5: Anime in pezzi

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5. Anime in pezzi


Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima?(Vangelo di Matteo, 16:26)
Hogwarts, 14 febbraio 1000 d.C.
«Amore e riflessione» sussurra Corinna, con pazienza, mentre si poggia il diadema in capo. «Ricordalo».
Il diadema le restituisce uno sguardo d'un pallido violaceo, un'ametista leggermente incrinata le accarezza la falange in un abbraccio un po' stentato e lei sorride di rimando. Lo sa anche lei che è lui, il diadema, la sua unica speranza – anche se si sono sussurrati soluzioni in silenzio, nei giorni passati, e Godric li ha scoperti.
Segretamente l'ha disprezzata, perché teme che il diadema possa instillarle pensieri malevoli in capo, e ha osservato il manufatto magico come potesse incendiarle i capelli in un brandello di istante. Corinna si sente ustionata, ma non per i suoi pensieri dolcemente cullati dal proprio gioiello, ma lo sguardo infuocato di Lord Grifondoro ancora le brucia la pelle, marchiandola per sempre. È il suo dispiacere, che l'incendia, facendole rimpiangere la propria decisione – ferma – e il proprio risentimento.
Amore e riflessione, pazienza e saggezza: ma a cosa servono tutte quelle parole, le sussurra il diadema, è la vendetta che sa rimarginare ogni ferita. E lei la vuole disperatamente, quella vendetta, non è così?
Perché Corinna pensa allo schiaffo che le s'è infranto sul volto, quando Godric ha definitivamente perso ogni brandello della propria poca pazienza, al dolore fulmineo che le ha infranto il cuore in un coro di sussurri. Ognuno di essi le urlava, ferendola nuovamente, di restituirgli il piacere.
Così, dopo averlo visto allontanarsi a grandi passi – ferito anche lui – Corinna s'è seduta al proprio scrittoio, aprendo il portagioie di velluto blu. Bello come un castello e un desiderio inespresso, la notte bluastra ha svelato un diadema di platino e pietre preziose che l'osservava pieno di dolorosa compassione.
Amore e riflessione, ricordalo: ma sopra il suo capo, persino il diadema ribolle di rabbia inespressa, e come potrebbe la sua mente non piegarsi di fronte a qualcosa che prova anche lei? Così Corinna sospira, sfiora l'ametista centrale, e chiude gli occhi con aria pensierosa.
Si focalizza sul dolore, quel peso al petto che le fa provare Godric Grifondoro e che lei, in fondo, non è mai riuscita a comprendere. Su come fare a restituirgli dolore con dolore, sangue versato con altro sangue da versare, e il diadema sorride nella sua mente in uno scintillio di pietre preziose.
Sottraetegli qualcosa che ama, le sussurra con mestizia, come fosse dispiaciuto da quell'eventualità: un progetto che gli è caro, sottraetegli il controllo che pensa di avere su di voi. Non lo ha, non è vero?
Corinna si osserva allo specchio, spalancando gli occhi scurissimi, sussurrando a sé stessa un no secco, irato.
Ma cos'è che ama Lord Grifondoro, si domanda sgomentata, se non sé stesso, le sue puttane e la sua spada? Sottrargli sé stesso sarebbe il piano migliore, si dice, ma come fare a portargli via quel brandello di convinzione che egli nutre per sé stesso, il proprio fato, i propri piani?
Amore e riflessione, le ricorda il diadema marcio d'ironia, ma l'amore non vi ha fatta arrivare da nessuna parte – provate con la riflessione. Riflettete.
Corinna si massaggia le tempie, spazzandovi via una ciocca di capelli nerissimi, e provando a pensare per sottrazione: Godric Grifondoro le ha tolto la dignità, il buon nome e persino la quieta compostezza di cui era stata tanto fiera. Cosa potrebbe togliere, lei, a lui?
Non la dignità, né il buon nome, Godric non li possiede entrambi né potrebbe mai affliggersi per la perdita d'uno di essi. E composto, lui, semplicemente non lo è mai stato: a cosa tiene di più di ogni altra cosa, che perdita gli risulterebbe intollerabile?
Corinna pensa ad Helena, con malinconia, sapendo che sottrargli Helena non avrebbe alcun influsso sulla vita e sulla mente di Godric Grifondoro: è instabile, negli affetti, ama e dimentica con semplicità, ricorda e riama con altrettanta facilità. Sarebbe facile, se realmente provasse amore per qualcuno che non sia semplicemente lui stesso.
