volta, questo a Tosca non riesce a dirlo.
«Torniamo al castello, domani» commenta Salazar, piano. «Saluteremo il re, di mattina, e ci Smaterializzeremo ad Hogwarts».
«Saremo felici anche così» sussurra Tosca, sfiorandogli la fronte con la propria. «Ve lo prometto».
Salazar la guarda e, dentro, sta tremando più di lei che ha le mani strette sul suo mantello, altrimenti sarebbero scosse dal medesimo tremore.
«Non smetterò di cercare, mia signora» risponde, atono. «Non potete mutare la natura di una persona, la sua essenza e la mia...».
Lei sospira. «La vostra è fatta per vivere attraverso i secoli» commenta, con la stessa cadenza. «Lo so, cerco di non dimenticarlo mai».
Salazar la guarda, Tosca ha ancora gli occhi lucidi, e lui non riesce a trattenersi dal chinarsi su di lei e sfiorare le sue labbra con le proprie.
***
Hogwarts, 3 giugno 1000 d.C.

Una pezza sulla fronte, dolcemente adagiata sul calore che emerge nelle tenebre come pensiero sfilacciato, una mano che spinge indietro i capelli. Godric respira piano, come se fosse dolorosa anche solamente quell'azione così semplice ed elementare, facendole salire le lacrime agli occhi.
Emma gli deterge sudore e stanchezza dal viso, dolcemente, come se bastasse a farlo risvegliare. Ma non basta, non basta mai.
«Mio signore» lo chiama, lei, sfiorandogli la fronte come una piuma di un angelo. «Vi prego, dovete svegliarvi».
Perché Corinna Corvonero è ancora priva di bacchetta, nessuno sa dove Lord Godric Grifondoro l'abbia nascosta, ma s'aggira per il castello con aria tronfia e orgogliosa. La caccerà da un giorno all'altro, ne è certa, e silenziosamente la Lady di Corvonero sembra pronta a sbranarla come un leone che aggredisce la propria preda. Un leone dorato.
Perché Corinna Corvonero è pronta a balzare e a dilaniare la gola della sua prossima preda e, questa volta, la preda è lei. Ed Emma trema e attende che la porta si apra, facendo entrare un turbine di gonne blu notte e l'espressione determinata della donna che più odia al mondo.
«Io non so come fare, senza di voi» sussurra, immergendo la pezza in un catino pieno d'acqua gelida. «Non so come fare a rimanere qui, se voi non trovate la forza di svegliarvi».
Edward Gaunt passa a portarle i pasti, due volte al giorno, e la guarda con un misto di comprensione e pietà che mal sopporta. Le porta un ninnolo, un regalino, insieme al vassoio: una volta un nastro per capelli, una volta un fiore di campo, una volta un bigliettino.
«Godric, vi prego» ripete, sfiorandosi il capo biondo, dove un nuovo nastro – blu – fa la sua comparsa. «Non lasciate che vinca lei, non questa volta».
Edward Gaunt la sta corteggiando, pensa distrattamente, lei, una prostituta troppo pagata che s'è aggirata per un castello come ne fosse la padrona.
E, adesso, Corinna Corvonero è risorta dalle proprie ceneri e, la sera, la si sente ridere nelle proprie stanze come se stesse maledicendo – se non l'ha già fatto – qualcuno.
«Il veleno è l'arma dell'astuzia, mia cara» sorride Corinna Corvonero, dalla soglia della porta. «Ed evidentemente il vostro signore non lo era abbastanza, astuto, per sopravvivere».
A Emma si seccano le parole in gola, facendola tentennare, di fronte allo sguardo d'ossidiana di Lady Corvonero.
Corinna la guarda ed è dura come acciaio, mentre alza la mano e le unghie rigano il legno della porta, in un suono spiacevole, facendo rabbrividire la ragazza che la guarda – priva di parole, priva di speranze – con il panico negli occhi.
«Badate a voi» le impone Corinna, con durezza. «Per ora mi servite, d'altronde non merita che io gli conceda di morire. Ma quando tornerà Salazar...».
Lascia in sospeso la frase, sorridendo dolcemente. Emma si sente svanire, lentamente, di fronte agli occhi chiusi di Godric Grifondoro.
