Capitolo 6

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Kyle


Il ronzare del citofono mi distrae dai miei pensieri. Mi alzo dal letto e controllo chi è. Mei, per fortuna. Mia madre è in ritardo, e meno male! Non sono ancora pronto per poterla affrontare. Devo sbrigarmi, ci mancherebbe anche che si incontrassero. Premo il tasto per farla entrare, apro la porta d'ingresso e l'aspetto.

I suoi passi sulle scale sono lenti, come se le costasse un'enorme fatica superare ogni gradino. Giunge davanti a me col capo chino, lo solleva e si sforza di sorridermi.

Meglio non fissarla troppo a lungo, altrimenti rischio di desistere dal mio proposito. «Vieni, ho preparato le tue cose.» Senza attendere replica, torno in casa, supero lei e la sua valigia già in piedi e pronta da portare via, dando le spalle a entrambe.

Entra in casa con lo stesso passo malfermo, la sua mano si stringe sul manico della valigia con un tintinnio. Respira in maniera affannosa. Posso solo immaginare cosa le stia passando per la testa.

Ti prego, non farlo. Non rendere tutto più diff—

Mi abbraccia con forza e appoggia la testa contro la mia schiena. Singhiozza e la maglietta che indosso si inumidisce delle sue lacrime.

Rimango paralizzato, incapace di opporre qualunque reazione. Chiudo gli occhi e trattengo il fiato.

«Lascia che ti aiuti a risolvere il tuo problema... Ne abbiamo affrontate tante insieme, supereremo anche questa. Ma non mandarmi via!» Conclude il suo appello disperato con un urlo.

«Credi che per me sia facile?» Faccio fatica a trovare le parole. «Vorrei poterti dire che saprò controllarmi e che non ti farò mai più del male. Ma sarei un bugiardo. E non so mentire, figuriamoci poi se potrei cominciare a farlo proprio con te...»

Non mi lascia andare anzi, mi stringe con ancora più forza.

«Mei, tra poco mia madre sarà qui e non voglio che ti insulti come l'ultima volta che mi ha chiamato. Potrei non rispondere di me e fare del male a te o a lei. Forse a entrambe. E questo non voglio che accada... per nessuna delle due. Anche se lei è una stronza non vuol dire che meriti di essere picchiata.»

Emette un singhiozzo più simile a una risata soffocata e scioglie la presa.

Le mie spalle si abbassano e sospiro dal sollievo. «Grazie per aver compreso.»

«Chiamami, ok? Mattina, pomeriggio e notte. E quando avrai risolto questo problema, torna da me.» Non singhiozza più.

«Lo farò, dove altro vuoi che vada?» Trovo la forza di girarmi e le sorrido. Gli occhi a mandorla di Mei non sono mai stati così belli. «E quando tornerò, fanculo tutto. Avviserò mio padre e lo raggiungeremo in Irlanda! Affitteremo una macchina ed esploreremo i posti che ancora non conosciamo! Che ne dici?»

«Meraviglioso!» Il suo volto si illumina. «Ma questa volta lasci guidare anche me!» Si avvicina alla scrivania e ci lascia sopra una busta bianca che tira fuori dalla sua borsa. «Non provo neanche a baciarti, altrimenti potremmo finire a farlo davanti a tua madre!»

«Quello sì che sarebbe un bello spettacolo!» Alzo la mano per salutarla, meglio non perdere altro tempo.

«Bye bye, sweetheart.» 1 Prende la valigia e se ne va. La porta si chiude con un rumore secco.

Mi avvicino alla scrivania e do una sbirciata alla busta che Mei mi ha lasciato: all'interno c'è una nostra foto alla casa di Giulietta. È sulle mie spalle e cerca di scrivere i nostri nomi il più in alto possibile, sui muri imbrattati dalle firme dei turisti e non.

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