La sua puttana? Lo farebbe arrabbiare – perché si sarebbe presa l'ennesima libertà che lui detesta, quella di provare a comandargli il cuore – ma la rabbia in Godric dura il tempo dei temporali inglesi e, allora, in poche ore avrebbe semplicemente dimenticato e perdonato. Ma Corinna non lo vuole, il suo perdono, non lo desidera, non desidera lui.
Amore e riflessione, ma niente amore e nemmeno riflessione: la rabbia non riflette, non è specchio lucidissimo su cui Corinna potrebbe contemplarsi, ma acceca soltanto. E lei è esattamente questo – sola, e arrabbiata.
Non Helena, nemmeno la sua puttana. A cosa tiene davvero Godric più di ogni altra cosa, cos'è che riesce ad amare? Su cos'è che si ferma a riflettere, prima di farsi guidare da quel suo stupido e inutile orgoglio, che... l'orgoglio.
Corinna si osserva nello specchio, ha le gote arrossate su quel pensiero sfuggente che le si è materializzato in capo. Godric è così inutilmente e dannosamente orgoglioso che soffrirebbe solamente nel vedere i propri piani – tanto studiati, tanto sudati – essere ridotti in una nuvola di polvere.
Godric non è Salazar, pensa ingiustamente Corinna. Non è astuto a tal punto da concepire piani a prova di sabotaggio, ma è presuntuosamente sicuro di sé e, allora, lei ride pensando al piacere che proverà nel mandare a monte il suo capolavoro. Il matrimonio di Helena con Edward Gaunt.
Sfiora nuovamente il diadema, domandandogli come, come fare a distruggere le segrete speranze e i macchinamenti di Godric Grifondoro.
Amore e riflessione, mia signora. È la risposta divertita del diadema, che si riflette come un amico nei suoi pensieri. Ma, se volete, c'è una via più semplice, ed è...
Corinna si osserva, sorpresa, mentre quel pensiero spontaneamente le si forma in mente e lei non ha nemmeno la forza per dirgli di no: è la sua ultima, la sua unica, speranza.
Amore e riflessione, ma quando entrambi decadono come idoli di pergamena bagnata dalla pioggia orgogliosa di Godric Grifondoro, rimane solamente un'alternativa, ed è la vendetta. E quella di Corinna ha un sapore e un odore particolari, insospettabili, che si dispiegano come l'unica soluzione possibile nella sua mente.
Il veleno.
***
Roma, 15 febbraio 1000 d.C.

C'è aria di Storia, nella capitale dell'imperatore dei romani, dove un'arena gigantesca s'affaccia nel centro della città. Tosca si aggira per quelle strade, con aria svagata, cercando un segno, un indizio, qualunque cosa che le urli che Salazar è stato lì. Ma non trova niente.
Non la sfiora, il pensiero che il re insonne della montagna possa averle mentito, né le sfiora che sia follia cercare Salazar in tutta la superficie piatta che è il mondo: vuole trovarlo, lo troverà, perché loro s'appartengono. Non come due stupidi amanti, l'ennesimo incontro sordido e scostumato di due organi complementari, no, s'appartengono come lo fa la scogliera che argina il mare. E lei lo troverà, perché il mare non è mai libero dai propri scogli, e lo farà rientrare in quella smarginatura che gli ha disegnato attorno.
Ma sta giocando, Salazar, sta giocando con la sua sanità mentale e con la sua integrità morale, e questo le è dolorosamente chiaro quando finalmente raggiunge la corte di Ottone III. Il sovrano la riceve subito, senza premesse e con qualche concessione di troppo, facendola accomodare in una graziosa sala delle udienze.
«Lady Tassorosso» l'accoglie il re in persona, sedendosi sul proprio trono. «Lord Salazar mi aveva scritto che sareste arrivata fin qui».
Tosca digrigna i denti dal fastidio: Salazar è riuscito ad anticiparla ancora una volta, riflette, le ha giocato l'ennesimo scherzo di pessimo gusto. Perché l'imperatore la osserva incuriosito, forse domandandosi come faccia una donna simile ad avere l'attenzione di Lord Serpeverde, che è totalmente privo di cuore. Ma lei sa che c'è, qualcosa dentro di lui, perché l'ha toccato come fa il diadema con i pensieri di Corinna e la spada con il coraggio di Godric.