***
Castel Paterno (Viterbo), 3 giugno 1000 d.C.

«Sono lieto che vi siate ricongiunto con vostra moglie, mio signore» re Ottone sorride, i capelli scuri gli incorniciano il viso un po' pallido.
Tosca pensa, distrattamente, che il re addormentato nella montagna aveva ragione: grandi avvenimenti sconvolgeranno il mondo dei Babbani – e i sovrani possono morire di malattia ogni giorno – ma Salazar non vi prenderà parte. Non oggi.
Grandi guerre sconvolgeranno l'Impero quando la malattia dell'imperatore lo priverà, ma Salazar non combatterà, non annegherà nel sangue e non permetterà a Godric di cantare vittoria sul suo corpo esamine. Non oggi, ma nemmeno domani, o il giorno dopo ancora.
Tosca si china in una riverenza, rispettosa, mostrando al sovrano la testa piena di capelli dorati. Elegante, nonostante l'abito stracciato, le maniche ancora sporche di terra congelata e l'orlo sfilacciato. Sempre regina, priva di corona, e Salazar l'osserva ammirato.
È questa, la donna che ha scelto (no, che si è imposta) d'avere accanto, è questa la donna che l'ama con tutta sé stessa.
Controvoglia, Salazar s'inchina, mentre la sua mente vaga per le lande sperdute dei suoi pensieri. Controvoglia, Salazar pensa e pensa a Corinna, mentre la sua lettera gli ustiona la gamba, nascosta dal mantello.
L'ha ricevuta, settimane fa, e per giorni ne ha ignorato il contenuto: sono suppliche di donna che, a lui, non interesseranno mai. Corinna piange e invoca aiuto ma, gli strumenti per salvarsi da sola, li ha tutti quanti – o, almeno, così Salazar ha pensato finché non s'è costretto ad aprire la busta, rompendone la ceralacca blu con un corvo impresso sopra, e ha letto la missiva di Lady Corvonero. Lì, ha compreso.
Che Corinna, se solamente ne avesse la possibilità, si salverebbe da sola: ma Godric, che di coraggio ha solamente un'ombra che dissimula l'anima del codardo, non ha trovato modo onorevole d'affrontarla se non privarla della sua essenza, la magia e magari anche l'anima immortale, e l'ha fatta isolare nelle proprie stanze. Salazar stringe le labbra, a quel pensiero, la bocca piegata in una smorfia scontenta.
Sono legati, in qualche modo che ancora non riesce a comprendere, lui e lei, forse in una maniera più antica e viscerale di quanto non lo siano lui e Tosca. Sono i più anziani dei quattro, i più saggi, forse, rispetto alla gioiosa vitalità di Godric e all'ingenuo amore di Lady Tassorosso. E, soprattutto, in una vita che gli altri due non possono conoscere, i loro genitori hanno tramato, intessuto e intrigato per farli sposare – ci sono quasi riusciti: Lady Corvonero conserva ancora le carte del fidanzamento, l'anello, ricorda ancora le promesse?
Salazar non lo sa. Ma, nel fondo profondissimo del proprio cuore bugiardo, teme proprio di sì: Corinna non dimentica, e il fidanzamento con lui è quello che le serve per mandare via Godric per sempre dalla propria vita.
«Anche io sono lieto di essermi ricongiunto con lei» biascica, rivolto al re, le parole faticano ad uscire. «Vi ringraziamo per la vostra ospitalità: è stato un lungo viaggio, per entrambi».
L'ultima parola la pronuncia con astio inaspettato, facendo fremere Tosca dall'ansia d'averlo deluso, ma Salazar scuote il capo e le stringe il braccio, facendole rialzare la schiena con fierezza. Sei sempre una regina, vorrebbe ricordarle, alza la schiena.
«Vorrei chiedervi una cortesia, Lord Serpeverde» tossisce il re, guardandolo con occhi pieni di speranza. «Se non vi è di troppo disturbo».
Senza attendere una risposta – d'altronde, Salazar gli deve la propria riconoscenza – il sovrano fa cenno verso un angolo della stanza. Da lì, fa la propria comparsa un bambino di circa quattro o cinque anni, che ballonzola verso di loro sulle gambette paffute.
