2. Le ossa del sovrano
Perché cercate tra le tombe colui che è vivo?
(Vangelo di Luca, 24:4)
Hogwarts, 25 dicembre 999 d. C.
Godric ama il Natale, almeno quanto Corinna lo detesta.
Tosca ama il Natale, almeno quanto Salazar lo detesta.
«Dovete sempre essere così impudicamente felice?» domanda Corinna, con un filo d'invidia, mentre Lady Tassorosso fischietta un motivetto popolare con aria svagata. «Non vi sentite mai stanca di tutti questi festeggiamenti?».
Tosca ride, ha i capelli biondissimi legati un'acconciatura elegante, con un ciuffo ribelle che continua a carezzarle dolcemente la guancia. «Certo che no» ribatte, con ovvietà. «Chi potrebbe mai stancarsi di una festa?».
Corinna tace e non proferisce verbo ma lei, delle feste, si stanca ancor prima che esse siano cominciate: e ha qualcosa nel petto che duole – impudicamente, come ha detto del sorriso di Lady Tassorosso – nell'osservare una montagna di riccioli d'oro brunito che danza con qualunque dama gli si presenti davanti.
Non sente di aver nemmeno la voglia necessaria per guardarlo con il rimprovero che sicuramente merita, poiché perfino Lady Tosca – solitamente timida e remissiva – si lascia convincere da Lord Godric a danzare con lui, prima, e con un imbronciato Lord Salazar, dopo. E lei li guarda e ha quella fitta nel petto, che le suggerisce il perché odi così tanto quella festa simil-pagana, di una religione che loro condividono solamente in parte1, ed è il sentore di mancanza che essa porta con sé. La leggenda, tristemente reale, di un re unto e incoronato ormai cent'anni prima, morto nella solitudine della malattia – un venticinque dicembre: perché festeggiare solamente morte e distruzione?
Ma Lord Grifondoro sorride a ogni dama che gli presti uno sguardo o un sorriso, e lei non riesce a trovare la gioia, nella rinascita del nuovo anno, non riesce a vedervi quel senso di felicità spassionata di Lady Tosca.
«Lady Corinna, dovreste godervi la serata» le suggerisce la Tassorosso, con dolcezza. «Non guardate tutti quanti con quel broncio, sono sicura che prima o poi Lord Godric vi inviterà a danzare con lui».
Lady Corvonero alza gli occhi al cielo, sul soffitto trapuntato di stelle, limpido, inghiottendo una risposta sarcastica.
«Non credo di avere voglia di danzare, Lady Tosca» risponde, atona. «Quindi direi di no a qualunque sua offerta».
«Voi state morendo dalla voglia di danzare con lui» commenta la bionda, con aria complice. «Anche se non lo ammetterete mai».
«Voi quando ammetterete che non è con Lord Godric che vorreste danzare?» borbotta Lady Corvonero. «Smettetela di guardarlo in quel modo».
Lady Tassorosso china il capo, imbarazzata, e una lunga ciocca di capelli biondi le accarezza il viso arrossato. «Io non lo guardo» sussurra, in maniera talmente colpevole da non crederci lei stessa. «Ma sarebbe bello, se anche Lord Salazar decidesse di partecipare alla festa».
Corinna sorride, gettando un'occhiata in tralice all'uomo, seduto al proprio tavolo, con un'aria corrucciata e pensierosa. Salazar Serpeverde osserva la folla di studenti danzanti con disgusto, torcendosi le mani e, in lui, è evidente quel disgusto esistenziale verso il Natale.
Dalla Norvegia, Lord Salazar è tornato cambiato: come se un'onda di gelo l'avesse investito, deformandolo, ghiacciandogli l'anima oltre la sfera del solito e del possibile, perfino oltre quella del comprensibile. E, sebbene Lord Godric si sia preservato com'è sempre stato e come lo sarà fino alla notte dei tempi, Lord Serpeverde è illuminato da luce nuova – e nuovamente spettrale.
Tosca lo sa, lo sente nelle ossa come una premonizione, che non si tratta solamente della pietra filosofale, che Salazar sta covando qualcosa di ben più complesso e incomprensibile di strani intrugli alchemici. Ma, di fronte a quel sorriso che Lord Serpeverde si lascia sfuggire guardando il medaglione rilucente sul petto, sopra il cuore, lei non ha idea di cosa si tratti.
«Lo state facendo di nuovo» commenta Lady Corinna, con aria rassegnata. «Andate a sedervi con lui, lo state guardando in maniera indecente».