L'ha toccato, nudo, annerito e pulsante – il cuore di Salazar, nascosto sotto strati e strati di pelle e muscolo. L'ha sentito battere sotto le sue dita, in quei contatti che gli ha rubato quasi controvoglia, e quindi sa che deve esserci.
«Lord Salazar?» domanda, perplessa, le mani strette sulla lunga gonna gialla. «Lui... sapete dov'era diretto? È stato qui?».
Il sovrano ride, mostrando denti bianchi e regolari, e scuote il capo bruno con aria piena di compassione. Una parte di Tosca si domanda cosa gli abbia scritto, Salazar Serpeverde, in quella lettera dove anticipava la corsa folle e sconclusionata che lei stava compiendo attraverso gli spigoli del mondo.
«Siete una moglie premurosa, mia signora» le concede Ottone III, con un sorriso. «Ma conosco vostro marito e sono sicuro che tornerà in salvo da voi, e poi...».
Tosca smette di ascoltare. Marito e moglie, in una lettera falsa e bugiarda che Salazar ha scritto con chissà quale tiepida convinzione – lo sa: che lei possa aspettarlo, senza cercarlo in ogni ripiegatura dello scibile – e spedito a Roma, ad attenderla. Moglie e marito, ma quei nomi non li hanno mai pronunciati, non vi sono stati voti inutili o lacrime altrettanto prive di senso e di scopo.
Tosca Tassorosso non ha mai rinunciato al proprio nome e Salazar Serpeverde non le ha mai promesso di darle il suo.
«Se sapete dov'è diretto, dovete dirmelo, vostra maestà» sussurra, con tono supplichevole. «Ho bisogno che mio marito torni con me a casa, noi... abbiamo una famiglia, a cui badare».
«Vostro figlio è ormai un giovanotto, mia signora» commenta il sovrano, con aria compassionevole. «Dovreste essere con lui, a organizzargli un buon matrimonio. E, prima che possiate accorgervene, vostro marito tornerà da voi».
Il volto di Tosca si deforma in una smorfia, al pensiero che Salazar possa aver definito Edward – il frutto di quel suo schifoso voltafaccia – loro figlio, il loro amato figliolo. Pensa a tutte le volte in cui gli ha chiesto, no, lo ha supplicato di darle un figlio – e Salazar ha chinato il capo e le ha detto di no, non avranno mai una famiglia tutta loro.
Ha gli occhi azzurri che potrebbero piangere sangue, al pensiero che Salazar ha compreso che lei è corsa a cercarlo e ha deciso di non voler farsi salvare da lei. Niente amore, niente famiglia per loro. Solamente un mare che sommerge la scogliera, riuscendo a inondare tutto ciò che vi è attorno.
«Voi lo sapete, che non tornerà tanto facilmente» sibila, con disprezzo. «E mi dite di tornare a casa». Se non fosse che, per lei, casa è sempre stata dove c'è lui, e allora come fare a non cercarlo, a non trovarlo, a non amarlo?
Eppure Salazar vorrebbe esattamente questo: mai cercato, mai trovato, mai amato.
«Mi ha chiesto di dirvi di aspettarlo qui» commenta cordialmente Ottone, indicando con un gesto delle braccia la sala. «E che sarebbe tornato a prendervi».
Tosca lo guarda, qualcosa le muove la mano dentro la tasca del mantello, dove silenziosamente giace la coppa con lo stemma della sua famiglia. Me la ridarete quando tornerò indietro. Il manufatto, a contatto con le sue dita gelide – come il cuore di Salazar – vibra sotto la pelle, come volesse esprimersi a parole.
Sta mentendo1, sussurra quella scarica, e per un momento Tosca sobbalza mentre quella voce che le invade i pensieri.
Lei scuote il capo: la coppa fiuta le bugie, pensa divertita, rimembrando di quanto Salazar avesse sperato di cavarvi fuori chissà quale magia oscura, che non c'era.
«Voi sapete dov'è diretto?» domanda, stringendo la coppa tra le dita. «Se questo... c'entra con i re addormentati nelle montagne, o no?».
Il re la guarda, incerto, mentre Tosca gli dedica un sorriso angelico, con le lentiggini che la fanno sembrare solamente una bambina curiosa.