Tosca sorride, si chinerebbe verso di lui sorridendo, se solamente Salazar non ne tenesse saldamente il braccio.
«Un bambino?» domanda, incuriosito. «Spiegatemi, mio re. Perché così credo che la mia intelligenza, da sola, non possa bastare».
«Tornerete nel vostro castello, adesso?» domanda Ottone di Sassonia, che conosce la risposta e non aspetta la conferma da parte di Salazar, che ha ancora la lettera di Corinna ad ustionargli la pelle. «Vorrei che portaste questo bambino con voi».
Salazar spalanca gli occhi verdi, di fronte a quella richiesta, e osserva con curiosità l'infante. Il bambino gli restituisce uno sguardo scuro, un sorriso sfrontato e interessante, e scuote la testa di fitti riccioli neri con fare accattivante.
«Ma...» interviene Tosca, è più forte di lei, quella curiosità, per riuscire a trattenersi. «Perché?».
Ottone III ride, forte, facendo tremare le pareti: per un momento, quella risata, le ricorda Godric in una profonda fitta di nostalgia.
«Si tratta di mio figlio» spiega il re, piano. È chiaro a tutti e tre, che quel bambino sia uno dei figli segreti del re. «Ed è il primo, nella mia famiglia, che mostra segni di magia».
«Il bambino è ancora piccolo, per apprendere le arti magiche» commenta Salazar, atono. «Perché dovreste volerlo portato via adesso?».
Il re sospira, in un suono che gli raschia spiacevolmente la gola, facendolo tossire e costringendolo a portarsi un fazzoletto ricamato alla bocca.
«Non penso mi rimanga molto da vivere, mio signore» commenta, piano. «Sono sempre più stanco, di questa vita, e penso basterebbe un qualunque malanno a catapultarmi via da questo mondo».
Tosca sa.
Carlo Magno gliel'ha rivelato in un sussurro ghiacciato, che ad Ottone di Sassonia non resta poi molto da vivere. Due anni, ha sussurrato il re congelato nella montagna, mentre lei si stava già Smaterializzando, e Ottone di Sassonia sarà solamente l'ennesimo nome perso in una storia di suoi eguali – un re sepolto, addormentato, dimenticato.
E Salazar con lui, se solamente lei non avesse deciso di salvarlo.
«Non posso crescere vostro figlio» risponde Salazar, con disgusto. «Non avete nessuno cui lasciarlo?».
Il re scuote il capo, lentamente. «Certo che no» tossisce, piano. «Un mago, Lord Serpeverde? Lo metterebbero al rogo alla prima magia involontaria: siamo in pochi, uomini così appassionati alle vostre magie».
«Oh, Salazar» interviene Tosca, sorprendendoli entrambi. «Non possiamo proprio portarlo con noi?».
Salazar la guarda, strabuzzando gli occhi, e si deve trattenere dallo scrollarla di fronte al sovrano e domandarle se non sia per caso ammattita.
«Certo che no» la rimbrotta, aspramente. «Abbiamo già un figlio a cui badare, Tosca, cosa ce ne facciamo di un altro bambino? Così piccolo, per di più».
Pronuncia la parola figlio come fosse un insulto, contraendo le labbra come se stesse ingerendo qualcosa di terribilmente aspro.
Ma Tosca sorride, luminosa, e gli posa le mani sul braccio. È incredibile come quella donna riesca a sorridergli in quel modo, come fosse l'unico uomo in quella stanza o, almeno, lei riuscisse a vedere solamente lui.
«Edward è già un uomo, marito» sussurra, dolcemente. «Promesso sposo alla piccola Helena, presto non sarà più con noi, e a me piacerebbe tanto badare a un bambino, dato che noi... non possiamo averne di altri».
La menzogna le scivola dalle labbra, priva di dolcezza, accompagnate da uno sguardo leggermente corrucciato che, però, vede solamente Salazar.
E se ne dispiace, ma non riesce nemmeno a dirle che non possono, che l'esperienza disastrosa di Corinna Corvonero insegna che le donne non sposate – e lui non la sposerà mai – non sono fatte per macchiarsi e sporcarsi d'una gravidanza innascondibile, incelabile.
