8. A portata di mani

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Aureliano si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno. Era più di una settimana che non dormiva decentemente, da quando era iniziata quella storia.
Pensava al giorno successivo, a tutte le complicazioni che avrebbero potuto trovare nel mettere a punto il loro piano. Poteva essere un successo o un suicidio. O entrambi.
Fino a quel momento non aveva mai pensato che potesse essere una trappola. In fondo dagli zingari ci si poteva aspettare di tutto.
Spostò le coperte con un gesto improvviso e nervoso per liberarsi dal caldo che lo stava soffocando. Era sudato e la sua pelle a contatto con l'aria più fredda ebbe dei brividi. I nervi tesi e gli occhi spalancati, dormire sembrava impossibile quella notte.
Anche Spadino era sveglio, poteva sentirlo perfettamente dalla stanza accanto. Si alternava il rumore di passi lenti al cigolio della rete del letto.
Aureliano si impose di chiudere gli occhi, a costo di coprirli con i palmi delle mani. Cercò di immaginare lo scenario migliore che quella storia potesse avere per loro: i cadaveri del Samurai e di Manfredi Anacleti adagiati in pozze del loro stesso sangue, lui e Spadino re di Roma, con l'unica preoccupazione di doversi liberare dei corpi.
La precaria tranquillità fu subito interrotta da un rumore secco di legno spezzato. Aureliano saltò in piedi e si precipitò ad afferrare la pistola che aveva lasciato sulla scrivania. Rimase in silenzio ad aspettare. Un altro colpo e stavolta le assi di legno parvero sgretolarsi. Il rumore veniva dalla stanza accanto, quella in cui si trovava Spadino.
Aureliano si rese conto di non essersi neanche tolto i jeans per dormire quando andò a sistemare la pistola dietro alla schiena. Uscì dalla sua stanza e, facendo attenzione a non far rumore, aprì la porta di quella accanto.
La prima cosa che vide fu la sagoma di Spadino a contrasto con la finestra, con i pugni chiusi lungo i fianchi e i piedi scalzi. Stava guardando la parete come se fosse il suo peggior nemico. Ai suoi piedi quella che un tempo era stata una scrivania di legno. Aveva il fiato corto ma questo non gli impedì di caricare un altro destro contro il muro. Scalfì l'intonaco che cadde a terra quasi in polvere. Ritrasse la mano per il dolore ed Aureliano temette che se la fosse rotta. Si avvicinò lentamente ma facendo appositamente rumore per non spaventare Spadino. L'ultima cosa che gli serviva era che se la prendesse anche con lui.
<<Che è 'sto casino Spadì?>> domandò lentamente e scandendo bene le parole. C'erano una dolcezza e un'apprensione nella sua voce che neanche lui stesso riuscì a spiegarsi. Spadino a quel punto si girò e Aureliano penso che in quel momento i capelli gli sarebbero rimasti dritti anche senza la gelatina, tanto aveva i nervi a fior di pelle. Ma lo zingaro non rispose alla sua domanda, troppo impegnato a regolarizzare il respiro e tornare in se stesso.
Aureliano si avvicinò quando fu sicuro che l'altro si fosse calmato abbastanza da non prenderlo a pugni, poi gli prese una mano con le sue. Spadino lo guardò sorpreso e lo lasciò fare, come se il corpo che stava toccando non fosse il suo. Aureliano esaminò la mano dell'amico, quella che aveva picchiato contro il muro senza farsi problemi. Aveva le nocche aperte e il sangue era arrivato ad infilarsi fin sotto le unghie, ma si stava già fermando. Il più grande gli chiuse le dita con le proprie e Spadino fece un'espressione dolorante, ma non ritrasse la mano. <<Niente de rotto>> sentenziò Aureliano, come se avesse una qualche qualifica in campo medico. Poi continuò: <<che c'hai?>> ma Spadino non resse il suo sguardo alla domanda e liberò la propria mano da quella stretta che minacciava di mandarlo in panne.
