Prologo

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Gli alberi della foresta mi danno ristoro dal sole cocente del pomeriggio; socchiudo il finestrino per evitare che troppe zanzare entrino all'interno del tre ruote. Fischietto le note dell'ultimo tormentone estivo e mi adagio sul poggiatesta: venire a fare legna mi mette sempre di buon umore.

Supero una curva e davanti a me compare un furgoncino parcheggiato di traverso sulla strada. Vicino al mezzo, privo di conducente, sono presenti delle tende e alcuni gruppetti di pezzenti che devono aver scambiato la tenuta del Marchese per un fottuto campeggio gratuito. Rallento per fermarmi a pochi metri dall'autocarro e riapro il finestrino. Ora darò a questi poveracci una bella strigliata. «Ehi bastardi! Dove cazzo credete di essere? Spostate quel furgone di merda e andatevene! Questa è proprietà privata!»

Tutti i presenti guardano nella mia direzione e le teste di altri stronzi fanno capolino dalle tende.

Senza alcuna esitazione si avvicinano in massa al mio Apino e in pochi istanti mi circondano.

Adesso basta! «Non avete capito?! Levatevi dai coglioni!»

Due di loro si fanno avanti: una ragazza dai capelli tinti di verde e vestita come una fricchettona del cazzo e un tizio con degli occhialetti da frocio e una barbetta da capra. «Proprietà privata?» La voce di quella scrofa tinta di vomito è più fastidiosa che avere una vespa nell'orecchio. «A noi risulta che la Foresta Umbra sia demanio statale e che non possa essere posseduta da nessuno!»

Alle mie spalle, vedo un altro paio di hippie avvicinarsi al portapacchi del tre ruote e raccogliere il mio sacco. Faccio per aprire lo sportello ma con un calcio alla portiera l'uomo capra mi anticipa, impedendomi di uscire. I due ladri si avvicinano con quanto mi hanno rubato alla stronza che ha parlato, mostrandole il contenuto.

«Giù le mani dalla mia ascia, strunz e merd!» Do una spallata allo sportello ma non riesco a muoverlo di un millimetro, mentre tutti gli sguardi sono ancora posati su di me. «Ma chi cazz sit?! Che vulit da me?!»

«Chi siamo? Soltanto degli onesti cittadini che intendono difendere questa foresta dai criminali come te!»
La fricchettona richiude l'arma nel sacco per poi lanciarlo, come fosse immondizia, nel portapacchi. «Oggi non farai legna abusivamente, tornatene da dove sei venuto!»

I bastardi tirano calci sul tre ruote e qualcuno di loro si azzarda persino a prendere il tettuccio a bastonate. Premo sull'acceleratore e riesco a spaventarli, quel tanto che basta per girarmi e allontanarmi. Alcuni sassi colpiscono il mio Apino senza riuscire a rallentare la mia fuga. Nessuno di quei maledetti ricchioni ha provato a seguirmi, almeno questo!

Ripercorro la strada in senso inverso a tutta birra, senza alcuna intenzione di tornare a casa a mani vuote. Prendo una svolta che dà su un sentiero dissestato e schivo per un pelo un fosso che mi costringe a inchiodare. Avrebbe potuto distruggermi le sospensioni... devo calmarmi, non vale la pena rimetterci il mio bolide per quegli stronzi. Tiro un lungo respiro e riprendo la marcia a passo d'uomo.

Raggiungo lo spiazzo vicino alla solita zona pic-nic abbandonata e parcheggio come capita l'Apino. Sono sudato come un porco per via dell'incazzatura ma il fresco di questa zona molto ombrosa mi dà un grande ristoro. Mi tolgo la maglietta e resto a torso nudo per migliorare ancora un po' la situazione. Oh sì! Recupero un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e completo l'opera, asciugandomi la pelata.

Apro la portiera e scendo a fatica, con la pancia che striscia contro il finestrino. Quella stronza di Sonia mi ripete tutti i giorni che dovrei mettermi a dieta ma col cazzo che lo faccio! Anzi, peccato che abbia scordato di portarmi il fucile altrimenti avrei preso un bel cinghiale; magari me lo sarei pure mangiato davanti a quei quattro pezzenti! Ridacchio. Pazienza, sarà per la prossima volta. Recupero l'ascia dal portapacchi e lancio un'occhiata soddisfatta a ciò che resta del tronco che ho tagliato la settimana prima. Proprio di fianco c'è la mia vittima di oggi. Già pregusto il momento in cui la lama incontrerà il legno. Mi avvicino e preparo il primo colpo ma ecco che il cellulare comincia a vibrarmi nella tasca. Agguanto il telefono; è la stronza.

«Ciccillo!» Sonia sbraita così forte che per poco non mi sfonda i timpani. «Ha chiamato Saverio! Dice che devi raggiungerlo a Monte appena hai finito, c' stc un a cui avit fa u serviz'j!» 1

Questa sì che è una bella notizia! Ho già l'acquolina in bocca. Stasera si scopa. Peccato che i muggiti di questa vacca mi abbiano impedito di assaporare a pieno il piacere della sorpresa. «Dop u ch'jm ij!» 2 le urlo di rimando. «Stasera farò tardi, non aspettarmi alzata!»

Chiudo la conversazione senza attendere replica. E ti pareva, ecco che mi viene lo stimolo di svuotarmi la vescica per le troppe emozioni. Domani devo ricordarmi di passare dal medico per farmi dare un'altra controllata all'arnese. Poso l'ascia a terra e raggiungo il mio cesso a cinque stelle: un bel palo di metallo con un cartello montato sopra dove sono riportati un bel po' di divieti, tra cui quello di fare legna.

Che paura che mi fate, cartelli e fricchettoni. Agli uomini del Marchese nessuno può fare un cazzo e presto ve ne accorgerete!

Mi scrollo come si deve e alzo gli occhi al cielo. Arancio scuro. Meglio non perdere altro tempo, non mi piace trovarmi nella foresta di sera senza armi da fuoco. Torno all'albero e riafferro l'ascia. La sollevo ancora una volta ma un frastuono alle mie spalle mi fa desistere dal mio proposito: le sospensioni del mio Apino hanno ceduto con uno schianto, come se qualcosa o qualcuno di molto pesante fosse piombato sul portapacchi all'improvviso. Resto fermo e non oso girarmi.

Chi o cosa avrebbe potuto fare un tale casino? Senza che mi accorgessi di nulla?

Comincio a sudare freddo e il cuore manca un battito.

Si tratterà di un orso? Ma non ci sono mai stati orsi qui, e non sono così silenziosi! È impossibile! Devo restare calmo, ho un'ascia affilata in mano. Basta e avanza per sistemare qualunque animale di merda che abbia deciso di prendersela col mio tre ruote!

Tonfi cadenzati alle mie spalle si avvicinano: il bastardo mi raggiunge in tutta calma.

Basta, non resisto più!

Gli occhi mi si chiudono per la paura e tremo come una foglia. Sento un ultimo rumore sordo alle mie spalle, proprio dietro di me.

Adesso!

Mi giro e provo a colpire alla cieca qualunque cosa mi stia minacciando, ma qualcosa arresta il mio attacco. Avverto sulla mia pelle una sensazione di ruvido e non ho dubbi: sono i cuscinetti di una zampa enorme, i cui artigli acuminati strisciano dal polso fino al gomito, graffiando il mio braccio destro che viene afferrato con forza. Non riesco a trattenere un rantolo di dolore e i miei occhi si spalancano senza volerlo.

Una creatura gigantesca, dalla pelliccia nera come la notte mi sta davanti, ritta su due zampe. Le arrivo all'altezza del ventre. Sempre più tremante, oso sollevare lo sguardo verso l'alto. La sua testa è quella di un enorme lupo che ringhia e mi fissa, coi suoi occhi gialli e neri.

Il mio corpo viene attraversato da spasmi di terrore allo stato puro, un velo di lacrime mi appanna la vista. Abbandono l'ascia che ancora reggo in mano.«T... ti prego, non voglio mo—»

Gli artigli della zampa che non mi trattiene trovano con rapidità il mio collo.

Le parole mi si strozzano in gola; annaspo disperato alla ricerca d'aria ma tutto ciò che riesco ad avvertire è il sapore del mio sangue. Soffoco...



1 «ci sta una a cui dovete fare il servizio!»

2 «dopo lo chiamo io!»

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