«Sarei onorato, se vostra moglie crescesse questo bambino come fosse vostro» ammette il sovrano, piano. «Siete una donna di rara dolcezza, Lady Tosca».
Lei arrossisce per il complimento, mentre guarda Salazar con aria supplicante, tirandogli leggermente la manica sinistra, come farebbe una bambina.
«Vi prego» sussurra, come se fossero soli in quella sala. «Accordatemi questo piacere, se in qualche modo tenete ancora a me».
Salazar sospira. Pensa che Tosca, quella sera, quando scoprirà del motivo per cui lui s'è finalmente deciso a tornare a Hogwarts, avrà davvero tanto da perdonargli. E tanto vale cominciare a invocare il suo perdono da quel momento.
«E sia» concede, sbuffando. «Porteremo il bambino con noi, vostra maestà. E vi assicuro che mia moglie lo tratterà in maniera adeguata al suo rango, lei... è stupidamente materna, specialmente con i figli non suoi».
L'avrebbe voluto, un figlio, da lei?
Salazar osserva Tosca che si china e tende la propria mano – piccola, infantile – verso il figlio del sovrano, che immediatamente si fida e gli offre la propria. Tosca si rialza, stringendo la manina dell'infante, sorridendo contenta.
Sì, l'avrebbe voluto, ma non ha avuto mai il coraggio di chiederle se per lei fosse lo stesso, né ha mai avuto la forza necessaria di rovinarla oltre il possibile, oltre il concepibile, oltre il sopportabile.
«Vi ringrazio, mio signore» tossisce il sovrano, piano. «Vi sarò eternamente grato per tutto ciò. Il nome del bambino è il barone di Bl...».
Uno sfogo di tosse lo sorprende, troncando a metà il nome di suo figlio, mentre Salazar l'osserva con aria disgustata.
«Non m'interessa come si chiama quel maledetto1 bambino» sibila, piano. «Vi farò scrivere da mia moglie, se siete interessato ai suoi progressi».
«Oh, sì» trilla Tosca, entusiasta. «Vi scriveremo ogni settimana, ve lo prometto».
Il re non riesce nemmeno a ringraziarla, perché Salazar alza gli occhi al cielo, stringe la presa sul braccio di Tosca e muove un passo in avanti, facendoli scomparire nel nulla.
***
Hogwarts, 3 giugno 1000 d.C.

«Siete tornato».
Corinna lo guarda e ha gli occhi così persi dal sembrare irriconoscibile, sgranati su un volto d'una magrezza affilata, invasati e impazziti su onice calcarea.
Osserva Salazar con delusione, come se si aspettasse di vederlo tornare secoli prima ma, la sua lettera, ha giaciuto non aperta per un mese nella tasca di Lord Serpeverde. E lei questo non lo sa, ma lo sospetta, e la riempie d'ira silenziosa.
Salazar la guarda e, con la velocità di un battito di ciglia, estrae la bacchetta. «Crucio» sibila, gli occhi illuminati dal lampo emanato dall'incantesimo. «E che vi sia da lezione, mia signora».
Tosca, al suo fianco, spalanca la bocca e un grido muto le scuote l'anima, mentre Corinna prova a rialzarsi – con tutta la dignità di cui è capace, ma fallendo – con le lacrime agli occhi.
«Perché?» sussurra, appassionatamente, stringendosi il busto con le mani. «Pensavo che avreste capito, almeno voi».
«Cosa avete fatto, Corinna?» la chiama per nome, Tosca, spaventata. «Per farvi rinchiudere da Godric in quattro mura?».
Serpeverde scuote il capo, osserva Lady Corvonero con schifo, quasi, mentre le porge un braccio per aiutarla a rialzarsi. «Ve lo dico io» sibila, serpentino. «Conosco molto bene i pensieri e le azioni della vostra amica, Lady Tosca: veleno. E io vi avevo già detto, Lady Corvonero, che non vi avrei aiutata se aveste usato con ingenuità il vostro rinomato ingegno».
