<<Pronto, c'hai novità?>> chiese Lele senza aspettare che l'altro parlasse. Quella mattina aveva avuto qualche problema in commissariato per spiegare il motivo di quella mancata irruzione a casa Anacleti. Sapeva che se voleva continuare a fare il doppio gioco sarebbe dovuto stare più attento, ma quella era stata un'emergenza.
<<I medici dicono che mo è stabile e fuori pericolo, tra qualche ora se dovrebbe sveglià ma adesso è meglio se se riposa>> rispose Aureliano con voce stanca ma decisamente più tranquilla.
<<So contento che ce l'hai fatta>>
<<Senza de te e Angelica non avrei fatto un cazzo>> disse Aureliano e Lele capì che nella sua lingua quello era un ringraziamento.
<<Appena se sveglia chiamame che dobbiamo parlà co Spadino... a me sta storia me puzza>> disse frettolosamente Gabriele che, come al solito, si trovava in ufficio e non poteva parlare più di tanto.
Aureliano chiuse la chiamata e notò che la batteria del telefono era scarica: non metteva piede a casa da quella mattina e la notte prima si era scordato di caricarlo, come al solito.
Pensò che prima di tutto voleva parlarci da solo con Spadino e poi, forse, coinvolgere Lele.
Accanto a lui c'era Angelica, addormentata su una scomoda sedia di plastica della sala d'attesa. Il collo piegato in una posizione innaturale e le braccia incrociate al petto fecero tenerezza ad Aureliano. Si era reso conto che dentro quella famiglia assurda era l'unica a tenere a Spadino, nonostante non fosse un marito da sogno. Non doveva essere stato facile neanche per lei crescere in quella realtà: non poter andare a scuola, sposarsi così giovane e subire i pregiudizi della gente in qualsiasi posto che non fossero quelle opprimenti mura. Era giovanissima, forse appena maggiorenne, pensò Aureliano, e i segni dell'adolescenza non avevano ancora lasciato la pelle del suo viso. Però quella ragazzina dava una pista a tutte le donne che avesse mai conosciuto. Spadino era fortunato ad averla, anche se, come diceva lui stesso, non la meritava neanche un po'.
Aureliano si alzò dopo ore passate in un silenzio immobile e quasi contemplativo. Con le ginocchia indolenzite dall'immobilità andò in bagno, poi si guardò allo specchio e si rese conto di avere alcune schegge di vetro appena visibili tra i capelli castani. Quella a casa Anacleti era stata probabilmente l'entrata più teatrale che avesse fatto in vita sua. Solo ripensandoci a mente lucida si rese conto che sfidare Manfredi come aveva fatto poteva paragonarsi ad un probabile suicidio. Aveva detto di avere un esercito con lui e gli zingari gli avevano creduto. Non ci aveva neanche pensato ad una strategia quando era partito a tutto gas da Ostia, tantomeno a portarsi qualcuno che gli guardasse le spalle mentre faceva l'eroe. Sapeva di non poter continuare in quel modo o un giorno o l'altro si sarebbe fatto ammazzare.
Guardandosi allo specchio vide un uomo stanco. Stanco perché la notte precedente non aveva chiuso occhio ripensando ininterrottamente alle parole di Spadino. Gli aveva detto di fare attenzione e di non fidarsi di nessuno. Come se non lo facesse già, come se non ci fosse una fila di persone pronte ad ucciderlo. Non aveva mai abbassato la guardia e si era sempre saputo difendere, da quando era poco più che un bambino. Non capiva perché l'amico avesse avuto tutta quella premura di sottolinearlo.
Quando tornò nella sala d'attesa Angelica non era più dove l'aveva lasciata. Al suo posto, abbandonata sulla sedia di plastica, c'era una giacca nera di pelle con la scritta "king" tra le spalle. Aureliano la prese in mano e tastò la pelle con le dita: pensò che dovesse essere di Spadino perché la taglia era troppo grande per essere della ragazza. Non era sintetica perché l'odore della pelle era inconfondibile e pungente, e, data la meticolosa fattura, doveva valere un bel po' di soldi.
<<Aurelià>> una voce femminile lo riportò nel mondo reale e il ragazzo, alzando gli occhi, riconobbe Angelica.