<<C'ho paura de mandá tutto all'aria>> ammise <<m'ha fatto da padre... nun so se ce riesco a ammazzà mi fratello>>
<<Certo che ce la fai Spadì>> disse fermamente Aureliano. Gli prese il mento tra le mani e lo costrinse a rialzare lo sguardo per guardarlo <<e se ce sta qualche problema ce so io>> concluse, ostentando coraggio e determinazione. Anche lui aveva non pochi dubbi suo loro piano, ma sapeva che era l'unica possibilità che avevano.
<<No, lo devo fa io>> fu l'unica cosa che riuscì a dire Spadino. Si era calmato e sentiva le gambe cedergli sotto il peso dello sguardo dell'altro uomo.
Aureliano annuì poi gli mise una mano sulla spalla e lo attirò in un abbraccio di cui avevano bisogno entrambi. Spadino abbandonò la testa premendo una guancia sul suo sterno e si lasciò stringere ad occhi chiusi. Quelle mani, che avevano tirato pugni fino a far perdere i sensi e premuto grilletti per tutta una vita, a lui non facevano paura neanche un po'. Spadino ricambiò la stretta dopo qualche secondo di esitazione, ma quando lo fece impresse sulla pelle di Aureliano tutto il suo bisogno. Le dita strette sulla stoffa che gli copriva la schiena e una lacrima ben nascosta.
Contrariamente a ciò che aveva pensato, Aureliano non si allontanò da lui, ma assecondò quella disperata richiesta stringendolo più forte. Con una mano gli avvolgeva il collo e la nuca, mentre l'altra era molto più in basso sulla sua schiena, appena sopra i fianchi esili di Spadino. Così vicini erano stati solo qualche volta nei suoi sogni.
Dopo alcuni interminabili minuti, Aureliano gli lasciò un leggero bacio tra i capelli, poi allentò la presa per riuscire a guardare in volto l'amico e disse con voce impastata: <<'Namo a dormì, domani è 'n giorno importante>>.
In uno slancio di coraggio Spadino gli afferrò un braccio, facendosi anche male alla mano già ferita. <<Resta qua>> gli disse, ma non era una domanda. Aureliano gli fu di nuovo pericolosamente vicino, afferrò la sua testa con entrambe le mani e lo zingaro chiuse gli occhi. Il suo odore era così vicino da farlo tremare ma il bacio non arrivò. La bocca di Aureliano raggiunse solo la sua fronte lasciandolo in attesa. Il respiro di entrambi si era fatto improvvisamente più pesante, le mani vagavano alla ricerca di pelle da esplorare. Spadino inclinò la testa ed andò a lasciare qualche lento bacio sul collo di Aureliano, così invitante proprio davanti ai suoi occhi. Le mani dell'altro, ancora ancorate ai lati della sua testa, lo assecondarono. Si impose di non esagerare, perché quel castello sembrava fatto di sabbia, pronto a sgretolarglisi tra le dita.
Si spinse più vicino a quel corpo statuario e si imbatté in un'eccitazione inaspettata, che allo stesso tempo lo stupì e lo rese orgoglioso di se stesso. Spadino sorrise tra i baci ed Aureliano capì di essere stato scoperto.
<<È mejo se vado>> sussurrò, ma tra la parole si lasciò sfuggire un gemito.
<<N'te move>> quasi lo minacciò Spadino, assicurando la presa sulla sua schiena e sulle spalle, poi gli lasciò un morso dove poco prima lo aveva baciato.
Ma il più grande non aveva intenzione di lasciar fare all'altro, e con un paio di passi lo guidò fino al letto. Sapeva che il giorno seguente se ne sarebbe pentito.
Spadino accolse l'invito e si lasciò andare sul materasso con poca delicatezza, trascinando il più grande con se.