Tosca ride, ma accoglie il consiglio di Lady Corvonero, avvicinandosi al tavolo dove Salazar continua a giocherellare con il proprio medaglione, e lasciandosi scivolare al proprio posto con aria fintamente stanca.
«La risposta è no» la interrompe Lord Serpeverde, ancora prima che lei possa proferire verbo. «Non ho alcuna intenzione di invitarvi a danzare una seconda volta, Lady Tosca, quindi salvate la dignità e non chiedetemelo».
Lei ride, ma è un suono che scampanella falsamente persino alle sue orecchie, costringendole la bocca in una smorfia insoddisfatta. «Non ve lo avrei mai chiesto» risponde, con sincerità: avrebbe aspettato che si fosse deciso – per esasperazione – a invitarla lui. «Ma mi dispiaceva vedervi qui da solo».
Salazar pensa distrattamente che Tosca Tassorosso sia troppo buona, per quel pianeta fatto di sterili inganni e tristi manipolazioni ma, a lei, questo non lo dice mai. Ma si fa sfuggire un sorriso, che lei ricambia prontamente, facendolo sbuffare divertito.
Assomiglia a una bambina, Tosca, una bambina che s'è appena imbarcata nella scoperta del mondo, senza sapere che è piatto e inutile come l'ennesimo foglio di pergamena.
«Vi annoierete, qui seduta» commenta, atona. «E sprechereste il vostro bel vestito... sono sicuro che Lord Godric abbia una maggiore propensione della mia, per le feste».
Lei ride e non si sbilancia, ma lo guarda con quegli occhi dolorosamente azzurri spalancati, costringendolo a concentrarsi su qualunque altra cosa che non sia il suo volto.
«Sono un po' stanca» ammette, con leggerezza. «Temo di aver messo delle scarpette non troppo comode: mi farà bene, rimanere seduta per un po'».
Lui pensa che Lady Tassorosso sia terribilmente furba, troppo per la sua sanità mentale, e scuote il capo, disorientato, mentre lei si sfila le calzature da sotto il tavolo, tirando un sospiro di sollievo.
«Cercate di non farvi vedere da Lady Corinna» l'ammonisce, con finta severità. «O griderà allo scandalo».
«Farò attenzione» commenta Lady Tosca, ridendo. «Starete attento anche voi? Potete promettermelo?».
Salazar la guarda, domandandosi quanto possa aver decifrato i suoi piani, e maledicendola perché Tosca Tassorosso riesce a sentirlo più di quanto non sappia fare lui stesso – e tutto ciò non fa altro che disorientarlo ancora di più, facendogli sbriciolare la terra sotto i piedi.
Lui sa di non poter promettere – non l'ha mai fatto in vita sua – ma crede di essere in grado di mentire, e allora la guarda negli occhi e sorride.
«Ma certo» sussurra, mellifluo. «Ve lo prometto».
***
«Danzate con me».
Godric le tende la mano, con la sicurezza assoluta che lei la prenderà ma, quando incontra lo sguardo duro di Lady Corinna, realizza con orrore che quella mano rimarrà vuota e sola. Anche per quella volta. Perché lei lo guarda e non è solamente stanca, ma è divorata da intestina delusione che le mastica le ossa.
Perché lei sospira, e sembra che non abbia più abbastanza fiato per maledirlo, per mandarlo via, e allora le sono rimasti solamente quegli sguardi – incomprensibili – che Godric non sa come sostenere.
«Non guardatemi così» le sussurra, chinando il capo. «Io... non volevo ferirvi, se è per questo che...».
Gli mancano le parole: come definire uno sguardo privo di parole, privo di fatti, che però sembra potergli snudare l'anima in un fiume di silenziosi sussurri?
Lady Corvonero sbuffa, le mani elegantemente giunte sulla gonna blu del proprio abito, e abbassa quegli occhi insostenibili. «Ditemelo voi, allora» sibila, con aria scontenta. «Come altro dovrei guardarvi».
Lui non ha il coraggio di chiederle con amore, o quantomeno con quel briciolo di affetto che è convinto di essersi meritato, così tace e si ritrova a fissare il pavimento, come se su di esso potessero esservi scritte le risposte adatte per quella donna dallo sguardo liquido di accuse.
«Pensavo sareste stata contenta» ammette, a disagio. «Del mio invito, voi... siete stata seduta con Salazar per tutta la serata. Ho pensato che vi sareste sentita da sola, e poi... avrei voluto ballare solo con voi».
Corinna Corvonero ride, in un suono squarciato orribilmente simile a quello di Salazar, che fa venire i brividi. «Con me?» domanda, atona. «E con tutte le altre?».