«I re addormentati nelle montagne?» domanda Ottone, perplesso. «Non so di cosa stiate parlando, mia signora».
Sta mentendo, urla la coppa, facendola sorridere.
«Non importa, vostra maestà» sussurra Tosca, alzando il capo con aria regale. «Credo di sapere dov'è diretto. Se dovesse scrivergli, fategli sapere che non sarà facile convincermi a farmi smettere di cercarlo».
E che non basta chiamarvi moglie, le sussurra la coppa, facendola sorridere.
«Non penso di potervi permettere...» balbetta il sovrano, muovendo un passo verso di lei, incerto.
Ma Tosca sorride – così simile a Salazar – e muove un passo indietro, scomparendo in un vortice.
***
Hogwarts, 25 febbraio 1000 d.C.

La spada gl'è sempre stata leggera, tra le mani, ma oggi è incredibilmente pesante: il coraggio che emana non basta, e Godric è costretto a lasciarsi scivolare sul terreno, ringraziando che ciò non sia capitato durante la lezione di duello con i suoi allievi. Bisogna bene apprendere le arti Babbane, ha sempre detto, le loro guerre sono le nostre – ma lui, di combattere, oggi non è in grado.
E non basta il coraggio, questa volta no, ad affrontare le ire di Corinna Corvonero, anche se una buona dose di esso è sempre d'aiuto quando si tratta di lei. E non basta nemmeno l'intraprendenza, la testardaggine e, sul finire, nemmeno l'orgoglio.
L'ha lasciato andare. Come una causa persa l'ha abbandonato solo, in silenzio e perfino disperato a guardarsi la mano con cui l'ha colpita, domandandosi perché.
Ha provato a inseguirla, l'ha sempre fatto: ma, quando quella sera stessa ha provato a intrufolarsi nelle sue stanze, una servetta gli ha fatto sapere che alla signora non era gradito. In Sala Grande, Corinna è scivolata sul posto di Salazar, dall'altro capo del tavolo e non sorride mai, ma ha sempre in testa quell'odioso diadema e parla solamente nei propri pensieri o, forse, parla con i propri pensieri.
Lui non la odia già più, come potrebbe?
Ma la soluzione non v'è da nessuna parte: né dietro l'angolo, né davanti o di lato, in nessun luogo possibile gli viene in mente in che modo potrebbe riuscire a mitigare l'ira di Corinna Corvonero. E, allora, riuscirà mai più a regger la spada?
«Siete stanco, mio signore» osserva Harold, il suo giovane assistente2, di fronte alla sua espressione corrucciata. «Ci sono giorni in cui sulla spada pesa quanto una vita intera».
Troppo saggio per i suoi diciassette anni, riflette Godric distrattamente, forse avrebbe dovuto permettere al Cappello di darlo a Corinna. Ma vi ha visto una scintilla, in quegli occhi grigi, che l'ha fatto riflettere – e, anche in quell'occasione, ha deluso Corinna.
«Troppo arguto, Harold» lo rimbecca Godric, divertito. «Per far parte della mia Casa: avrei dovuto cedervi a Lady Corvonero».
Il ragazzo fa una smorfia, ma non parla molto, è un tipo taciturno e riservato che probabilmente si sarebbe trovato male tra le chiacchiere insondabili di Corinna. Harold osserva il proprio maestro, come se potesse leggerne i pensieri, e abbozza un sorrisetto di comprensione, cui però non osa dar voce.
Voi cedereste qualunque cosa a Lady Corvonero, pensa, e Godric sembra quasi poter leggere quel pensiero. Hanno combattuto insieme così tante volte, loro due, che adesso riescono quasi a conoscere i pensieri l'uno dell'altro meglio dei propri.
«Oh, ditelo» sbuffa Godric, riponendo la spada nella sua custodia. «Lo so anche da me, Harold, non siate così irriverente».
Il ragazzo ride, ha le lentiggini come Tosca, nota distrattamente Godric – non sarebbe stata, Tosca, una scelta migliore?
Forse non possiede la bellezza poetica di Corinna, gli occhi scuri come ossidiana e quei capelli indomabili, come il suo spirito. È dolce e delicata, Tosca Tassorosso, come un sospiro e una carezza. Ed è di Salazar, cosa che dovrebbe bastargli a volerla per sé. Se solamente Corinna non fosse pronta a estirpargli gli occhi dalle orbite ad unghiate, se solamente lo sorprendesse ad insidiare anche Lady Tosca, soprattutto Lady Tosca.