<<S'è sveiato, te vole parlà>> gli disse riluttante. Si vedeva chiaramente che qualcosa la infastidiva e probabilmente si trattava del desiderio di Spadino di vedere Aureliano piuttosto che lei. A giudicare dal tempo che Aureliano aveva trascorso in bagno, Angelica non doveva aver parlato con il marito per più di cinque minuti, probabilmente anche meno. Il ragazzo la guardò per pochi secondi, studiando la sua espressione, e poi annuì e si incamminò verso la stanza dove stava riposando l'amico. Si sentiva in colpa con Angelica, aveva la costante impressione che lei lo accusasse di averle rubato qualcosa. Lo riteneva vagamente colpevole della sua infelicità, seppur indirettamente. Anche per questo prima di muoversi aveva chiesto il suo consenso con gli occhi e, non trovandolo, aveva deciso di incollarli al pavimento fino a destinazione.
Si lasciò Angelica alle spalle e fece per entrare nella stanza del pronto soccorso dove si trovavano Spadino e altri due pazienti, ma un infermiere attirò la sua attenzione prima che potesse abbassare la maniglia della porta.
<<Non lo faccia stancare...>> si raccomandò, e Aureliano gli rispose con un'occhiata gelida ed uno sbrigativo <<si vabbè>> ed entrò nella stanza senza troppe accortezze, stringendo in una mano il colletto della giacca di pelle.
Spadino era disteso sul letto, con le spalle e la testa sollevate da un paio di cuscini. Il volto era pieno di lividi ed aveva il collare bianco che gli bloccava il collo. Il resto del corpo era coperto dalle lenzuola, ad eccezione delle braccia. Ad una mano era attaccato un ago con la flebo che trasportava sali ed antidolorifici.
Era chiaramente dolorante ma perfettamente lucido ed Aureliano fu sollevato dal riconoscere il suo solito sguardo vispo e malizioso.
<<Le costole sono tutte intere>> disse appena vide l'amico. Sapeva che quella era l'unica informazione veramente importante per Aureliano, perché il resto delle sue condizioni poteva vederle da se. Voleva dire che non aveva riportato compromettenti danni interni, quindi non ci avrebbe messo molto a rimettersi.
Aureliano raggiunse con poche falcate il suo letto, controllò con una rapida occhiata le condizioni del suo viso, e poi parlò: <<Mo me spieghi che cazzo hai combinato>> esclamò con un tono che non ammetteva un no come risposta. Non gliene importava più di tanto se gli altri pazienti potevano sentirli.
<<Sto meglio, grazie pe avemmelo chiesto...>> rispose sarcastico Spadino, evitando platealmente di rispondere alla sua domanda. Aureliano lo fulminò con lo sguardo e un brivido gli percorse la schiena. Spadino si fece più serio e gli fece cenno con la testa di avvicinarsi, perché lui, a differenza di Aureliano, non voleva che tutti i presenti si facessero gli affari suoi.
<<La famiglia mia ha scoperto che so frocio e se volevano liberà de me>> disse senza un tono preciso nella voce, ma con sguardo rassegnato. Aureliano rimase di stucco e le parole gli morirono in bocca. Anche la rabbia iniziale era svanita dal suo volto e faceva fatica a sostenere gli occhi di Spadino. In quel momento avrebbe voluto afferrare la sua mano e stringerla per confortarlo, ma il coraggio lo abbandonò quando si rese conto dell'intimità che un gesto come quello poteva rappresentare, soprattutto tra due persone come loro, che non erano abituati ad esternare i propri sentimenti.
<<Prima o poi doveva succede>> commentò sarcastico Spadino per spezzare l'atmosfera che si stava creando.
<<Te sei fatto scoprí? Porca puttana Spadì, lo sapevi che dovevi sta attento...>> Spadino lo interruppe bruscamente: <<Nun me so fatto scoprí. M'hanno ricattato e io n'ho fatto quello che me chiedevano>> spiegò e Aureliano capì che per farlo parlare ulteriormente avrebbe dovuto tirargli le parole fuori dalla bocca, quindi non esitò ad insistere.