Lui sospira, prendendo posto accanto a lei, sulla propria sedia, di fianco a Salazar immerso in una fitta conversazione con Lady Tassorosso. «Si tratta di questo, dunque?» le domanda, sinceramente interessato. «Siete ancora arrabbiata con me per quella sciocca discussione?».
«Voi mi date sempre un motivo nuovo per essere arrabbiata con voi» commenta Lady Corvonero, atona. «A partire dal fatto che, se veramente eravate talmente desideroso di danzare con me, avreste potuto chiedermelo prima».
Godric sospira. La Norvegia, in qualche modo che non riesce a comprendere, ha cambiato anche lui, facendogli acquisire una pazienza e una tranquillità tutta nuova. È la passione per la caccia, e il corvo è l'animale maggiormente difficile da catturare.
Vola in alto, Lady Corinna, così in alto che è difficile scorgerne il colore nero-blu delle piume. Ma, quando il cielo diviene tempesta, è costretta a planare sul terreno: è in quel momento che lui le tende la mano, certo che lei la prenderà, e danzate con me.
Ma, questa volta, semplicemente non funziona: perché Corinna Corvonero è troppo orgogliosa per rifugiarsi nella sua mano, nella sua pelle, per non inzupparsi le piume di tempesta.
«Avrei dovuto» ammette Godric, chinando il capo. «Ma la parte migliore della festa è la mezzanotte, e volevo invitarvi per allora. Quindi, per favore, danzate con me».
Lei sbuffa, come se la sua fosse una dolorosa concessione, e fa scivolare la propria mano nell'incavo del braccio di lui.
Godric sorride, e copre la sua mano con la propria, guidandola fino al centro della Sala Grande, sotto lo sguardo divertito di Lady Tosca.
«Helena sarà stata dispiaciuta di non potere partecipare» commenta lui, guidandola nei passi della danza, con tono casuale. «So che le piacciono molto, le feste».
Corinna si trattiene dal rispondergli che, probabilmente, è anche l'unica informazione che ricorda di quella figlia cresciuta da lei soltanto, ma sorride lievemente e scuote il capo, con aria severa.
«Dopo cena, Helena deve andare a letto» risponde, con ovvietà. «E questo lo sa bene: le regole sono regole».
Lui ride, mostrandole i denti bianchissimi. «Le regole sono noiose» risponde. «Specialmente le vostre».
«Se voi foste capace di rispettarle, forse andremmo maggiormente d'accordo» commenta lei, piccata. «E invece devo tollerare la vostra presenza, prima, e quella della vostra squallida amante, poi».
Lord Grifondoro si lascia sfuggire un sospiro pieno di esasperazione, mentre l'avvicina a sé con uno sguardo carico di promesse, cui lei si sottrae voltando lievemente la testa.
«Voi mi farete ammattire, mia signora» commenta, con quella sua risata tonante. «Lasciate perdere la povera Emma, cosa volete che conti?».
Corinna Corvonero lo guarda, e ha gli occhi così neri da sembrare liquidi, lo guarda come se per davvero potesse togliergli la pelle solamente con quell'occhiata.
«Conta per me» risponde, seria. «Ma non basta comunque per farvi cambiare idea, non è vero?».
Lui sorride, tristemente. «No, non mi basta, voi...» sospira. «Continuereste comunque a sfuggirmi, quindi non posso permettervi di cacciar via Emma».
«Non ho bisogno del vostro permesso, sapete?» insinua lei, in un sibilo. «Potrei semplicemente chiedere a Lord Salazar di farla sparire. Non me lo negherebbe, e voi lo sapete».
«Non lo fareste mai» risponde Godric, affilando lo sguardo. «Siete troppo buona per coinvolgere Lord Serpeverde nei nostri bisticci».
Ma, nel profondo della propria anima, nemmeno lui ne è così sicuro: perché Lady Corvonero ride, spianando la bocca piena, e si allontana da lui appena la musica smette di suonare. I rintocchi della mezzanotte sono quasi lenti, rispetto a quelli del cuore di Lord Grifondoro, mentre la osserva allontanarsi a grandi passi e tornare a sedere al suo posto.
Lui la segue – come potrebbe fare altrimenti? – rimanendo in piedi dietro di lei.
«Voi non potete averlo fatto» sussurra, sfiorandole l'acconciatura severa in cui la stretto i capelli nerissimi. «Non ne siete in grado».
«Non siate presuntuoso, mio signore: cosa potete saperne, voi, di cosa sono in grado di fare?» risponde Lady Corinna, placidamente. «Mi è quasi dispiaciuto, vederla piangere in quel modo. Ha detto di amarvi, ve lo immaginate?».