Corinna sussulta, alzandosi a fatica dal pavimento, e osserva ora Tosca e ora Salazar con gli occhi pieni di lacrime.
«Voi che avreste fatto?» sussurra, sistemando una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Lord Grifondoro era divenuto ingestibile, Salazar».
Serpeverde la guarda, e la voglia di lanciarle un'altra Cruciatus è tanta, così stringe la bacchetta e occhieggia a Lady Corinna con aria stanca, stremata.
Vorrebbe schiaffeggiarla, farle male come un uomo a una donna, ma si trattiene: Salazar non è Godric, non s'imporrebbe mai su Corinna in quanto donna, ma può farlo su di lei in quanto strega. Godric la teme come strega, più che come donna, mentre Salazar, al contrario, teme esattamente il suo essere intimamente donna.
«E per questo decidete di essere stupida come la prostituta che tanto odiate?» sibila, contrariato. «Ragionate, Corinna, prima di agire: la fretta dell'ira è la vostra cattiva consigliera. La vendetta va sempre servita fredda».
Lei china il capo, Salazar l'ha colpita in un punto che le duole infinitamente: il fatto che Godric, che lei ha sempre giudicato essere uno sciocco, ha scoperto il suo piano e l'ha sventato in un battito di ciglia. E lei è stata stupida, questo sì, ed ingenua – colpe che la macchiano più di quanto non l'abbia macchiata e sporcata, a suo tempo, la nascita di Helena.
«Mi dispiace» Corinna Corvonero, l'orgogliosa Corinna Corvonero, china il capo e una lacrima le sventra il volto. «Io... pensavo che sareste stato fiero di me».
Lui alza il sopracciglio. «Pensavo aveste ancora una dignità, Corinna, da usare» commenta, acido. «Alzate la testa, non voglio mai più vedervi china in quel modo davanti a qualcuno».
Corinna lo guarda e vorrebbe solamente sciogliersi in un mare di lacrime, ma alza il capo con aria altera, facendolo sorridere: per un momento, controluce, gl'è parsa ancora la giovane di belle speranze che avrebbe dovuto sposare, tempo addietro, e ha desiderato averlo fatto – ma avrebbe perso Tosca e, allora, quel desiderio s'è infranto in un secondo di consapevolezza.
Tosca che lo guarda, scontenta, e gli tira la manica, reclamandone l'attenzione. «E la lasciate andare così?» commenta, con aria turbata. «Lord Salazar, ha avvelenato vostro figlio e Godric... Merlino, Godric! Non dovremmo andare a trovarlo?».
Ma lo sguardo di Salazar è acciaio puro, mentre le prende la mano e lentamente la stacca dalla propria manica, con freddezza. Tosca gli restituisce lo sguardo, disorientata, la bocca aperta su una domanda che non riesce a pronunciare – e le è chiaro, in un frammento d'istante, che in qualche modo che lei non comprende, Salazar sa.
«Potreste andare voi, a trovarlo» commenta lui, piccato. «So che tenete molto, a lui, mia signora. O, a quanto ne so, non solamente mia».
«Cosa...» sussurra, lei, con gli occhi spalancati su quelle parole dure. «Cosa intendete?».
Salazar le sfiora il viso, con una mano, ciocche di capelli biondi che gli si incastrano tra le dita e lei che sospira, sotto quel tocco, come se le stesse sfiorando l'anima più pura. Lui le sfiora le labbra con le proprie – e Corinna freme, si stringe il vestito con le mani, perché? – e, quando s'allontana, scopre che lei ha già gli occhi pieni di lacrime. Ha compreso.
«Mi dispiace» sussurra. «Non avrei dovuto, ma voi...».
«Io vi sono sempre stato fedele, nonostante tutto» sibila lui, scacciando quelle lacrime con i pollici. «Mentre voi... siete venuta a cercarmi per mezzo universo conosciuto dall'uomo, e forse anche in nell'altra metà, per cosa, Tosca?».
«Perché io vi amo» sussurra Lady Tassorosso, che ormai piange deliberatamente. «E potete anche accusarmi ed essere arrabbiato con me, ma lo sapete che è così».