«Oh, non pensateci nemmeno» commenta Harold, divertito. «Lady Corvonero mi sembra già pronta a uccidervi, senza che voi abbiate questi pensieri».
Godric sorride, di fronte all'irriverenza del ragazzo. «Quante volte ti ho detto di non leggermi i pensieri?» lo rimprovera, divertito. «Siete il mio assistente, dovreste assecondarmi».
Harold ricambia il sorriso, scombinandosi i capelli scuri con la mano sinistra, e lancia un'occhiata indecifrabile al suo signore. «Mi dispiace» risponde, senza apparire minimamente dispiaciuto. «Ma tengo molto alla vostra salute fisica, quindi vorrei distogliervi da certi pensieri».
Godric ride, con il solito suono tonante, e scuote i capelli oro brunito, come se quella risata avesse il potere di togliergli il fiato.
«Mi distolgo» sussurra, alzando le mani. «Ma tu cosa faresti, al mio posto? Meglio un corvo che ti cava gli occhi o un tasso che ti riscalda il letto?».
«Il tasso implica un corvo che vi caverà gli occhi» commenta Harold, divertito. «Voi però non avete mai paura, anche se dovreste. Lady Corinna non ve l'ha mai detto, come ha fatto con me, che il troppo coraggio può esser letale?».
Godric gli lancia uno sguardo malandrino, che nasconde una consapevolezza annichilente: è pentito d'aver scelto la donna più complicata e complessa che il cielo abbia mai creato, ma è anche altrettanto pentito d'averla lasciata andare via con poche parole e un colpo in pieno viso.
«Mai esistita una frase così vera» commenta, ma non ne è sicuro nemmeno lui. «Ma, a volte, vale la pena di rischiare».
Harold gli lancia uno sguardo pieno di avvertimento: ha un timore reverenziale di Corinna Corvonero, sentendo verso quella donna un'affinità che a Lord Godric – sebbene sia il suo signore – non saprebbe spiegare. Ha un timore reverenziale di una donna che ha più mezzi, intelligenza e astuzia di ogni altra donna creata dal mondo, e l'ammira profondamente.
«Non questa volta, mio signore» replica, freddamente. «State parlando di una donna che vi ama profondamente, che vi renderebbe il patrigno3 di una bambina meravigliosa, e che medierebbe su quella vostra assurda impulsività e...».
Godric ride nuovamente, maledicendosi perché non aveva pensato prima di promettere Helena a lui, piuttosto che a Edward Gaunt. «Potete sempre chiederle di sposarvi» commenta, ironicamente. «Visto che l'ammirate così tanto».
Harold arrossisce, il viso pallido si riscalda sotto i raggi flebili di quel sole ancora invernale, ancora inutile, e le lentiggini risaltano sopra quel tiepido rosa.
Godric lo osserva con curiosità, ma non riesce a sentire le parole che il suo assistente, che ama come un figlio, pronuncia.
«Oh, no» sussurra Harold, a capo chino. «Non oserei mai».
***
Zugspitze, 1 marzo 1000 d.C.

Il freddo è palpabile: entra nelle ossa come un sospiro e le tocca come fosse una mano nuda, spogliata, pronta a carezzargli il cuore passando tra le costole. Salazar, però, si rifiuta di sentire il freddo come si è sempre rifiutato di sentire la mano di Tosca mentre gli sfiorava il cuore.
Salazar ha cercato, tramato e infine compreso dove dovesse andare per scoprire qualcosa di più sulla pietra: i re addormentati nelle montagne covano segreti, e sarà forse Carlo Magno a nascondere il segreto che interessa a lui?
Il re senza corona, il re che l'osserva con aria stanca, sfibrata, seduto e incatenato sul proprio trono di pietra.
«Vi aspettavo» tossisce l'imperatore, facendo cadere un fiume di brina sulla propria barba. «Siete in ritardo, non è vero?».
Salazar sorride, ha la barba un po' troppo lunga, e il medaglione gli pulsa sul petto, come un secondo cuore che gli batte in un ritmo indefinibile. «La strada dalla Norvegia è lunga, maestà» concede, divertito. «Mi dispiace se v'ho fatto aspettare».