A Godric mancano le parole, di fronte a quella dichiarazione, così rimane ad ascoltare quella risata leggera, disorientata.
«Una cosina minuscola, quella donna» continua lei, piena di disprezzo. «Mandarla via le ha spezzato il cuore, ha detto. Come se lei non ne avesse spezzati di ben più importanti».
Lord Grifondoro muove un passo indietro, barcollando.
«Cosa siete diventata?» sussurra.
Ma lei non risponde.
***
Castel Sant'Angelo, 1 gennaio 1000 d. C.
«Maestà, un forestiero chiede di vedervi» l'araldo s'inchina di fronte al proprio re, timoroso dell'annuncio che è costretto a compiere. «Dice di chiamarsi Lord Salazar, e voi lo stavate aspettando».
Ottone di Sassonia osserva il proprio servitore, gli occhi scuri rilucenti d'eccitazione, mentre si sistema la corona sul capo e raddrizza maggiormente la schiena. «Presto, fatelo entrare» comanda. «Cosa stavate aspettando?».
Salazar Serpeverde entra a grandi passi nella sala delle udienze, un cappuccio nero a coprire i capelli ben più scuri, e gli occhi verdi rilucenti come gemme. S'inchina, di malavoglia – perché inchinarsi di fronte a un indegno Babbano? – e, quando finalmente gl'è concesso guardare negli occhi il sovrano, ha un sorriso che inquieta.
«Vostra Maestà» sibila, a capo chino. «Vi ringrazio per avermi concesso udienza: è stato un lungo viaggio, quello compiuto per vedervi».
«Alzatevi, amico mio» risponde il monarca, con un ampio gesto del braccio. «Io non dimentico il vostro prezioso aiuto, perciò non inchinatevi al mio cospetto: ditemi piuttosto qualcosa di più riguardo i vostri progetti».
Salazar ghigna, deformandosi il volto, e s'accarezza la barba con fare pensieroso. «So che siete molto orgoglioso dei vostri avi» commenta, cautamente. «E che è vostro desiderio visitare i resti del vostro più grande antenato».
Ottone III spalanca gli occhi, in un lampo di comprensione che l'abbaglia, e osserva Salazar con rinnovato interesse. «Certo che lo è» risponde, cauto. «Ma perché siete interessato a recarvi presso Aquisgrana?».
Salazar sorride e indica un punto imprecisato sopra la testa del sovrano, costringendolo a guardarsi le spalle con aria perplessa.
«La corona».
***
Cattedrale di Aquisgrana, 1 gennaio 1000 d. C.
Alcuni re dormono negli antri bui di una montagna, ma non questo sovrano: i suoi resti riposano in una cattedrale antica di più di due secoli, che sfiora il cielo, e lì vengono incoronati tutti i nuovi grandi monarchi. Ma, adesso, nell'antro buio della cripta, Salazar respira magia: al sovrano Sassone non l'ha detta, la totale verità, né probabilmente lo farà mai con nessuno – nemmeno con lei.
Ma la magia a volte si nasconde nei luoghi e nelle persone più insospettabili: e, a volte, anche nei sovrani. E nelle ossa di Carlo Magno, Salazar sa che troverà la risposta che cerca.
Non v'è mistero, in quella tomba, ch'essa è incantata come ogni manufatto che vi contiene: non v'è mistero da svelare, l'imperatore era solamente l'ennesimo stregone che si divertiva a governare una stirpe di mortali. Morto prematuramente – da Babbano, pensa Salazar con disgusto – mentre conservava tutto il proprio potere in un singolo oggetto. Ma quale?
Ha consultato volumi, illustri biografie, ha visto arazzi e raccolto testimonianze: ma quale fosse l'oggetto magico prediletto dal leggendario re, non è mai riuscito a scoprirlo. E s'è convinto che, scoperchiandone la tomba come un'inutile zuccheriera, o come l'ennesimo vaso di Pandora, allora riuscirà a essere illuminato dalla comprensione – e sarà sua la conoscenza, sua la magia e suo il potere.
Non è stato complicato convincere Ottone di Sassonia a Smaterializzarsi con lui, senza servitori: è come Godric Grifondoro, coraggioso fino allo sfinimento e persino oltre – e si fida di lui con cieca speranza e debole rassegnazione.
«Cosa pensate di trovare?» davanti all'altare, nella chiesa deserta tra l'ultima messa della sera e i vespri del mattino successivo. «Non... non pensate sia ancora vivo?».