Anche se era stata sua l'iniziativa, Aureliano perse tutta la convinzione quando si rese conto di trovarsi faccia a faccia con un uomo, a stringerlo tra le braccia steso su un letto. Spadino percepì la sua insicurezza e si costrinse a non correre come avrebbe voluto. Se avesse ascoltato solo il suo istinto, a quel punto sarebbero arrivati già al terzo round. Ma non voleva spaventarlo. E ancora prima non voleva perderlo.
Gli mise un ginocchio in mezzo alle gambe, portandosi pericolosamente più vicino, e Aureliano continuò a non reagire: immobile lo guardava e non spostava quella mano forte e ruvida con la quale gli avvolgeva la schiena. Spadino non sapeva cosa fare, non capiva quanto potesse spingersi oltre perché il più grande non lasciava trapelare alcuna emozione. Aureliano studiava il suo volto e non capiva cosa volesse leggerci. Ma Spadino era un mago nel nascondere i sentimenti, soprattutto con lui, e non l'avrebbe mai guardato con due occhi innamorati e con la bocca aperta per lo stupore davanti alla sua bellezza. Piuttosto lo zingaro l'avrebbe preso in giro bonariamente e avrebbe abbassato lo sguardo per una frazione di secondo. Nonostante il suo volto criptico, Aureliano non aveva troppi dubbi su cosa volesse da lui l'amico, glielo aveva messo nero su bianco mesi prima ed anche la sera precedente all'aggressione di Manfredi. Ciò che lo mandava in panne erano i suoi stessi sentimenti. Non gli erano mai piaciuti gli uomini, però quel contatto non gli dispiaceva affatto. Se in quel momento il suo telefono avesse iniziato a squillare probabilmente avrebbe deciso di non rispondere pur di non muoversi di lì. Allo stesso tempo però si sentiva a disagio, non riusciva a fare una carezza all'altro uomo o ad avvicinarsi ulteriormente, cosa che invece sembrava tanto naturale per Spadino. Si sentiva bloccato come non si era mai sentito con una donna. Aveva esperienza e non si era mai fatto problemi di quel genere prima
di allora. Era stato lui a cercare quel primo contatto, a volerlo più vicino e mettergli un braccio intorno al corpo per stringerlo a se, eppure aveva sperato che a quel punto Spadino prendesse in mano le redini della situazione e lo togliesse da quell'impaccio. Ma lo zingaro a sua volta lo guardava, aveva anche azzardato ad approfondire il contatto ma stava cercando un suo segno di assenzo per continuare. Sembrava quasi lo stesse prendendo di giro per la sua indecisione, come se lo stesse sfidando a fare un passo in avanti. Non poteva dargli torto: già due volte Spadino aveva fatto tutto da solo ed era stato rifiutato categoricamente, quindi era comprensibile che ci andasse con i piedi di piombo.
Rimasero così, abbracciati su quel letto senza riuscire a togliersi gli occhi di dosso l'un l'altro. E i loro non erano sguardi innamorati, ma piuttosto quelli di due pugili pronti all'attacco. Si studiavano a vicenda per capire quale fosse il punto debole dell'altro, per sapere dove colpire una volta che l'incontro fosse iniziato. Per entrambi la paura più grande non era andare avanti in ciò che avevano cominciato, ma la consapevolezza che tra di loro nulla sarebbe tornato come prima non appena quel momento fosse finito.
Il ginocchio di Spadino ben saldo tra le sue gambe, come a sfidarlo: "non hai il coraggio di toccarmi ma neanche di spostarti". Si rese conto di essere in balia del più giovane, come se lo avesse ammaliato con un realistico inganno di magia e lui non fosse in grado di capirne il trucco.