«Potevate rimanere con Lord Grifondoro, Tosca» risponde lui, chiamandola nuovamente per nome e facendole tremare le gambe. «Non ve ne avrei fatto una colpa».
«Non l'avrei mai fatto» risponde lei, atona. «Io vi amo».
«Tenete a freno i vostri pensieri, allora, se volete nascondermi qualcosa: io non vi avrei mai scoperta, altrimenti» la rimbrotta lui, con la stessa inflessione. «Avrei voluto non doverlo fare mai».
«Nemmeno io» sibila Corinna. Sta tremando per l'ira, il suo peccato peggiore, quello che ne annebbia l'ingegno e la rende ingenua, frangibile. «Pensavo foste mia amica».
«Non è come pensate» sussurra Tosca, voltandosi di scatto nella sua direzione. «Ve lo giuro, Corinna, io...».
«Tacete!» le impone Lady Corinna, in un soffio. «Io non mi aspettavo una cosa del genere da voi, Tosca. Una nobildonna come voi, una lady che si comporta da puttana».
L'insulto fa tremare tutti quanti, come un'onda d'urto. Salazar, istintivamente, punta la bacchetta contro la sua promessa sposa, facendola tremare – ha già assaggiato la potenza di quella maledizione, la conosce, e sa quanto dolore riesca a causarle fin dentro le ossa.
«Basta così, mia signora» sibila, piano. «Non aggiungete altro. Conosco i vostri pensieri, e sono offensivi quanto le vostre azioni, e non posso permettervi di insultare...».
«La vostra puttana» completa Corinna, atona. «I rapporti tra noi sono chiari, mio signore: non sono diversa da lei, è vero, ma almeno io non tento di portarvi via».
Salazar alza il sopracciglio, con aria divertita. «Ah, davvero?» domanda, ironicamente. «Non costringetemi a far leggere a Lady Tosca la vostra lettera, Corinna, speravo preservaste ancora un minimo di dignità».
«Una lettera?» sussurra Tosca, perplessa. «Perché non mi avete detto di aver ricevuto una lettera?».
Salazar sospira, le getta tra le braccia un foglio di pergamena arrotolato. «Leggetela pure» le comanda. «E fatevi due risate».
Tosca prende la lettera e non ne comprende il senso, il significato. Scorre la grafia elegante di Lady Corvonero più volte, prima lentamente e poi velocemente, ma è come se quelle parole le ballassero davanti agli occhi, stordendola. O, forse, semplicemente è che il suo cuore si rifiuta di comprendere quelle parole e allora guarda Salazar, spaesata.
«Cosa dice?» sussurra, con le lacrime agli occhi. «Promessi sposi? Io pensavo che il contratto fosse stato reciso».
Salazar sospira, le porge il proprio braccio. «Venite» sussurra. «Vorrei che ne parlassimo in un posto più isolato, io... non vi ho nascosto niente, sono impegni presi dai miei defunti genitori, non da me».
Tosca annuisce, si lascia guidare lungo il corridoio, ma i passi di Corinna li seguono, furiosi, come una lenta litania.
«Non osate, Lord Salazar» strilla, Lady Corvonero, fermandosi a pochi passi da loro. «Io non vi lascio disonorare i patti sacri... abbiamo preso il nostro tempo, entrambi. Vi chiedo di onorare la promessa».
Salazar scoppia a ridere, si volta per guardare negli occhi quella donna, con una durezza che è intoccabile, ma percepibile.
«Avete una figlia che non è mia, Lady Corinna, siete pazza per un uomo che avete cercato di avvelenare» commenta, calmo. «Avete vissuto scandalosamente con lui per anni, di fronte ai miei stessi occhi. Cosa volete che io vi dica? Che vi sposerò?».
«Avete dato la vostra parola a mio padre, Lord Salazar» risponde lei, cocciuta. «E io non dimentico».
Salazar sospira, esasperato. «Non è me che volete, Corinna» risponde, tra i denti. «Abbiamo avuto il nostro tempo, ma non ha funzionato: voi non siete fatta per il matrimonio, e nemmeno io».
Lei sospira, gioca con l'anello che porta al dito – l'anello di fidanzamento, uno zaffiro azzurro come il mare, non ha mai smesso di indossarlo.