Salazar ride, calandosi il cappuccio di fronte all'altare e al crocifisso, come per invitare il Cristo a pugnalarlo con la sua croce. Non crede in nessun Dio – al di fuori di sé stesso – e quindi che senso avrebbe pregare?
«Certo che no» risponde, prima di avventurarsi nella cripta. «I morti sono morti, vostra maestà, nessun pericolo che l'imperatore possa soffiarvi il trono».
«Vorrei tornare qui in un viaggio cerimoniale» osserva Ottone III, piano. «Compiere l'impresa per la comprensione dei miei sudditi e mi chiedevo se voi...».
Lord Serpeverde lo osserva, sorridendo lievemente. «Cosa?» domanda. «Che aiuto vi serve?».
«Se per caso non potreste ricomporne il corpo» esala il sovrano, a disagio. «Sapete... sembrerebbe un miracolo, nel bel mezzo del mio regno».
Salazar sospira, ma non si oppone. «E sia» concede, voltandosi verso l'apertura del sepolcro e aprendola con un colpo silenzioso di bacchetta.
Ha sempre odiato gli incanti urlati di Godric, preferendo la silenziosa compostezza degli incantesimi non verbali: la magia è, in fondo, anche quello. Silenzioso annichilimento, e una porta che s'apre scricchiolando.
Quel che rinviene tra la polvere e aria viziata, son solamente ossa che stridono tra di loro, un teschio dalle orbite vuote e una quantità di oggetti altrettanto vuoti e inutili. Quale sarà, si domanda, osservando con attenzione lo scettro posato ai piedi del sovrano.
«Cosa state cercando?» mormora Ottone III, chinandosi davanti quelle ossa con reverenza. «Forse lo scettro?».
«Non toccate niente» commenta Salazar, lanciando un silenzioso Revelio sullo scettro regio, e scoprendone solamente un inutile ammasso d'oro. «No, non è lo scettro. Deve essere la...».
Sorride. La corona. È ancora sulla testa dello scheletro, vi è ancorata come se vi fosse stata incollata con la magia, e sembra quasi guardarlo, con quell'oro opaco pronto a liquefarsi sotto il tocco delle sue dita.
Salazar sospira, mentre con la bacchetta s'assicura che non vi siano incanti di protezione sulla reliquia – forse il re dei Franchi era troppo sicuro del concetto di lasciar riposare in pace i morti – prima di prenderla tra le mani.
«Molto bene» sussurra, rigirandosela tra le mani. «Vi ringrazio, vostra maestà. Ora, come promesso...».
Con un colpo di bacchetta, le ossa tornano a ricomporre lo scheletro, e il cranio torna a sormontarlo, ormai privo di corona. E cresce la pelle, si riformano gli organi interni, rispuntano peli e capelli come piccoli boccioli.
Carlo Magno restituisce loro uno sguardo apatico e indifferente, morto, prima che Salazar gli chiuda le palpebre su quegli occhi sfocati.
Lord Serpeverde si china, raccogliendo lo scettro e rimettendolo tra le mani del sovrano dei Franchi.
«La corona» suggerisce Ottone di Sassonia, timidamente. «Mancherebbe la corona, Lord Serpeverde».
Salazar si china, prendendo tra le mani un sassolino, e sorridendo tra sé e sé. Con un secondo silenzioso colpo di bacchetta, in pochi secondi questo diviene una perfetta replica di quella corona che sta portando via: il re dei Franchi potrebbe essere risorto, nelle viscere cave della montagna in cui dimora.
***
Hogwarts, 3 gennaio 1000 d. C.
S'è chiuso nelle proprie stanze e non v'è uscito per giorni, se non per consumare svogliatamente i pasti in Sala Grande, cercando una soluzione all'enigma che il re nella montagna gli aveva proposto in un mare di silenzio. La corona brilla sul copriletto verde scuro ma, di quella famosa soluzione, Salazar non intravede nemmeno l'ombra più sbiadita.
«Voi dovete smetterla» Tosca entra nelle sue stanze, per l'ennesima volta, senza annunciare in alcun modo la propria presenza. «Cosa vi è preso? Sparire così per tre giorni, Lord Serpeverde, e nemmeno Lord Godric sapeva dirmi dove foste!».
Salazar sbuffa, osservando il viso stravolto della bionda Lady Tassorosso, e trovandola sinceramente sconvolta e preoccupata. Deve reprimere dentro di sé un moto di tenerezza, nel vederla stringersi il busto con le braccia, come per darsi conforto da sé e senza osare chiederlo a lui.