Aureliano fece scorrere con estrema lentezza la mano dalle scapole di Spadino fino al collo, per poi fermarsi dove le sue dita andarono a sfiorare i capelli lunghi della cresta corvina. Si era mosso senza pensare: il corpo non rispondeva più alla mente, ma all'istinto. Spadino inizialmente pensò che l'altro se ne volesse andare, allontanandosi da lui, ma quando capì le sue reali intenzioni ebbe un sussulto. Aureliano posò una carezza tra i suoi capelli, ma ciò che lasciò asciutta la bocca di Spadino fu l'altra mano dell'amico, che andò a posizionarsi sul suo fianco per avvicinarlo a se. In quella posizione anche il contatto tra le loro gambe si era fatto più intenso: Spadino non aveva vie di fuga ma la cosa non lo spaventava minimamente, sarebbe volentieri morto in quel modo.
Lo sguardo di Aureliano non era cambiato, continuava a supplicarlo di andare avanti perché lui non aveva idea di cosa fare. Ma Spadino non voleva cedere. Gli aveva fatto capire in ogni modo che se lo avesse voluto lui era sempre stato lì pronto, sempre ad aspettarlo, anche mettendo da parte il suo orgoglio. Ma Aureliano doveva andare a prendersi ciò che desiderava, glielo doveva dimostrare.
Aureliano strinse la presa dietro alla sua nuca e intorno al busto, portandosi pericolosamente più vicino ma non riuscì a sferrare l'attacco finale. Mai aveva avuto paura di iniziare una battaglia, non si era mai tirato indietro di fronte a niente e nessuno per paura di morire. Lui non aveva mai tremato. Invece in quel momento, di fronte al più imprevedibile dei mostri che avesse mai incontrato, sentiva la paura di non uscirne illeso. Perché in nessun caso ne sarebbe uscito illeso, di questo ne era sicuro.
Ma Spadino aveva smesso di ragionare non appena il più grande si era avvicinato e lo aveva stretto a se. Non avrebbe sopportato un altro bacio sulla fronte, anzi, probabilmente gli avrebbe spaccato il naso con una testata se solo ci avesse riprovato. Gli prese il viso con entrambe le mani e gli dichiarò guerra. Le loro labbra si scontrarono con violenza ma Aureliano non si spostò come aveva fatto le volte precedenti. Più che un bacio era una lotta per la supremazia e nessuno dei due risparmiava l'uso dei denti pur di avere la meglio. Il sapore del sangue si mischiò a quello della saliva ma non era chiaro a chi appartenesse.
Spadino tentò con un movimento improvviso di prendere il controllo e sistemarsi sopra ad Aureliano, ma la sua tattica funzionò solo per qualche secondo perché l'altro contrattaccò celermente ristabilendo l'ordine con la sua superiorità fisica.
Aureliano interruppe il contatto con le labbra dell'altro e notò con la coda dell'occhio che erano sporche di sangue. Spadino si affrettò per ristabilire quella connessione che per troppo tempo aveva sognato e immaginato, forse un po' più dolce di così, ma altrettanto travolgente, ma il più grande lo fermò stringendogli i capelli con forza tra le dita e costringendolo a inclinare indietro la testa. Spadino rimase con le labbra socchiuse come a chiedere di averne di più di quel contatto. Si sarebbe arreso in quel momento e gli avrebbe lasciato fare tutto ciò che voleva, ma il terrore che Aureliano lo cacciasse un'altra volta si impossessò di lui.
Aureliano sembrò accorgersi che qualche pensiero negativo stava tormentando l'altro e, dopo essersi preso qualche istante per guardarlo dalla sua posizione di vantaggio, si mosse determinato verso il suo collo, dove andò a lasciare una scia di baci come in preda all'isteria.
Spadino era bloccato da quelle mani forti. La barba di Aureliano gli irritava la pelle delicata del collo e del viso e con ogni probabilità il labbro gli si era riaperto dove era stato già spaccato in precedenza perché sentiva un sapore metallico arrivargli in gola.
Quella era la sua ritirata sotto l'attacco impietoso di Aureliano, ed era anche la miglior pagina di storia che avesse mai letto.