<<Chi è stato?>> domandò. Spadino distolse lo sguardo. Aureliano gli si fece pericolosamente più vicino e ripetè la sua domanda a voce più bassa <<Dimme chi cazzo è stato che je fo rimpiange il giorno in cui è nato>> ringhiò.
Spadino si perse per un secondo in quella vicinanza a lui così gradita, ma allo stesso tempo temuta, e poi raccolse tutto il suo coraggio per guardare l'amico negli occhi e rispondere: <<Samurai>>.
Vide l'espressione di Aureliano farsi più cupa e immaginò che stesse maledicendo mentalmente chiunque e qualunque cosa.
<<M'ha chiesto de ammazzatte, Aureliá, e io j'ho detto de no>> spiegò, perché tanto sapeva che l'altro non lo avrebbe lasciato in pace finché non glielo avesse detto. Aureliano lo guardò ancora e annuì, confermando a se stesso che non si era sbagliato: Spadino era una delle pochissime persone di cui si poteva fidare. Sentiva il peso di un'enorme responsabilità addosso. Da una parte voleva far giustizia al suo amico e sbarazzarsi una volta per tutte del Samurai, dall'altra sapeva di non poter agire d'istinto come avrebbe voluto, perché quel vecchio era decisamente più furbo e preparato degli zingari che aveva ingannato quella mattina.
<<A quanto pare adesso ce vole ammazzá a tutt'e due, ma nun ha capito contro chi s'è messo>> disse con decisione il più grande e Spadino temette che il suo impeto li avrebbe messi nei guai. In realtà voleva rassicurarlo, ma non era mai stato bravo con le parole.
<<Aurelià vacce piano: stamo a parlà de Samurai, quello nun scherza>> lo ammonì, e si ricordò di quando era stato Lele a dirgli la stessa identica cosa. Quella volta lui aveva fatto lo spavaldo, aveva gonfiato il petto e aveva risposto che non prendeva ordini da nessuno. Ma in quel momento, steso sul lettino del pronto soccorso e con tutta la sua famiglia pronta ad ucciderlo, il suo orgoglio aveva fatto un passo indietro.
<<Manco io scherzo, Spadì>> replicò l'altro con decisione e stavolta non ebbe ripensamenti nello stringere la mano destra di Spadino nella propria, poi aggiunse <<e dopo sistemamo pure quel pezzo demmerda de tu fratello>> come se avesse sbirciato nella sua testa e ci avesse letto la preoccupazione riguardo la situazione con la famiglia Anacleti.
Spadino ritrasse velocemente la mano da quella presa salda, come se avesse toccato il fuoco.
<<A noi due insieme nce ferma nessuno>> sorrise il più giovane, imitando la sua solita faccia da spaccone, ma Aureliano capì che non era del tutto convinto. La decisione di Manfredi aveva minato l'animo di Spadino nel profondo. I calci, i pugni e le costole quasi rotte non erano stati la cosa peggiore di tutta quella storia. Ciò che lo aveva destabilizzato maggiormente era stata la mancanza di compassione di sua madre e la cattiveria di suo fratello. Lo stesso fratello che anni prima gli aveva promesso di proteggerlo dopo la morte del padre.
Aureliano poteva solo immaginare come si sentisse, ma lo conosceva abbastanza bene da capire che qualcosa in lui era cambiato. Però a lui serviva il solito Spadino per mettere in atto il suo piano, quello che non lo avrebbe mai tradito e che non scappava di fronte a niente, neanche alla morte. Aureliano promise a se stesso che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per aiutarlo a superare tutto e dimenticare. Non aveva la più pallida idea di come fare, perché non era mai stato bravo con le persone e tantomeno con i sentimenti, ma ci avrebbe provato.
Si allontanò dal letto e sorrise <<allora vedi de rimettete presto che me servi fresco come 'na rosa>> lo prese in giro e Spadino non riuscì a trattenere una risata.
Aureliano lasciò la giacca, che fino a quel momento aveva tenuto con se, sullo schienale della sedia sistemata accanto al letto dell'amico. Prima che potesse allontanarsi Spadino lo fermò dicendo <<È meglio se la piji te, qua se m'addormento me la inculano sicuro>>. Allora Aureliano riprese la giacca da dove l'aveva messa e sorrise sotto i baffi.
<<Guarda che vale n'sacco de soldi, e poi ce so affezionato>> si giustificò Spadino, ridendo a sua volta. Aureliano annuì e indossò la giacca, seppur con qualche difficoltà perché la taglia era troppo piccola per lui. Le maniche gli stavano quasi corte e nel complesso anche il busto era di una lunghezza un po' ridicola. Scoppiarono a ridere entrambi quando il più grande domandò <<come me sta?>>.
Alla fine Aureliano lasciò la stanza senza togliere la giacca e si ricordò che lì fuori ad aspettarlo c'era ancora Angelica.
<<M'accompagni a casa?>> gli chiese la ragazza. Era evidente che fosse molto stanca e provata, ma era molto più rilassata rispetto a quella mattina. Aureliano annuì e si avviarono verso il parcheggio.
Erano partiti da una decina di minuti quando Aureliano ruppe il silenzio che si era creato tra di loro. Per qualche strano motivo continuava ad avere quella costante sensazione di essere in torto nei confronti di Angelica, nonostante non avesse fatto nulla direttamente contro di lei.
<<Te volevo ringrazià pe stamattina: senza la chiamata tua...>> iniziò ma la ragazza lo interruppe subito: <<grazie a te pe esse arrivato subito. E mo basta coi ringraziamenti che nun ce sta niente da festeggià>> asserì con estrema freddezza Angelica. Aureliano rimase sorpreso da quella risposta così aggressiva e rallentò bruscamente l'auto per girarsi a guardare la ragazza.
<<Mo perché te rode r'culo?>> domandò sarcastico, abbandonando qualsiasi traccia di quella cordialità che aveva ostentato fino a quel momento.
<<Tu nc'hai idea de quello che hai fatto! Nun l'hai sentito Manfredi? Hai portato via Spadino da casa e mo nun fa più parte della famija!>> sbottò ed il ragazzo ammise che aveva fegato per rivolgersi a lui in quel modo.
<<A me tutto me pare tranne che 'na tragedia>> rispose Aureliano, imponendosi si non perdere il controllo e la calma.
<<Te nun poi capì: 'no zingaro senza a famija n'è più un cazzo! Adesso io praticamente so vedova e Spadino nun c'ha più un cognome>> spiegò lei, trattenendo lacrime nervose e con le labbra tremanti.
<<E secondo te che dovevo fa? Dovevo lascià Spadino lì così finivano de ammazzallo? Che cazzo m'hai chiamato a fa allora?>>
<<Io nun potevo immaginà che Manfredi avrebbe detto 'na cosa del genere...>> Angelica fece più attenzione alle parole e al tono che usava perché si rese conto che era stata troppo aggressiva <<però dovevi provà a fa un accordo co Manfredi, che ne so... qualcosa riguardo i giri de soldi vostri in cambio della vita de Spadino... potevi dì qualcosa invece de partì in quel modo>>
<<Ero da solo, Angè! Che cazzo dovevo fa? Prende un tè e du chiacchiere co a famija tua?>>
<<E allora ce potevi pensà prima e portà qualcuno dei tuoi!>>
<<Senti regazzì, m'hai rotto r'cazzo: se dici n'altra parola da qui a che arrivamo te lascio pe strada>> sbottò allora Aureliano. Non voleva essere aggressivo con lei, anche perché stavano solo parlando e in gran parte aveva ragione, però era esausto e nervoso. Quella giornata gli sembrò infinita e non vedeva l'ora di tornare a casa sua per ragionare con calma sul da farsi.
Angelica, come a voler sfidare la pazienza dell'uomo, sussurrò, più a se stessa che all'altro un rassegnato <<chissà che ce trova in te Spadino>> per poi appoggiarsi al finestrino a guardare con disinteresse il panorama. Ma, contro ogni sua aspettativa, Aureliano la sentì.
<<Che cazzo hai detto?>> chiese, sperando di aver capito male.
<<Niente>> fu la gelida risposta di Angelica, e Aureliano preferì non indagare oltre sull'argomento.