«Vi siete preoccupata per me» constata lui, con curiosità. «Non avreste dovuto, mia signora. Non ho corso alcun pericolo, ve lo posso assicurare».
«Siete incredibile» commenta lei, indignata. «Andare via e non dirmi niente! Come avete potuto pensare che non mi sarei preoccupata per voi?».
Salazar si avvicina a grandi passi, con un pensiero persistente che gli buca il quadro, deformandola: che la vuole, la vuole più di quanto non riesca a temerla, e vive nella certezza sconsiderata e assoluta che anche lei provi la medesima cosa. Perché riesce a leggerlo e interpretarlo come solamente lui stesso riesce a fare con sé stesso, e adesso lo guarda ed è piena di dolorosa speranza mentre gli legge in mente quel pensiero.
«Io sono sempre preoccupata per voi» ammette Tosca, con lo sguardo sulla propria gonna verde. «Vorrei tanto che poteste smetterla con queste vostre fughe improvvise».
Ma come potrà mai pensare, Tosca Tassorosso, di metter in gabbia un serpente velenoso, al pari del leone rampante?
«Non posso» ammette Salazar, controvoglia. Non riesce a frenarsi dallo sfiorarle il viso con il dorso della mano, facendole socchiudere gli occhi. «Potreste venire con me, noi... potremmo andare via di qui».
Lei spalanca gli occhi azzurri, pieni di un'innocenza che lo fa tremare e pentirsi delle parole appena pronunciate. «E lasciare Lord Godric e Lady Corinna?» sussurra. «Come vi viene in mente?».
Salazar china il capo, arrendendosi di fronte quella donna impossibile. «Perdonatemi» sibila, a denti stretti. «Ma penso di avervi fraintesa, mia signora».
Tosca lo guarda e un sorriso le colora il volto, facendola sembrare più giovane e luminosa, e creando uno spiacevole vuoto al centro del petto di Salazar.
«Io sono innamorata di voi» dichiara, con disarmante semplicità. «E vorrei il vostro bene, perché amare è desiderare il bene d'altri sopra il nostro. E temo che il vostro bene sia qui, con noi».
«Se mi amate come dite» risponde lui, atono. «Venite via con me. Cosa può offrirci questo posto?».
Ma Tosca ha una risposta persino per quella domanda, con un sorriso che gli taglia in due il respiro. «Una casa nostra, una famiglia» risponde, placidamente. «Amore. Che è quello di cui avreste bisogno».
«Come se fosse l'amore, la risposta che cerco» sibila Salazar, scontento. «La soluzione ai miei problemi».
Lei sbuffa, ha lo sguardo fisso sul letto e, per una frazione di secondo, Lord Serpeverde si rende conto di essere predisposto a fraintenderla, prima di ricordarsi cosa dimora sul copriletto illuminandolo di un tiepido bagliore dorato. La corona del re dei Franchi.
«E sarebbe quella, la vostra soluzione?» sussurra, sconvolta. «Trafugare una tomba? Rubare una corona a un re degno di indossarla?».
«L'avete detto anche voi, una volta» risponde lui, affrettandosi a prendere in mano l'oggetto incriminato. «Io colleziono gli oggetti rari».
«Collezionate oggetti che non attentino alla vostra vita» commenta lei avvicinandosi, e sfiorando il gelido metallo della corona. «Eppure, non sembra magia oscura».
Salazar assottiglia lo sguardo, prendendo la bacchetta per trasfigurare la corona in un anello e infilarselo al dito. «Non è magia che vi riguardi» l'ammonisce, serio. «Statene lontana, Lady Tosca. Non fatevi trascinare nei miei studi».
«Non sono i vostri studi» ribatte lei, sfiorandogli il braccio con la punta delle dita. «Io vi a...».
Ma Salazar scuote il capo, con aria dolorosamente seria. «Non ditelo» l'ammonisce. «Non voglio dovervi salvare da quel luogo in cui vi volete sotterrare».
«Non portatemici, allora» risponde lei, che ormai s'è aggrappata al suo braccio come se la sua vita dipendesse da quell'attaccamento insensato. «Rimaniamo qui, vi prego non... lasciate perdere la magia oscura. Avete anni da vivere, ancora, senza che essa vi distrugga».
Salazar ride, certo che Tosca abbia sentito quel suono e ne abbia previsto il drammatico finire: la magia oscura toglie, ma qualcosa dà – ed è quel qualcosa che lo spinge a sacrificare giorno dopo giorno, anno dopo anno.
«Lasciate perdere, mia signora» le porge il braccio, con aria disinteressata. «Credo che sia ora di cena, mi permettete di scortarvi?».