Costrinse Aureliano a sollevare il volto con le mani e gli sembrò di vedere i suoi occhi più scuri del solito. Non aveva l'espressione di chi aveva appena vinto una guerra, piuttosto di chi si era reso conto di essere caduto in trappola. Spadino non si era ritirato, anzi gli aveva teso un'imboscata, e lui c'era cascato con tutte le scarpe.
Anche Aureliano aveva il labbro tagliato e Spadino non nascose la sua soddisfazione.
Spadino aveva avuto la sua rivincita dopo troppe sconfitte, e guardava dal basso all'alto il suo bottino di guerra stringendolo tra le mani avide. Per nulla al mondo avrebbe rinunciato alle sensazioni che il corpo possente di Aureliano sopra di lui gli dava. Non aveva idea di cosa sarebbe successo poco dopo, o il giorno successivo. Non voleva domandarsi se l'altro gli avrebbe mai più concesso una cosa del genere o se l'avrebbe ammazzato per ciò che si era permesso di fare.
Aureliano allentò la stretta sui suoi capelli e gli lasciò una carezza sulla nuca senza smettere di guardarlo. Come un gatto che si lecca le ferite fece scorrere la lingua tra le labbra per togliere il sangue e scoprì su di esse un taglio poco profondo.
Non avevano bisogno di togliersi i vestiti per intensificare quel contatto, bastavano gli occhi incatenati e quasi lucidi di entrambi a esprimere tutto ciò che stavano provando. Spadino aveva paura di vedersi sparire da un momento all'altro quel sogno di ragazzo che aveva tra le mani. Aureliano stava riacquistando gradualmente la lucidità e si stava rendendo conto che gli sarebbe toccato regolare i conti con la persona meno ragionevole del mondo: se stesso. Rimanere da solo con i suoi sentimenti più scomodi gli sembrò abbastanza simile ad una purga autoimposta. E lui avrebbe fatto di tutto per evitarla.
Non erano tipi da smancerie, non si sarebbero mai tenuti per mano o detti apertamente ciò che provavano; il loro rapporto sarebbe stato un'eterna guerra tra due amanti e il loro orgoglio. Non avevano bisogno di parole dolci o dichiarazioni perché a quelle cose nessuno dei due ci credeva. Avevano rischiato la vita l'uno per l'altro e tanto bastava a definire quel loro rapporto che andava ben oltre l'amicizia perché entrambi si sarebbero ritrovati pronti a farlo nuovamente se fosse servito.
Spadino si maledì subito dopo aver allungato la mano per lasciare una carezza sulla guancia di Aureliano. Il più grande si ritrasse immediatamente, interruppe bruscamente il loro contatto e si mise a sedere sul letto evitando di guardarlo. Spadino sentì una consapevolezza fredda avvolgergli il corpo in fiamme: l'aveva già perso. Forse non non era mai stato suo. Deglutì, ricacciando indietro sentimenti che rischiava di sputargli addosso come se non fossero suoi. Sollevò il busto sorreggendosi sui gomiti e si limitò a chiedergli, con un disinteresse che non gli apparteneva: <<Tutto apposto Aurelià?>>
Aureliano sembrò ricordarsi solo in quel momento che non era solo ma non se la sentì di girarsi verso Spadino. Strinse i pugni sopra le lenzuola per costringersi a mantenere la calma.
<<È meglio se me ne torno dillà>> disse a bassa voce, come se la soluzione alla loro situazione fosse prevenire la loro vicinanza.
<<N'te salto mica addosso>> nella voce di Spadino si poteva riconoscere una dose di veleno, era la sua difesa contro il senso di colpa. I suoi sentimenti continuavano a rovinargli la vita.
Aureliano si voltò piccato e gli lanciò uno sguardo gelido.