Carlo sorride, mostrando qualche dente mancante e labbra estremamente sottili, spaccate dal gelo, mentre gli occhi mandano scintille. «Temevo che la vostra signora arrivasse prima di voi» commenta, agitandosi sul trono. «Io non mento mai, Lord Salazar: le avrei detto dove trovarvi, se me lo avesse chiesto».
«Penso che Lady Tosca sia stata trattenuta da re Ottone» commenta Salazar, con leggerezza. «Andrò da lei, quando finalmente avrò ottenuto le risposte che cerco».
Il re dei Franchi ride, neve cade dal suo capo mentre egli lo scuote, di fronte alle parole di Salazar. «Non penso che la troverete, Lord Salazar» commenta, con una dolcezza strana. «Lady Tosca è determinata, sarà lei a trovare voi».
Salazar sorride leggermente, a quel pensiero, e il suo volto si sfigura di fronte a quell'ironica sorte che l'insegue: non la riprenderà mai, sarà lei a riprendere lui. Se mai dovesse rivolerlo indietro, anche senza casa, anche senza famiglia, anche senza amore.
«La pietra, vostra maestà» gli ricorda Salazar, concentrato. «Ditemi come posso fare per ottenere la pietra filosofale».
Carlo Magno tossisce neve, ha ancora i segni della malattia che l'ha ucciso in corpo, ma sorride nella brina che gli adorna la barba scura. «Chiedete al re sbagliato, Lord Serpeverde» commenta, bonariamente. «La pietra, gli alchimisti... c'è un impero a oriente dove sono stati fatti degli studi, ma...».
«Sono già stato alla corte di re Basilio» commenta Salazar, interrompendolo. «Ha detto che i laboratori degli alchimisti sono andati perduti e nessuno riesce a ricostruirne le ricerche. Voi dovete sapere, la vostra corona...».
«La mia corona, che disfatta deve essere stata per voi!» conviene l'imperatore, con aria gioviale. «Scoprire che non tutti sono maghi oscuri, nel mondo, che terribile dato di fatto».
Salazar osserva il re ancora sveglio, e un ghigno gli deforma la faccia, riempendola di cieco disappunto. «Non sapete quanto» sibila, sfiorando il medaglione, pronto a ringhiare anch'esso. «Mi avete fatto profanare una tomba inutilmente, maestà, ma avete reso felice una signora».
«Saprà comprenderne i poteri meglio di voi» commenta Carlo dei Franchi, di rimando. «Voi... cosa ne sapete, voi, della sincerità?».
Assolutamente niente: ha agito, tradito, complottato e mai amato per davvero qualcuno che – che non fosse lei – gli abbia mostrato altrettanto amore. Ma in lui c'è quel bisogno, sapere dove sia finita Tosca Tassorosso, che cozza violentemente con l'affermazione di quel sovrano insonne e, allora, Salazar tace divorandosi di pensieri.
«Verrà qui, non è vero?» commenta, con urgenza, guardandosi attorno come se Tosca potesse apparire da un momento all'altro. «Mi sta cercando, non è rimasta a Roma».
Carlo Magno annuisce solennemente, il capo privo di corona sembra quasi sfiorare il tetto della grotta dov'è incatenato, e un vento gelido gli scombina i lunghi capelli. «Sta venendo qui» conferma, con aria pensierosa. «Siete stato sciocco, e ingenuo, a pensare che non vi avrebbe cercato in ogni contorno del mondo, Lord Salazar».
Il medaglione gli ride in petto: certo che lo sei stato, mio signore, era ovvio che vi avrebbe cercato, ve lo avevo detto. Ma Salazar non l'ascolta e lo zittisce con un pensiero, guardando con aria irata il sovrano.
«Sapevo che lo avrebbe fatto» ammette, cautamente. «Ma pensavo anche che Grifondoro, o Lady Corinna, l'avrebbero dissuasa».
E se la immagina quasi, Tosca che vaga per le lande sperdute della Norvegia e incontra un re insonne nella montagna, Tosca alla corte di Ottone III che si sente presa in giro con il nome di moglie, Tosca sperduta per l'Impero alla ricerca della montagna dove dimora Carlo, re dei Franchi. E gli si stringe il cuore a pensare alla rabbia che le avrà causato, a quanto risentimento le starà inquinando il cervello e, allora, Salazar si concede di sospirare, esausto.