«Fatemi rimanere con voi» risponde lei, guardandolo negli occhi con un'intensità che stordisce. «Dopo la cena, permettetemelo».
«Lady Tosca, lasciate perdere, per piacere» le intima lui, atono. «Non sarà rimanendo con me questa sera che mi farete cambiare idea».
«Io non voglio vedervi sparire» sussurra Tosca, afferrandogli la mano, dimentica di ogni pudore. «Ditemi cosa volete che io faccia, per aiutarvi a smettere con tutto questo. Qualunque cosa».
Lui sorride, ma è solamente una forzatura. «Non pensateci nemmeno» sussurra. «Non lo farei mai».
Ha una deferenza quasi sacrale per quella figura esile aggrappata al suo braccio, il rispetto che un Babbano potrebbe avere per la madre di Cristo, qualcosa che non ha mai provato per nessun altro essere vivente o non più tale.
«Non vi spezzerei mai il cuore» sussurra, sistemandole dietro l'orecchio una ciocca di capelli ribelli con la mano libera. «Quindi smettetela di chiedermelo».
«Ma lo avete già fatto» risponde Lady Tassorosso, guardandolo negli occhi. «Lo fate ogni volta che sparite per giorni senza dirmelo, e poi tornate e non fate altro che allontanarmi».
«Perché potrei ferirvi anche più di così» risponde, semplicemente, mentre le stacca le mani dal proprio braccio per sistemarne una nell'incavo di esso. «Sorridete, adesso. Non vorrete scontentare Lady Corinna, questa sera a cena, no?».
Tosca sorride, ma le sta colando l'anima tra i denti.
***
Hogwarts, 3 gennaio 1000 d.C.
«Lady Tosca!» Godric Grifondoro abusa di vino, quella sera. Forse, osserva Salazar silenziosamente, ha qualcosa da dimenticare. «Cos'avete? Questa sera sembrate triste».
Lei non risponde, ma si limita a rimestare il contenuto nel proprio piatto con aria svagata, non dando minimamente segno di aver sentito le parole del Mago al centro della tavolata.
«Lady Tosca!» la richiama Grifondoro, agitando una coppa di vino nella sua direzione. «Si può sapere a cosa state pensando?».
Lei finalmente sembra scuotersi e gli lancia un'occhiata perplessa, prima di scrollare le spalle. «Siete ubriaco» nota, con semplicità. «Mi sembra strano che vi sembri triste e non con tre nasi e cinque orecchie».
Lord Grifondoro sembra voler rispondere, ma Lady Corinna gli posa una mano sul braccio, scuotendo il capo con aria seria. «Lasciate perdere» sussurra, con discrezione. «Non è serata adatta per questi giochi, Lord Godric».
Ma lui si scrolla via quella mano, facendo spalancare gli occhi scuri di Lady Corvonero, e lasciandola a osservarsi la mano come se fosse piena d'inchiostro o, peggio ancora, di veleno mortale.
«Pensate che io sia matto o semplicemente uno sciocco?» sussurra Godric, con astio innaturale. «Che mi sia dimenticato di cosa avete fatto solamente perché mi avete sorriso un paio di volte e siete stata cortese?».
«Lord Godric» lo richiama Corinna, con aria compita, le labbra strette tra di loro fino a sembrare bianche. «Possiamo parlarne dopo? Non mi sembra il luogo adatto».
«A me sembra che voi siate diventata un mostro» risponde lui, alzandosi dal proprio posto e avviandosi verso l'uscita della sala. «Il mostro più bello che io conosca, ma pur sempre un mostro».
Corinna Corvonero arrossisce e, per un momento, rimane senza dire niente. Ma, poi, una vena di rabbia ne corrompe i pensieri e, allora, si alza di scatto dalla propria sedia – mormorando un distratto scusatemi nei confronti degli altri due commensali – e s'avvia a grandi passi sulla scia di Lord Grifondoro.
«Lord Grifondoro?» lo chiama, nel vederlo fermo di fronte alla porta delle proprie stanze. Prima di rendersene conto, Corinna ha già una mano alzata per schiaffeggiarlo e avrebbe anche il coraggio di farlo per davvero, se solamente lui non le avesse già afferrato il polso, con aria severa.
«Non pensateci nemmeno» la rimbrotta, strascicando le parole. «Si può sapere perché mi avete seguito?».
«Perché non dovevate permettervi di chiamarmi mostro davanti a Lord Salazar e Lady Tosca» sibila lei, cercando di liberare la mano dalla stretta ferrea di lui. «E voi perché eravate qui fermo?».
