3. L'asso di coppe
Udii poi una gran voce dal tempio che diceva ai sette angeli: «Andate e versate sulla terra le sette coppe dell'ira di Dio»
(Apocalisse, 16,1)
Hogwarts, 13 gennaio 1000 d.C.
Salazar ha cercato, ricercato, provato, fatto esperimenti e celato, nascosto tutto quanto a Lady Tassorosso, ma non è riuscito a comprendere la magia oscura che dovrebbe permeare la corona del defunto imperatore.
Ne ha esplorato la storia, incisa sulle pietre preziose che la decorano, ne ha sfiorato gli smeraldi e, con una punta di cieco disgusto, i rubini. Senza cavarne niente. Perché non risponde a niente, a nessuno stimolo, la corona rimane cieca e muta, preservando i propri segreti nell'oro freddo e silenzioso. La odia, quasi come fosse una persona, mentre cerca di comprenderne il funzionamento.
Non è un mistero, l'ha letto in ogni cronaca magica che gli sia capitata tra le mani, che Carlo Magno si fosse avvalso della magia per sconfiggere i Longobardi, prima, e i Sassoni in seguito: e Salazar lo sa, lo sente nelle ossa, che le battaglie non si vincono con l'amore e tutto quello che Tosca Tassorosso ha sempre sostenuto. Le battaglie si vincono con l'oscurità, con incantesimi potenti e con astuzia e determinazione: l'amore serve alle donne, le ha risposto una volta, non ai guerrieri – eppure, Grifondoro sembra tenere l'opinione di Lady Tosca in gran considerazione.
E Salazar potrebbe pugnalarsi con una delle punte di quella dannata corona, pur di non dover dire a lei ch'aveva ragione, che a Carlo Magno era servito amore e giustizia, più che astuzia. Se solamente fosse in grado di cedere, si dice, posando l'ennesimo tomo sulla pila di quelli che ha già letto: se lo fosse, direbbe a Lady Tosca che aveva maledettamente ragione, e che risvegliare il re dei Franchi era stato solamente uno spreco di tempo.
«La cena sta per essere servita» la voce di quella dannata donna lo fa sobbalzare. «Siete ancora a giocare con quel vostro aggeggio?».
Lui sospira, voltandosi a fronteggiare quella smorfia scocciata che le squarcia il viso a metà. «Dovete smetterla di entrare qui come se queste stanze vi appartenessero» la rimbrotta. «E non sto giocando, sto cercando di disseppellire la conoscenza».
«Non sarebbe la prima cosa che riesumate» commenta Tosca, con ironia. «Ma adesso dovete scendere in Sala Grande e insegnare qualcosa ai vostri studenti. Quindi, per cortesia, lasciate perdere la corona».
Salazar sospira, di fronte a quello sguardo di ghiaccio che l'attraversa come l'ennesimo temporale che potrà mai inzuppargli le ossa. «Non capisco come facciate a costringermi sempre ad accontentarvi» commenta, porgendole il braccio. «Siete voi, quella che pratica la magia oscura».
Lei ride, spianando le labbra sottili sui denti di un bianco innaturale, e posando la propria mano sul suo braccio. «Non mi avreste mai lasciata sola con Lady Corinna e Lord Godric» commenta. «Sarebbe stato crudele, da parte vostra».
Salazar non risponde. Per un momento, la sua coscienza gli rimanda le altre cose crudeli che ha fatto subire a quella donna impossibile – un figlio segreto che piange, tra le braccia di un Elfo domestico, un tradimento avvenuto non per noia ma per vendetta – e si domanda con che forza, Tosca Tassorosso, riesca a sorridergli e a perdonare ogni volta.
Ma lei lo fa, perché gli sfiora la spalla con il capo e, allora, Salazar può vivere nella dolorosa certezza che lo perdonerà anche per tutto ciò che deve ancora compiere. Così sospira, lui, e si trattiene dallo sfiorare quei capelli biondissimi con i propri, neri, e contaminarla anche così con la propria oscurità.
«Stanno ancora litigando?» domanda, cercando di recuperare il proprio contegno. «Lady Corinna sa essere ostinata, oltre il limite della propria proverbiale saggezza».
Tosca sorride, getta uno sguardo strano, incomprensibile, alla corona imperiale. «Anche voi lo siete» mormora. «Ma immagino lo abbiate capito anche voi, non è vero?».
Salazar pensa, si scava il cervello per comprendere come Lady Tassorosso sia potuta arrivare a una simile conclusione, su che basi scientifiche possa affermare che ... - «Che è l'amore, Lord Salazar, e non l'oscurità a guidare le decisioni del mondo».
Lui sospira, esausto, ha una delusione nello sguardo che potrebbe sconvolgere qualcuno meno saldo di Lady Tassorosso.
«Capisco» mormora, atono. «Le persone come voi sono e saranno sempre più numerose di quelle come me».
«Non è un male» risponde lei, carezzandogli il braccio. «Anche se a volte vorrei che foste come me. Mi fareste soffrire drammaticamente di meno, Lord Salazar».
Perché con Helena Corvonero vive un bambino perduto, un bambino dimenticato da entrambi i genitori, con un nome che a stento ricorda e che suo padre non pronuncia mai. Ed è quella la macchia peggiore nella storia di Salazar Serpeverde, l'azione più nefasta ch'abbia mai potuto compiere e, guardando lo sguardo a volte triste di Lady Tosca, se ne rende conto perfino lui.
L'ha fatta soffrire così tante volte da non riuscire più a enumerarle, e questo lei glielo dice con una malinconica dolcezza tale da farlo tremare.
«Aspettate» le impone, sfilando quella mano fragile, minuscola, dal proprio braccio. «Devo dirvi due parole, se non vi dispiace».
Tosca sta tremando, ha gli occhi lucidi di una consapevolezza che stona con tutte le promesse che gli ha strappato e, in quel momento, quasi non riesce più a crederci che quel momento sia giunto.
«Io devo andare via di qui, mia signora» le confessa, con semplicità. «Ci sono mondi che devo esplorare, oggetti magici che devo studiare. E tutto questo è...».
«Per la vostra stupida rivalità con Lord Godric» sibila lei, le mani strette tra di loro per non farle tremare. «Non potreste cercare di vivere in armonia?».
Ma Salazar scuote il capo, calmo. «Io sono destinato a vivere per sempre» le ricorda. «Devo trovare qualcosa che mi permetta di farlo».
Tosca sospira, una lacrima le riga il volto. «Vi prego» sussurra. «Non potete semplicemente andar via».
Ma lui sorride, ha la bacchetta tra le mani, con un colpetto silenzioso la rivolge verso la corona che, in un istante, si fonde. L'oro liquido si rimodella, insieme alle gemme, il velluto rosso sparisce in una nube di fumo.
Quando Salazar rimette a posto la bacchetta, della corona di Carlo Magno non rimane altro che una coppa minuscola, con lo stemma di Tassorosso inciso sopra.
«Prendetela» sussurra. «Me la ridarete quando tornerò indietro».
Ma Tosca ormai piange apertamente. «Come se foste fatto per tornare indietro» sussurra, prendendo la coppa in mano. «Ma non pensate che non verrò a cercarvi»
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Il racconto della regina
Hayran Kurgu[Tosca/Salazar, Godric/Corinna, accenni futuri di Helena/Barone | Long-fic] Il ghiaccio è crepato, all'orizzonte, crepato e imperfetto su un orizzonte nascente, e riflette la luce del sole. Da lontano, sembra di essere nuovamente sulle scogliere nor...