«Ditemi dove posso scoprire qualcosa riguardo la pietra filosofale» ribadisce, atono. «E tornerò da lei, se mi vorrà ancora con sé».
Carlo Magno sospira brina, ma non si rifiuta di rispondergli. «Est» sussurra. «Andate in Grecia, cercate la tomba di re Giovanni, lì... lì ci sono le carte degli ultimi alchimisti. Ma badate, Lord Salazar, la conoscenza è un'arma a doppio taglio».
«E, allora, l'unico ferito dalla vita sarò io» risponde Salazar, sogghignando. «Accetto questa responsabilità, mio re, ma sappiate che, alla fine, sarò anche sopravvissuto a tutti quanti voi. Anche a lei».
Che sfiorirà senza conoscere amore, gioia e famiglia; sempre legata a lui, sempre due passi indietro ad attenderlo al freddo e senza mantello. Un giorno, si dice Salazar sfiorando il medaglione, sarà libero anche di lei.
«Non troverete abbastanza, riguardo la pietra» presagisce il re, sbadigliando lentamente. «E dovrete ammettere i vostri errori e tornare indietro».
Salazar gli ha già voltato le spalle, il medaglione sembra volerlo guidare a est, più ansioso di lui di scoprire la volta per la vita eterna.
«E sia» risponde, atono. «Ma non tornerò indietro senza tentare. Ditelo, a Lady Tosca, che sarò io a trovare lei e non al contrario».
Il re dei Franchi ride brina.
***
Hogwarts, 15 marzo 1000 d.C.

«Lady Corvonero desidera vedervi per l'ora del té» una ragazza bionda fa il proprio ingresso nelle stanze di Edward, sorprendendolo sul letto, gli occhi fissi sul soffitto. «Ha mandato me a dirvelo, e a portarvi il pranzo».
Ed la osserva con curiosità, mentre lei gli appoggia il vassoio davanti, con grazia, prima di muovere un passo indietro.
«Non è avvelenato» garantisce la giovine, con aria divertita. «Ma io valuterei nell'assaggiare qualunque cosa che provenga da Lady Corvonero».
Edward sorride, mettendosi finalmente su a sedere, stralunato. «Voi chi siete?» le domanda, incerto. «Non vi ho mai vista qui, solitamente ci pensa Lady Tosca o comunque la sua domestica, ai miei pasti».
«Mi chiamo Emma» risponde la ragazza, in un turbinio di capelli color oro. «Sono... immagino che tu lo sappia, se davvero Lady Corvonero desidera vedervi a tal punto da mandare me a chiamarvi».
Edward inclina il capo scuro, perplesso, e abbozza un sorriso. «Non conosco Lady Corvonero» ammette, incerto. «Questa è la prima volta che mi manda a chiamare, io... sono il promesso sposo di sua figlia».
Emma fa una smorfia, forse al pensiero di una bambina di otto anni costretta a fingersi felice per un matrimonio con un giovane ben più grande di lei, o forse al pensiero della figlia di Lord Godric e Lady Corinna.
«Un bambino promesso a una bambina» constata, divertita. «Avete la mia età, ma vi trattano come se foste coetaneo della piccola Corvonero. A voi fa piacere?».
Ed la guarda, ha il viso affilato come una lama: sebbene l'orgoglio lo inciti a confessare d'aver chiesto lui, quel matrimonio, qualcosa gli suggerisce di tacere e chinare il capo con aria fintamente contrita. «Mi adeguo alla volontà di chi è più in alto di me» sussurra, lanciandole uno sguardo indecifrabile. «Lo fate anche voi: altrimenti non sareste qui a comunicarmi che Lady Corvonero mi aspetta per il tè. O no?».
Lei sorride, svelando un incisivo scheggiato che preme sul labbro inferiore, troppo carnoso. È bella, pensa lui, Grifondoro se l'è scelta bene.
«Chi si piega non si spezza mai» recita Emma, compitamente. «Non credete anche voi?».
Lui sorride, svela i denti inferiori un po' storti, un sorriso imperfetto che ne sfregia il volto al pari di una cicatrice. Non è bello, pensa lei, perché Lady Corvonero è così interessata a questo ragazzo?
«Credo che Lady Corinna possa piegarci e spezzarci entrambi» ride, lui. «Non credete anche voi?». Emma sorride a labbra serrate, per non mostrare quella piccola cicatrice sul bel viso, e inclina il capo con dolcezza.