Lui ride, facendo tuonare l'aria. «Perché vi stavo aspettando» ammette, aprendo la porta. «Entrate?».
Lei lo segue, riluttante, anche perché Godric un po' la guida e un po' la trascina per il polso, chiudendo la porta dietro le loro spalle.
«Io non so cosa fare, con voi» sussurra, sfiorandole il viso con la mano. Ha il fiato che odora di vino, pensa distrattamente Corinna, è ubriaco. «Dovrei smettere di volervi, ora che avete cacciato Emma in maniera così crudele».
«Fatelo» lo sfida lei, con la morte che le accoltella dolorosamente il cuore. «Mandatemi via, se è quel che volete».
«Vi amo troppo per volere una cosa del genere» ammette lui, scuotendo il capo. «Ma cosa potrei fare per farvela pagare? Io sono un uomo di guerra, Lady Corinna, non un cantore. Io vivo per la vendetta».
Perché anche i nobili sentimenti hanno un risvolto oscuro e, quello di Godric Grifondoro, è esattamente quello: la vendetta. Quella che prova verso Salazar non è niente di fronte al risentimento cieco e sordo che prova per Corinna Corvonero e che, lentamente, lo scava dall'interno, dalle viscere, sbocconcellandolo.
«Potreste chiudere gli occhi e perdonare» suggerisce lei, melliflua. «Non siamo in guerra, noi due, Lord Godric».
Ma la vita intera di Godric è una guerra contro qualcuno e, questa volta, l'avversario è quell'amore bruciante e distruttivo che provano l'uno per l'altra.
«Voi lo siete, perché volete essere l'unica» risponde, placidamente. «E come potrebbe essere diverso? Ma... Ma io ho bisogno di qualcuno per sfogare il risentimento che provo verso di voi».
«Voi non siete ubriaco» l'accusa lei, perplessa. «Volevate solamente parlare, e... perché dovete essere così insensato?».
«Non mi avreste ascoltato, altrimenti» commenta Godric, con ovvietà. «Perché pensate che io non sia abbastanza intelligente per avere il vostro ascolto, Lady Corinna. E forse è così, ma questa volta dovrete farlo».
«Non ho cosa ascoltare» ribatte Corinna, altera. «Il nostro problema era la vostra puttana e adesso non c'è più. Di cosa dovremmo discorrere ancora, Lord Godric?».
«Farò tornare Emma al castello» risponde lui, con calma premeditata. «O, se proprio non vi piace lei, ne cercherò un'altra disposta a prendere il suo posto».
Corinna sospira, le tremano le mani ed è chiaramente sull'orlo delle lacrime, ma Godric s'ostina a far finta di non rendersene conto. «Perché?» sibila. «Cos'avrebbero queste ragazze che io non ho?».
Lui le carezza il capo bruno, con dolcezza insondabile. «Niente» ammette. «Credo sia che io...».
«Non riuscite ad amare una persona sola» completa lei, al suo posto. «Siete stato chiarissimo, Lord Godric. Ma io, a differenza vostra, non posso accettare l'idea di condividere qualcosa che mi appartiene con qualcun altro».
Godric china il capo, ha un sorriso che inquieta. «Era proprio quello che temevo» ammette. «Ma non posso nemmeno chiedervi di amare per tutti e due, non credete?».
Lei sorride, amaramente. «Lo avrei fatto, in un altro tempo» ammette. «Ora scusatemi, è tardi: devo andare a dare la buonanotte a nostra figlia».
Lui la lascia andare. Semplicemente, rinuncia a doverla comprendere e le permette di scivolar via, sebbene la ami e la tema come nessun'altra donna al mondo.
Corinna Corvonero scivola fuori dalla stanza, come se fosse portata via dalle onde sulle coste norvegesi, lasciandosi dietro una scia d'acqua salata. Quella sera, la piccola Helena si addormenterà in un fiume di lacrime – e non saranno sue.
Godric si lascia cadere sul pavimento, certo d'aver permesso a qualcosa d'importante di sfuggirgli via. Eppure, si dice, c'è ancora una parte di lui – invasiva e importante – che Corinna Corvonero la detesta visceralmente.
L'altra vorrebbe solamente supplicarla di tornare indietro.
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Il racconto della regina
Fanfiction[Tosca/Salazar, Godric/Corinna, accenni futuri di Helena/Barone | Long-fic] Il ghiaccio è crepato, all'orizzonte, crepato e imperfetto su un orizzonte nascente, e riflette la luce del sole. Da lontano, sembra di essere nuovamente sulle scogliere nor...