<<Perché questo come cazzo lo chiami?>> ringhiò riferendosi a ciò che era appena successo tra di loro. Aureliano si sentì in colpa subito dopo aver finito di pronunciare quelle parole, perché sapeva di star spudoratamente mentendo. Soprattutto a se stesso. E il sangue, che aveva lasciato offuscata la sua testa per defluire più in basso, ne era la prova.
Spadino serrò la mandibola e incassò il colpo.
<<Guarda che stavolta nun l'ho fatto da solo>> sentenziò, guardandolo negli occhi con una serietà che non era da lui.
<<Che cazzo dici?>> domandò Aureliano in risposta, mentre era ancora in alto mare tra i pensieri che gli affollavano la mente.
<<Che stavolta nun l'ho fatto da solo, valle a raccontà a qualcun altro le stronzate tue da represso demmerda>> Spadino aveva deciso di non rivelare i suoi sentimenti già da tempo, ma dovette trovare un altro modo per sfogare la rabbia che aveva appena preso il posto della vergogna.
Aureliano gli fu addosso con una velocità felina e gli strinse una mano intorno al collo, tenendolo fermo contro il materasso.
<<Giuro che t'ammazzo>> lo minacciò con la bocca a pochi centimetri dal suo volto. Spadino reagì come faceva ogni volta che aveva paura: esibì il sorriso più provocatorio e il tono più fastidioso che poteva: <<E mo' che hai fatto tutta 'sta fatica pe salvamme, me voi ammazzá?>> rise Spadino, senza muovere un muscolo. Appena finito di parlare però non riuscì a trattenere un paio di colpi di tosse. Secondi interminabili di cui Spadino ricordò solo le narici dilatate e gli occhi iniettati di sangue dell'altro. Aureliano tornò in se solo quando sentì il battito dell'altro rallentare sotto le sue mani. Lasciò la presa e Spadino scattò a sedere spostandoselo da dosso con una manata sul petto. Si toccò il collo mentre cercava di riprendere fiato con ampie boccate d'aria. Passarono un paio di minuti prima che il suo respiro tornasse ad essere quasi regolare, ma lo zingaro non sembrava intenzionato a staccare gli occhi dalla parete di fronte a se. Non era neanche sicuro che Aureliano fosse ancora lì, almeno finché non lo sentì parlare.
<<Io non so come te>> sussurrò il ragazzo di Ostia, come a volergli chiedere scusa. Gliele doveva delle scuse in effetti, per molte cose, ma lui sarebbe stato troppo orgoglioso per farle e Spadino per accettarle.
<<N'sei frocio?>> sputò fuori Spadino. Voleva sembrare sicuro si se ma i suoi occhi lo tradirono. Aureliano riconobbe lo stesso sguardo di sconfitta che aveva la sera in cui si era ubriacato alla discoteca: era una persona consapevole che il mondo stesse per cadergli addosso e non poteva fare nulla per evitarlo. Un disgraziato in balia di sentimenti mai ricambiati. Aureliano sentì qualcosa dentro spezzarsi nel vederlo in quello stato. Avvertì un gran bisogno di uscire da quella stanza dall'atmosfera ormai insostenibile.
<<Io nun cell'ho tutto sto coraggio>> ammise, più a se stesso che a Spadino. L'altro non si mosse, forse annuì involontariamente, accentando un nuovo rifiuto.
<<E allora vattene a fanculo>> ringhiò con la poca voce che gli era rimasta in gola.
Aureliano ebbe l'istinto di abbracciarlo, magari anche di lasciargli un bacio tra i capelli, ma ebbe paura di esporsi così tanto. Si alzò dal letto, senza perderlo di vista in cerca di un segno. Una parte di lui desiderava che Spadino gli chiedesse di restare, che lo rincorresse un'altra volta ancora.

Questo è il penultimo capitolo di "Catene", ma sto pensando di continuare la storia perché adoro scrivere di questi due.
Hollynka.

Ps. Ma l'avete visto lo spot pubblicitario con Sandro e Giacomino?

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