«Ho bisogno del vostro aiuto» ammette. «Godric esigerà la mia testa, mio signore, lo sapete anche voi».
Lo sguardo di Salazar s'addolcisce leggermente. «L'avrete» risponde, conciliante. «Ma adesso, mi farete la cortesia di andare nelle vostre stanze e non farvi vedere fino a domani sera a cena: inizio a essere stanco di voi».
Lei annuisce e si volta, con obbedienza, pronta a dirigersi compostamente nelle proprie stanze.
«Corinna?» la chiama Salazar, con il riso nella voce. «Avete tentato di uccidere mio figlio, non solamente Godric vorrà la vostra bella testolina».
«Anche voi?» domanda Lady Corvonero, perplessa. «Pensavo...».
«Anche lei» risponde Godric, indicando Tosca con la testa.
***
Tosca passeggia per la stanza di Godric, con lui che pacificamente dorme nel suo letto e non si sveglia mai, con aria distratta. Salazar le ha parlato, ha giurato che ogni patto (anche sacro) può essere infranto e che lui non ha intenzione di cedere e sposare Lady Corinna.
Lei ha accusato il colpo e s'è rinchiusa in ostinato mutismo, preferendo il silenzio di Godric alle parole – ancora irate – di Salazar. Così vaga per quella stanza, mentre Emma continua a detergergli la fronte e il viso, troppo intimorita da Tosca – così piccola, ma così imponente – per rivolgerle la parola.
«State qui ogni giorno?» le domanda, osservandole. «Tutti i giorni?».
La ragazza annuisce, spaventata. «Ogni tanto Harold viene a darmi una mano» sussurra. «E anche Edward».
Nel sentire il nome del figlio di Salazar, il volto di Tosca s'addolcisce in un sorriso. «Siete una brava ragazza» commenta. «Lady Corinna viene mai?».
«A volte» ammette Emma, piano. «Guarda se è sveglio e va via, io... temo possa volerlo morto, mia signora».
«Se dovesse venire nuovamente» risponde Tosca, calma. «Ditele di non permettersi di mettere più piede qua dentro e, se dovesse dire qualcosa, ditele che è un mio ordine. E che lei non vuole conoscere la mia ira».
Emma annuisce, le scappa un sorriso pieno di gioia e vorrebbe ringraziare quella lady, così dolce, ma Tosca la interrompe nuovamente.
«Lasciatemi sola con lui qualche momento, vi dispiace?» sussurra, piano. «E andate a dire ad Harold che mi aspetto che, la notte, faccia la guardia alla porta».
Emma annuisce, correndo via dalla stanza.
Tosca sospira, sedendosi sulla sedia di fronte al letto di Godric, e sfiorandogli la fronte madida di sudore.
Godric respira piano, sommerso dai propri incubi, ma ad aprire gli occhi non riesce, continua ad agitarsi nel letto e vorrebbe urlare, ma ha perso l'uso della voce.
«Mi dispiace così tanto» sussurra, lei, prendendo la pezza e detergendogli la fronte dal sudore. «Se non fossi andata a cercare Salazar, tutto questo non sarebbe mai successo».
Godric respira più profondamente, come se avesse recepito quelle parole, ma Tosca non si fa illusioni: Corinna non ha detto a nessuno che tipo di veleno ha usato, trovare l'antidoto non è semplice, e Salazar si rifiuta di collaborare.
Chiuso nella sua stanza, Salazar sperimenta e crea, cose che Tosca non ha idea di cosa siano. E allora lei tace e attende, mentre una voragine – il contratto di matrimonio con Corinna – le si scava lentamente dentro.
«Vorrei che vi svegliaste, Godric» sussurra Tosca, sfiorandogli la fronte con le dita nude. «E che non la deste vinta a Corinna in questo modo».
Le ciglia di Godric tremano, lui si volta verso di lei e non si sveglia.


Bentornati sui miei schermi!
Ricordo che il prossimo aggiornamento sarà il 31 gennaio.
Le note:


1Godric la lussuria, Corinna l'ira. Torneremo presto su questo punto.

A presto!

Gaia

Il racconto della reginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora