8: Datemi un figlio, altrimenti muoio

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8. Datemi un figlio, altrimenti muoio


Rachele, vedendo che non partoriva figli a Giacobbe, invidiò sua sorella, e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio».
Giacobbe s'irritò contro Rachele, e disse: «Sono forse io al posto di Dio che ti ha negato di essere feconda?»
(Genesi, 30:1-2)

Hogwarts, 5 luglio 1000 d.C.

«Come ti chiami, tesoro?» Tosca è seduta sul pavimento, la gonna gialla allargata attorno alle gambe come i raggi di una ruota. «Hai voglia di dirmi come ti chiami?».
Il bambino la guarda, ha gli occhi grandi come scodelle. Barone di Bloody, l'ha soprannominato Salazar con cattiveria: il barone maledetto, il barone dannato, il barone sanguinario e ha lasciato a lei la sua educazione, scuotendo il capo con aria rassegnata. Lei ha accettato il compito, e ogni giorno siede accanto al bambino cercando di cavargli fuori – un po' a forza e un po' con dolcezza – quantomeno il proprio nome.
Ma il bambino sembra incapace di cedere: ostinato la osserva, con quegli occhi nerissimi, e non borbotta mai nemmeno il brandello di una parola, sebbene lei gli porti ninnoli, dolcetti, per cercare di spingerlo a dirle quantomeno grazie. Ma non lo fa mai.
«Sarai spaventato» mormora, carezzandogli il capo con dolcezza. «Tuo padre ti ha fatto portare via da casa, qui... ma sarai trattato bene, te lo prometto».
Il bambino le sorride, ma scuote il capo su quelle parole, come se fosse troppo disincantato per potervi realmente credere.
«No spaventato» balbetta, battendosi un pugnetto sul petto. «Mai spaventato».
Tosca sorride, gli sfiora la guancia paffuta con la punta delle dita: quel bambino le ricorda Godric in una maniera dolorosa e angosciante, è così che l'ha sempre immaginato da infante – mai spaventato, mai timoroso, mai spezzato. Eppure spezzato lo è adesso che giace in un letto con le lenzuola che odorano di lavanda, e Corinna che s'aggira per il castello con un'aria pregna di colpevole superiorità. Più furba ma meno umana, la Lady di Corvonero non pare essersi pentita delle proprie azioni, e Tosca più volte l'ha trovata ad osservar Godric con aria stanca e schifata, quasi come si aspettasse un risveglio miracoloso e, al contempo, lo temesse con tutta sé stessa.
Salazar ha detto che non gl'importa che Lord Grifondoro si desti o rimanga a dormire come l'ennesimo re sepolto in una montagna e, allora, s'è rinchiuso nel proprio studio a cercare di sviscerare i segreti delle pergamene rinvenute in Grecia. Tosca non ha avuto il coraggio – d'altronde lei è troppo diversa da Godric, per averlo – di dirgli che deve fare qualcosa e, come ogni altra volta, l'ha semplicemente lasciato andare. Pentendosene. Perché Godric ha bisogno che Salazar, il miglior pozionista dopo Corinna, l'aiuti a svegliarsi. Ma, questo, Tosca a lui non può dirglielo.
«No, certo che no» sussurra Tosca, piano. «Sei un bambino coraggioso: non hai mai pianto, quando ti abbiamo portato qui. Un piccolo barone coraggioso».
L'infante alza il mento, orgoglioso, gli occhi che lanciano un curioso lampo di sfida. Forse, riflette Tosca cupamente, l'imperatore ha sbagliato: avrebbe dovuto affidarlo a Godric – se solamente fosse venuto con lei a cercare Salazar – quel bambino, sicuramente Lord Grifondoro avrebbe saputo limarlo meglio di quanto lei, con la sola dolcezza, non possa mai ambire a fare.
«Mi avete fatto chiamare, mia signora?» una voce la riscuote da quei pensieri, facendola voltare verso la porta.
Tosca sorride, dolcemente, in direzione dell'assistente di Godric. Harold la guarda, con occhi limpidi come un lago di montagna, in attesa di istruzioni.
Ma Lady Tassorosso non dimentica e, allora, il suo sguardo è solamente l'ennesima cascata di acciaio condensato che la pelle dell'assistente di Godric potrà mai sperimentato. Una lama, piena di rammarico, sempre pronta a ferirlo in ogni maniera possibile.
«Sì, Harold» conferma Tosca, con voce metallica. «Vi avevo fatto chiamare».
Il ragazzo la osserva, in attesa di istruzioni, le braccia incrociate dietro la schiena e gli occhi pieni di profondo dispiacere. Lo sa. Che Tosca attribuisce a lui solo la responsabilità della fine ingloriosa di Godric Grifondoro e Harold, nel profondo del proprio cuore traditore, non riesce nemmeno a darle torto.
«Sono servo vostro, mia Lady» sussurra l'assistente, a capo chino. «Ditemi cosa desiderate, e vi sarà dato».
Tosca sospira: la vostra testa, e quella di Corinna. Ma, queste parole talmente prive della sua abituale compassione non superano la barriera della mente e si schiantano su altri pensieri, impedendole di esprimerle ad alta voce.
«Vorrei che scortaste Helena Corvonero nei miei appartamenti» comanda, atona. «Forse, parlando tra bambini riusciremo a sapere il suo nome».
Harold tentenna. «Sua madre non lo permetterà mai» sussurra, pieno di timore. «Non posso disobbedire a Lady Corvonero. Senza contare che nemmeno Lord Godric vorrebbe...».
Ma Tosca scuote il capo, gelida. «Voi l'avete venduto, il vostro signore» sibila, piena di sdegno. «Pensate che non sappia che l'avete inviata voi, la lettera di Corinna? Non sono una sciocca, Harold, né una sprovveduta: e voi farete quel che vi comando».
«Non posso» sussurra, pianissimo. «Lady Corinna è sola, in questo momento, vi siete tutti rivoltati contro di lei. Come potrei portarle via la figlia, anche soltanto per poche ore?».
Tosca pensa a Salazar che, nonostante tutto, quella donna orribilmente contraddittoria la difende ancora. Forse in nome di una promessa antica, una promessa sbagliata, Salazar si rifiuta di ripagare Corinna con la propria medesima moneta.
«Io comando, voi eseguite, Harold» commenta Tosca, con un filo di fastidio a sfregiarle la voce. «Non dimenticatelo mai».
L'assistente china il capo, mostrandole nuovamente la folta chioma rossiccia, e s'avvia verso la porta. «Lo farò» sussurra, a malincuore. «Mia signora».
Pronuncia l'ultima parola come fosse un insulto, e Tosca vorrebbe replicare ma, di fronte a quello sguardo così sinceramente disperato, non le vengono le parole. Non che Harold le conceda il tempo per trovarle, perché si volta e, a capo chino, esce dalla stanza.
Tosca sospira, ancora seduta sul pavimento, coprendosi il volto con le mani. Ma qualcuno le tira la gonna e, allora, deve scoprirsi per osservare il bambino che la guarda, con aria piena di comprensione.
«Frederick1» borbotta, arrotando la erre come se non riuscisse a pronunciarla correttamente. «Il mio nome è Frederick».
A Tosca viene da piangere e nemmeno sa il perché.
***
Hogwarts, 10 agosto 1000 d.C.

Salazar ha indagato, cercato e studiato ogni singola, faticosa riga delle pergamene rinvenute in Grecia, senza cavarne assolutamente niente. Tutto ciò che gli è rimasto è una manciata di pergamena da stracciare e bruciare, niente di più.
E un uovo di gallina, che Salazar s'è rigirato tra le mani per ore, per giorni, senza riuscire a comprenderne il senso più oscuro. Perché deve esserci un senso oscuro, una magia nera da poter afferrare, qualcosa in cui definitivamente poter credere. O no?
«Forse, se smetteste di giocare con quelle pergamene e iniziaste a pensare di salvare Lord Godric» borbotta Tosca, in piedi davanti alla porta. «Riuscireste a ragionare più lucidamente».
Salazar sospira. Capirà mai, quella donna impossibile, che lui altro non desidera che vedere Godric Grifondoro morto e sepolto, e lo desidera dal giorno in cui s'incontrarono, ormai quattordici anni prima – e lui, appena diciannovenne, provò l'impulso di affatturare il quattordicenne più borioso e irritante che il Kent2 avesse mai visto.
«Riuscirei a ragionare più lucidamente se la smetteste di entrare nelle mie stanze come una ladra» commenta Salazar, alzando al cielo gli occhi verdi. «E di assillarmi con questa sciocca storia: non mi metterò contro Lady Corinna, ormai lo sapete».
Tosca sospira, sistemando una ciocca di capelli dietro le orecchie: ha ripreso a portare i capelli sciolti, in un inno a una verginità che non le appartiene più, e adesso sorride come se quel sorriso bastasse a convincere Salazar a lasciare andare l'affetto per Lady Corvonero, tanto amata in gioventù e tanto odiata nella maturità. Ma, in un lampo di dolorosa comprensione se ne rende conto, non basta. Non basterà mai.
«Il fatto che l'abbiate amata» sussurra, come se quella parola la offendesse. «Non vuol dire che dobbiate difenderla oltre incomprensibile, mio signore».
Salazar sospira, mettendo da parte le pergamene e l'uovo di gallina, sul proprio tavolo, e voltandosi per fronteggiare lo sguardo scontento di Tosca Tassorosso. «Io non amo, Lady Tosca» risponde, atono. «Non dimenticatevene mai».
«Io vi amo abbastanza per entrambi» ribatte lei, con uno sguardo gelido. «E sicuramente molto di più di quanto non abbia mai fatto lei».
Salazar sopprime un risolino divertito di fronte alle intemperanze della donna, che sembra una bambina ben più giovane dei suoi ventott'anni, e scuote il capo con aria esasperata. «Tra me e Lady Corinna non c'è mai stato amore» osserva, cautamente. «Forse stima reciproca, magari persino amicizia. Ma amore, mia signora? Lady Corvonero è troppo intelligente per farsi catturare da un sentimento così stupido».
«Date a me della stupida» commenta Tosca, atona. «Ma è più stupido chi li ignora, i propri sentimenti, piuttosto che accettarli».
E voi mi amate, sembra dire con arroganza, certo che lo fate: ricordatevi che, seppur controvoglia, mi avete chiamata moglie.
«Avevate bisogno di qualcosa, che non sia svegliare il vostro amato Lord Grifondoro?» domanda, esasperato. «Perché, se non avete bisogno di niente, devo chiedervi di andare via».
«Voi non li vorreste, dei figli nostri?» chiede lei, così piano che la voce è solamente un sussurro che si perde in una valle di silenzio sconfinato. «Che somiglino a voi, e magari anche a me».
Lui la guarda come se fosse impazzita e, per un momento che dura più di un'eternità, semplicemente a Salazar mancano le parole.
«Dei figli nostri?» ripete, lentamente. «Siete forse impazzita, mia signora? Perché dovreste desiderare dei figli nostri?».
«Perché ho sempre voluto avere qualcuno di cui prendermi cura» sussurra lei, con aria malinconica. «Avevo un fratello minore, un tempo, ma è morto giovane. E, da quando mi hanno detto che se n'era andato, io... ho semplicemente pensato che sarebbe venuto il giorno in cui avrei di nuovo avuto qualcuno da amare nel medesimo modo».
«Tosca» la richiama lui, pronunciando il suo nome. «Lo sapete anche voi stessa, che non è possibile».
«E perché no?» risponde lei, che ha gli occhi pieni di lacrime. «Forse non mi amate, ma nutrite abbastanza affetto per me da accontentarmi».
«Siete troppo delicata per non rischiare la vita, e lo sapete» sussurra Salazar, con aria arcigna. «E cosa farei, io, se moriste cercando di partorire un figlio che nemmeno desidero?».
Tosca china il capo, ma è ben lungi dall'arrendersi. «Non potete negarmelo» mormora, senza guardarlo. «Se davvero vi dispiacerebbe sapermi morta, non me lo negherete».
«Tosca, vi prego» ripete lui, con una nota d'urgenza nella voce. «Cercate di essere ragionevole. Io... non posso concedervi quello che mi chiedete».
Lei lo guarda, stanca, stremata, e ha quegli occhi azzurrissimi che sono lucidi di lacrime. «Potete» sussurra, piano. «A me non importa, di morire, se posso lasciarvi nostro figlio. Vi prego».
«Perché non capite?» sibila Salazar, lievemente alterato. «Io non ho intenzione di condannarvi a morte, voi dovete...».
Rimanere con me. Ma, questo non ha il coraggio – d'altronde, nemmeno lui è Godric – di dirlo a lei.
Se non fosse che Tosca, sebbene covi per lui sentimenti stupidi e insensati, stupida non lo è affatto e sorride dolcemente di fronte a quella mezza ammissione.
«Datemi dei figli» sussurra, piano. «Ve ne prego».
Altrimenti muoio, è la citazione implicita a un testo in cui nessuno dei due riuscirà mai a credere. Salazar osserva il proprio tavolo da lavoro, con aria sempre più stanca e sfibrata, mentre lei lo pugnala con un singolo sguardo.
«Smettetela di giocare con quell'uovo» borbotta Tosca, stizzita. «State con me. Siete fatto per la grandezza e i serpenti non covano le uova di gallina».
Salazar spalanca gli occhi, di fronte a un improvviso lampo di comprensione: i serpenti possono covare le uova di gallina. Non è la pietra filosofale, ma un mostro leggendario di cui nessuno ricorda l'esistenza.
Il basilisco.
Salazar si alza, di scatto, fronteggiando Tosca che, impassibile, rimane ferma e immobile davanti a lui.
«Stendetevi» sussurra, indicandole il letto con un cenno del capo. «Ma sappiate che non vorrò sentire più una parola da voi, al riguardo».
Lei sorride, non ha più bisogno di altro: datemi dei figli, altrimenti muoio.
***
Quel giorno, è Tosca Tassorosso ad aggirarsi per il castello con aria silenziosamente trionfante. Corinna se ne rende conto immediatamente, quando la vede sussurrare qualcosa al capezzale di Godric e, sebbene sia troppo lontana per coglierne le parole, si rende conto che la sua amica ha gli occhi che silenziosamente brillano tempeste.
Corinna sa. Non ha bisogno del diadema per cogliere i segnali, e Tosca è così felice che solamente due risposte sono possibili, ed iniziano entrambe nella medesima maniera: Salazar le ha detto di sì. Figli o matrimonio, forse entrambe le cose, che fanno tutte e due contrarre il cuore di Corinna in una morsa spiacevolmente dolorosa.
Se l'è posta, Corinna, la domanda: lei l'ha mai amato, Salazar Serpeverde? Ha mai desiderato sposarlo, dargli dei figli, con la stessa intensità con cui lo desidera Lady Tosca?
Corinna sospira, ripensando alla propria gioventù, quando era convinta che non avrebbe mai più amato nessun altro – e quand'ha desiderato che fosse lui, il padre di Helena, e non Godric. Eppure, anche quel desiderio è sbiadito, con il tempo e la dimenticanza, e lei ha amato di nuovo una persona che non era lui. Ma, allora, perché suole il cuore al pensiero che possa aver acconsentito alle richieste di Lady Tassorosso?
Forse, le borbotta il diadema, posato elegantemente sui suoi capelli scurissimi, l'avete amato per davvero, mia signora. O, più probabilmente, rivolete indietro la voi ch'eravate quando stavate con lui. Una giovane di belle speranze, tanti sogni, intelligenza arguta e nulla di più.
Non v'era traccia del rimorso e della vendetta che anima la Corinna d'adesso e, questo, lo sa il diadema come lei stessa. È mancanza, quella che prova nei confronti di Salazar, e tiepido desiderio che lui possa renderla di nuovo quella fanciulla capace d'incantarsi per la bellezza del mondo e poco altro.
«Fareste meglio a lasciar perdere, Tosca» borbotta, aspramente, osservandola tenere dolcemente la mano immobile di Godric. «Non si sveglierà».
Lo sguardo che le lancia Tosca sa di gelo, una montagna innevata con un re che vi dorme al suo interno, e la fa rabbrividire. Ma Corinna – che riesce a essere più coraggiosa persino di Godric – non arretra mai e sorride, dolcemente, ignorando quel terrore che le si annida tra le vertebre.
«Lo dite voi» sibila Lady Tassorosso, con aria piena di sdegno. «Ma io non sono come voi, Corinna, non posso permettergli di morire».
«Tornate da Salazar, Tosca» sussurra Lady Corvonero, senza dolcezza. «Non lo lascerò morire, ma non posso nemmeno permettergli di tornare a vivere».
«Perché dovete per forza essere senza cuore?» sussurra Tosca, sistemando una ciocca dei capelli di Godric, ormai troppo lunghi, lontana dalla fronte. «Voi lo amate».
«Un tempo, forse» ammette Corinna, piano. Non ha la forza di toccarlo, altrimenti tutti i suoi piani, i suoi propositi, cadrebbero come un insulso castello di carte. «Ma il problema è esattamente questo: un tempo passato. Adesso, credo di riuscire a odiarlo, ma amarlo mai».
Godric fa fremere le ciglia, così che Tosca è costretta a voltarsi verso di lei, e ha gli occhi pieni di lacrime.
«Siete la migliore pozionista che conosco» commenta, piano. «Voi potete salvarlo. E non ditemi che non potete, se non lo fate è perché...».
«Perché non voglio» completa Corinna, atona. «Pensavo fosse sufficientemente chiaro, Tosca: non è mio interesse salvare la vita di Godric Grifondoro».
«Pensavo che l'amaste abbastanza» sussurra Lady Tassorosso, con delusione. «Che l'aveste amato abbastanza e che, in qualche modo, vi avesse lasciato qualcosa».
E cosa le ha lasciato, se non un brandello di rimpianto che Corinna desidera seppellire e dimenticare? Amore e riflessione, le sue armi. Ma, da quando conosce Godric Grifondoro (e sono passati quattordici anni), entrambe non funzionano più.
Amore e riflessione, le uniche convinzioni che la muovono. Ma, da quando qualcosa le s'è spezzato dentro, nel cuore, non c'è semplicemente più posto né per l'amore né per la riflessione.
«Non mi ha lasciato niente» ribatte Corinna, piano. «Come potrebbe averlo fatto?».
Tosca sospira, esasperata, la mano che sta carezzando i capelli di Godric s'interrompe e lentamente s'allontana.
«Come fate a essere così insensibile?» sibila. «L'uomo che avete amato potrebbe morire e voi rimanete a guardarlo, senza fare niente?».
Corinna scrolla le spalle, il viso è una maschera di marmo che non s'incrina, non potrebbe mai. «Certo che sì» risponde, piano. «Non penso che Lord Godric meriti la vostra compassione, Tosca. E nemmeno la mia».
«Voi avete avuto la nostra compassione quando è nata Helena» ribatte Lady Tassorosso, atona. «E l'avete accettata. Adesso potreste mostrarne un po' al prossimo, non credete?».
Corinna spalanca gli occhi, con aria turbata. «No» risponde, con aria rigida. «Sono casi diversi e, nel profondo del tuo cuore troppo sensibile, lo sapete anche voi».
Tosca sorride, malinconicamente. «Potreste fare una buona azione ed aiutarlo» commenta. «E mostrare compassione, Corinna, anche verso di me».
«Dio vi perdoni» commenta Lady Corinna, piano, in un momento che tradisce la fede della madre. «Cosa avete fatto, Tosca?».
La bionda ripensa allo sguardo inflessibile di Salazar, stendetevi, quando ha deciso di assecondare quella supplica silenziosa che lei gli ha indirizzato.
Ha pregato, Tosca. A differenza di Corinna non crede nel Dio Babbano, ma lo pregherebbe pur di riuscire nei propri intenti: dammi un figlio, altrimenti muoio.
«Niente magie oscure» la prende in giro, con un sorriso. «Non sono servite».
«Dio» sussurra nuovamente Corinna, gettandole un'occhiata turbata. «Se è come penso, non so se sarà in mio potere aiutarvi, Tosca».
Lady Tassorosso abbassa lo sguardo sulle proprie mani – sottili, sottilissime – e un sorriso triste le increspa spontaneamente il volto.
«Credetemi, quando vi dico che ne sono consapevole» commenta, piano. «Ma nemmeno lui potrebbe aiutarmi».
***
23 settembre 1000 d.C.

«Lady Tosca!» Edward s'illumina d'un sorriso gentile, un po' storto, nel vederla entrare nelle sue stanze. «Siete venuta a trovarmi, finalmente. Pensavo mi steste evitando».
Tosca arrossisce leggermente, senza che abbia il coraggio di dirgli che, sì, è esattamente quello che sta facendo da più di un mese: da quando ha sviluppato la consapevolezza che un esserino minuscolo – suo, di Salazar – ha iniziato a crescerle dentro. Un altro bastardo, ha commentato amaramente Corinna, nell'udire la notizia, ma almeno non sarà Gaunt. Non un secondo Gaunt, figlio d'ignoti, non un altro Edward dal nome generico e dal viso comune.
E, silenziosamente, Tosca ha ringraziato quel Dio in cui non crede per averle dato la possibilità di dare il proprio nome a quel bambino, che già s'immagina.
«Perdonami, Ed» commenta lei, piano. «Siamo stati molto impegnati. Da quando Lord Godric è malato, devo occuparmi di alcuni dei suoi allievi, come tuo padre e Lady Corvonero».
Edward annuisce, partecipe, come se comprendesse. «Lo so, Emma me l'ha raccontato» ammette. «Dev'essere dura, per voi».
Lei sorride dolcemente, come si fa con i bambini. «Vostro padre mi aiuta molto» commenta, cautamente. «Così posso passare del tempo anche con il piccolo Frederick».
«Il barone sanguinario?» domanda Edward, usando quel soprannome che lei tanto detesta. «Helena lo adora, è diventato il suo compagno di giochi».
«Sono lieta che ti piaccia la compagnia della piccola Helena» sussurra Tosca, incerta. «Non mi sembrava una buona idea, quella del matrimonio, ma andate così d'accordo che è impossibile non immaginarvi insieme, quando lei avrà raggiunto l'età da marito».
Edward sorride, ma questa volta solo per finta, i denti sembrano solamente lame pronte ad affondargli nel labbro, ferendolo a morte. Tosca se ne accorge e tace, odore di tempesta si propaga nella stanza e lei – che è sempre meno coraggiosa di Godric Grifondoro – vorrebbe solamente chiudersi la porta alle spalle e fuggire via come una bambina.
Solo i matti e i bambini corrono3.
«Sì, è una bambina interessante» conviene Edward, ma sembra tutt'altro che convinto. «Ma non sono più certo di poter aspettare fino ai suoi tredici anni».
Tosca l'osserva, incredula, fare quell'ammissione. «Hai bisogno di una moglie» constata, piano. «Parlerò con tuo padre e insieme decideremo cosa fare».
Edward l'osserva, ha il ghiaccio secco in quegli occhi scurissimi, privi di fondo, dentro i quali Tosca potrebbe cadere se solamente si avvicinasse un po' troppo.
«Non fatelo» commenta, atono. «Voi non siete mia madre».
Tosca sospira, con aria rassegnata: è il giorno che lei ha sempre temuto da quando ha cominciato a crescere quel ragazzo, quando Edward l'avrebbe rifiutata come madre, che è ciò che per tutta la vita ha sempre cercato d'essere. Per uso fratello, per il figlio di Salazar, il piccolo Frederick. E, adesso, per loro figlio.
«Perdonami» borbotta, lei, raccogliendo le gonne e voltandogli le spalle. «Penso che andrò a parlare con tuo padre: sono certa che avrà piacere di discutere con te, riguardo a un tuo possibile matrimonio».
«Lasciate perdere mio padre» risponde lui, con aria concitata. Ha gli occhi lucidi, sembra quasi febbricitante. «Non... non merita che voi gli rivolgiate la parola, mia signora: penso sia chiaro, lui non vi sposerà mai».
Tosca lo sa. Lo sa talmente bene da essersi ormai abituata a quel dolore profondissimo che le stritola le viscere, costringendosi a piegarsi su sé stessa, come se qualcuno le avesse dato un calcio sulle costole.
Si mette una mano sul ventre – che è stupido: non può ancora sentirlo – per accertarsi che il bambino sia ancora lì, al sicuro. Edward se ne accorge e storce il naso, con aria disgustata.
«Non ditemelo» sussurra, pianissimo. «Un altro bastardo».
Sono le stesse parole che ha usato Corinna, ma con un'inflessione meno rassegnata, più consapevole. Un altro bastardo. Tosca non l'ha mai pensata in questi termini, ma vi è una parte minuscola di lei, invasiva e importante, che le sta sussurrando le medesime parole – un altro bastardo.
«Un altro bastardo» ripete lei, amaramente. «Come avete detto voi, dubito che vostro padre mi sposerà solo per questo».
«Sposate me» sussurra, piano. «Non ho un cognome, ma io vi rispetterei più di quanto non faccia mio padre».
A Tosca si strozza il fiato in gola. Le manca il fiato, per un attimo, ed è costretta ad appoggiarsi alla parete della stanza per non cadere sulle proprie ginocchia.
«Come?» balbetta, incerta, ha la vista appannata. «Sposare voi?».
Non c'è disprezzo, solamente sorpresa, in quelle parole. Tosca osserva il giovane tenderle la mano, e ancora lei non trova le parole per dirgli che semplicemente non può.
«Sposate me» ripete Edward, sicuro. «Forse non somiglio nemmeno a mio padre, ma potrei rendervi felice, se solamente me ne deste il permesso».
«Non posso» sussurra lei, piano. «Io... è tutto così sbagliato, Edward. Io amo tuo padre più di quanto non riesca a fare con me stessa».
Lui lo sa, certo che lo sa, e amaro è quel sorriso (amarissimo) che gli sfregia il viso come l'ennesima cicatrice.
«Pensate che non ne sia a conoscenza?» ringhia, lui, stringendo i pugni. «Lo so, mia signora, certo che lo so. Ma posso perdonarvi per tutto questo, se sceglierete me. Anche per quell'abominio che portate in grembo».
Lei scuote il capo, ferita da quelle parole. «Edward» lo richiama. «Sarà tuo fratello, non parlare di lui così».
«Un altro bastardo» ripete, per l'ennesima volta, afferrandole il polso. «Niente di più».
«Lasciatemi» sussurra, Tosca, chinando il capo. «La nostra conversazione è finita».
«Direi proprio di sì» commenta qualcuno, aprendo la porta. «La vostra conversazione è più che finita».
Salazar Serpeverde scruta suo figlio con disprezzo, mentre le porge il braccio, invitandola ad allontanarsi con lui.
«Non verrete più a trovarlo, mia signora, e potete considerarlo un mio ordine» commenta, in un sibilo. «E voi, Edward, farete meglio ad evitare ogni qualsivoglia contatto con Lady Tosca. Spero di essere stato chiaro».
Lei china il capo. Qualcosa le sta andando a fuoco dentro al petto.
***
2 dicembre 1000 d.C.

Corinna, controvoglia, ha passato un mese in compagnia del corpo silenzioso e immobile di Godric: non lo ammetterà mai, nemmeno con sé stessa, ma silenziosamente comincia a sentirne la mancanza. Gli ha tagliato i capelli, la barba, ha mandato via Emma con un gesto irritato della mano quando s'è avvicinata per aiutarla. Come una serva e una Babbana gli ha cambiato le lenzuola, gettando sul pavimento quelle sporche, con aria stizzita.
Tosca non l'ha vista ma, se lo avesse fatto, sicuramente avrebbe riso dell'urgenza con cui ha sfiorato quel corpo esanime. Anche i corpi parlano, e Godric un tempo l'aveva fatto per davvero, e a lei non era importato per davvero. Adesso, forse qualcosa le importa.
Il suono della sua voce è qualcosa di lontanissimo, nella sua memoria, ma è ancora presente come una maledizione che l'assale quando si ritira per riflettere – amore e riflessione ma, adesso, non riesce più a ricercare né l'uno né l'altro.
«Non posso permettervi di risvegliarvi» sibila, passandogli una pezza sulla fronte sporca di sudore. «Che ne sarebbe di me, altrimenti?».
«Penso dobbiate semplicemente arrendervi, mia signora» commenta Salazar, entrando nella stanza a grandi passi. «Ho preparato un antidoto per il vostro sfortunato amante».
Lei sospira, un po' di stanchezza e un po' di contentezza, e gli lancia un sorriso storto, pieno di viscerale rassegnazione.
«Non pensavo vi sareste arreso con così tanta facilità» commenta Corinna, piano. «Non pensavo sarebbe bastato un altro bastardo, a farvi cambiare idea».
Salazar sorride, di fronte a quella denominazione, scoprendo i denti come un lupo artico. «Un altro bastardo» concorda. «Ma provate a negare qualcosa a Lady Tosca, e ditemi se ci riuscite».
«Voi conoscete la storia della sua famiglia» risponde Lady Corvonero, con curiosità. «Come me, anche Lady Tosca ha perso sua madre molto giovane, quando ha partorito suo fratello. Anche sua sorella ha subito lo stesso destino e lei...».
«Non vuol dire niente» la interrompe lui, rabbioso. «Lei sopravvivrà, Corinna, non dubitatene nemmeno per un istante».
«Vedo che Lady Tosca è riuscita nel proprio intento, alla fine» commenta lei, ridendo. «Vi ha sempre amato, sapete? Fin da quando aveva tredici anni lei e diciannove voi».
Salazar china il capo, silenziosamente: lo sa, certo che lo sa, lo sguardo azzurro e adorante della minuscola Tosca Tassorosso è qualcosa che, nella sua mente squallida e imperfetta, è ancora marchiato a fuoco e non sbiadisce mai, brucia soltanto.
«Voi siete innamorato di lei» Corinna lo dice con tono accusatorio, ma rassegnato, rompendo in lui ogni speranza di poter rispondere negativamente. «Non che non fosse intuibile, che sarebbe finita così ma, sapete... da giovane ho sperato che amaste anche me, solo per un po'».
«L'avrei fatto» commenta Salazar, atono. «Se lei me l'avesse permesso».
Corinna gli lancia un sorriso storto, birichino, mentre con una mano liscia una piega inesistente della gonna. «L'avrebbe fatto, se voi aveste avuto il coraggio di chiederglielo» commenta. «Ma, d'altronde, voi non siete Godric».
Lui ride. «Avete sempre avuto un debole per lui» osserva, amaramente. «Non vi sarei mai bastato io e, adesso, lo sappiamo entrambi».
Lei ride di rimando. «No, immagino di no» concede. «Ma vi ho amato sinceramente, e credo che siate rimasto il mio unico amico, qui».
Salazar vorrebbe replicare, ma Tosca lo interrompe, entrando nella stanza con passo cadenzato, anticipata dal proprio ventre eccessivamente prominente. «Oh, siete qui» commenta, sorpresa. «Corinna, anche voi?».
«Io e Lord Serpeverde stavamo chiacchierando» ammette Lady Corvonero, con grazia. «Ha preparato un antidoto per Lord Godric».
A Tosca brillano gli occhi, nel sentire quella frase, e si volta verso l'uomo, una mano sul ventre come per comunicare anche al bambino la buona notizia. E sorride.
«Davvero?» domanda, incerta. «Credo sia molto onorevole, da parte vostra, mio signore».
Salazar china il capo, con aria rassegnata. «Come se non fosse colpa vostra» commenta, acido. «Siate onesta con Lady Corinna, e ditele che avete insistito così tanto da farmi cedere».
Lei sorride. Salazar, nel suo cuore ghiacciato e crepato dal gelo, per un momento non riesce a non constatare quanto sia radiosa e semplicemente bella in quel sorriso che l'adorna meglio di un qualunque gioiello che lui potrebbe donarle.
«State bene, Lady Tosca?» Corinna interrompe i suoi pensieri, scuotendolo. «Vi vedo un po' pallida, stamane».
Tosca annuisce, ma ha il viso contratto come per impedirsi di vomitare lì, sulle scarpe di Lord Serpeverde che la guarda, con attenzione, come se si aspettasse di vederla crollare esattamente ai suoi piedi.
«Lady Corinna ha ragione» constata, con una vena di insoddisfazione che gli sfregia la voce come una ferita. «Forse dovreste andare nelle vostre stanze e stendervi».
«Volevo solamente un po' della vostra compagnia» pigola Tosca, con aria turbata. «Non pensavo di disturbarvi, mio signore».
Lui sospira, e le porge il braccio. «Sono sicuro che Lady Corinna comprenderà, se insisto per assicurarmi che vi mettiate a letto» commenta. «Vi accompagno. Leggerò qualcosa al vostro capezzale, se non vi dispiace».
Tosca s'illumina in un sorriso, mettendo la propria mano – minuscola come quella di una bambina – nell'incavo del braccio di lui.
«Vi ringrazio, sono lieta che vogliate trascorrere con me un po' del vostro tempo» sussurra, contenta. «Lady Corinna, vi auguro una buona mattinata».
Corinna Corvonero sorride, piena di malinconia che sfuma in un tempo lontanissimo – quattordici anni prima – e tende la mano verso Salazar.
«L'antidoto» sussurra, mentre una boccetta di vetro le viene affidata. «Vi ringrazio».
«Ho fede nella vostra intelligenza, Corinna» risponde lui, con un sorriso storto tremendamente simile a quello del figlio (un altro bastardo). «Mi raccomando».
Lei non esita a versare in gola il contenuto denso e maleodorante di quella boccetta – troppo orgogliosa, lei, per prepararla da sé – aprendo la bocca di Godric con una leggera pressione delle dita.
Rimane a guardarlo: a Lord Grifondoro tremano le ciglia.
E con questo finalmente vi svelo in cosa sta il collegamento con "Il racconto dell'ancella", spero che questa trovata vi sia piaciuta, dato che è ciò che mi ha spinta a cominciare questa storia.
Vi ricordo che il prossimo appuntamento sarà il : 10 febbraio, dove farò un piccolo annuncio che spero vi faccia piacere.
Un bacio,
Gaia


Note:
1Nome preso dai nomi di re del sacro romano impero, come Federico Barbarossa.

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