«Se lo pensate, come mai mi ha mandata fin quassù a invitarvi per il tè?» gli domanda, curiosa.
«Perché una prostituta è degna di un figlio illegittimo» risponde lui, atono. «E, probabilmente, perché la disgusto così tanto da volermi ammazzare con il veleno, quando voi mi lascerete da solo con quel pranzo che, suppongo, venga dalle sue cucine».
Emma spalanca la bocca, con aria terrorizzata.
Edward la guarda e sorride. «Ascoltatemi» sussurra. «Ho bisogno che facciate una cosa per me, d'accordo?».
***
«Voi dovete essere impazzita!» Godric la insegue per i corridoi, sebbene Corinna faccia di tutto per lasciarselo alle spalle.
Ma, quando lui l'afferra per un polso, lei è costretta a voltarsi e a fronteggiarne lo sguardo inquisitore, senza mai chinare il capo. Il diadema riluce sul suo capo, facendola apparire luminosa e bruciante come una stella.
«Voi dovete essere impazzito, per poter pensare di toccarmi nuovamente» commenta lei, cercando di divincolarsi da quella presa. «Lasciatemi andare, Lord Godric, altrimenti...».
Lui ghigna, ha l'espressione talmente delusa da far male. «Altrimenti provvederete ad avvelenare anche me, mia signora?» domanda. «Veleno, Lady Corinna? Davvero pensavate di fare una cosa così indegna di voi?».
«Io non ho pensato di fare niente» risponde lei, freddamente. «Non potete provare niente, contro di me, e io non so di cosa stiate parlando».
Godric le stringe il polso con forza, facendola sobbalzare: ma ferma è la volontà di Corinna, ancora più di quanto non possa esserlo la rabbia di Godric, così che rimane a osservarlo con aria stanca, quasi annoiata.
«Non mentite a me, mia signora» sussurra lui, guardandola dritta negli occhi. «Edward Gaunt si è sentito male, dopo aver pranzato con il pasto fattogli recapitare da voi».
Lei ride, sprezzante. «Prendetevela con i cuochi, non con me» risponde, con noncuranza. «Non me ne sono occupata io, come avete detto voi stesso è stata la vostra puttana a portargli il vassoio».
«Io lo so che siete stata voi, Corinna» sussurra lui, irato. «So perfettamente che pensavate di ferirmi, facendo andare a monte il matrimonio di Helena. Io vi conosco più di quanto non faccia con me stesso, mia signora, non trattatemi come fossi uno sciocco».
Corinna rimane a guardarlo, disorientata, di fronte al rumore del suo nome che buca l'aria e infrange la distanza, facendola barcollare. Se Godric non la tenesse saldamente per il polso, sarebbe già caduta in un turbinio di gonne blu notte.
«Voi potete saper quello che vi pare» risponde lei, con sdegno. «Ma è la vostra parola contro la mia, Godric».
Lui l'osserva, sorpreso: non era mai capitato prima che Corinna infrangesse con una tale noncuranza l'etichetta, e questo lo fa tentennare, sebbene la sua presa sul polso di lei rimanga fin troppo salda.
«Giuratemi che non siete stata voi» le sussurra. «Che non è nato in voi il pensiero che fosse una buona idea avvelenare il figlio di Salazar».
Lei ride, finalmente riesce a liberarsi della presa di Godric, e si concede di guardarlo un'ultima volta prima di allontanarsi verso le proprie stanze.
«Detta così» sussurra, con dolcezza velenosa. «Si potrebbe pensare che sia tutto un vostro piano, Lord Grifondoro: avvelenare il ragazzo, incolpare me. Non pensate che sia meglio che Salazar ne venga informato, al suo rientro?».
Lui la guarda, non riesce a dire una parola.

Buon anno a tutti quanti e grazie di essere qui!
In primo luogo, le tanto sospirate note:


1Ho pensato che ogni oggetto magico dovesse avere un potere, e ho assegnato alla coppa la capacità di "fiutare" le bugie
2L'equivalente magico dello scudiero
3Nessuno tranne i Fondatori sa che Godric è il padre di Helena

Oltre ad augurarvi buon anno, volevo consigliarvi di leggere un approfondimento sul diadema di Corvonero e il concetto di "Amore e riflessione": .
Per il resto, grazie di avermi letta e buon anno.
Gaia

Il racconto della reginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora