Quella mattina a Spadino bastò affacciarsi alla finestra per capire che le cose stavano andando come aveva temuto: appena fuori i cancelli della proprietà Anacleti, vide parcheggiato lo scooter di Samurai. Andò in bagno a lavarsi il viso e si guardò per alcuni secondi allo specchio indeciso sul da farsi. L'unica soluzione che gli veniva in mente era affrontare il suo destino e sperare che Manfredi avesse un po' di pietà. Non aveva chiuso occhio quella notte, aveva dovuto fingere di dormire solo quando Angelica si era svegliata, ma poi era uscita lasciandolo solo. Gli dispiaceva anche per lei, l'avrebbe lasciata vedova troppo giovane e incinta del loro primogenito. Non se l'era mai meritata una ragazza come Angelica, ma nonostante tutto aveva imparato a volerle bene.
Neanche venti minuti più tardi vide il Samurai lasciare casa Anacleti e capì che era giunto il momento di affrontare Manfredi.
Si vestì come al solito: indossò una tuta larga con la scritta "king" borchiata sulla schiena e un paio di Jordan rosse e nere. Si sistemò i capelli con il gel guardandosi allo specchio, come se stesse uscendo per i suoi soliti giri. Si ricordò di aver lasciato le sue catene d'oro, che abitualmente portava sempre al collo, al locale due giorni prima, ma non se ne preoccupò. Non gli interessava se gliele avessero rubate, tra l'altro cosa molto probabile dato il loro valore, anzi si sentiva leggero come non mai.
Indossò una giacca nera sopra la felpa e si assicurò di avere con se il coltello a serramanico.
Uscì dal suo appartamento per ritrovarsi nel cortile pieno di bambini che giocavano, alcuni di loro lo salutarono anche e lui rispose con un cenno del capo, invece prestò attenzione a ignorare gli adulti. Entrò nella sala principale come faceva ogni mattina per andare a fare colazione e percepì sulla pelle l'aria tesa e lo sguardo di tutti puntati su di se. Arrivò al tavolo e trovò Manfredi in piedi dietro al posto di capotavola che lo guardava con le braccia conserte.
<<Nun se magna stamattina?>> chiese come se non fosse al corrente della situazione.
<<Spadì dobbiamo parlà>> disse suo fratello. Vide con la coda dell'occhio tutti gli uomini che erano rimasti in cortile entrare nella grande sala e circondarli.
<<Annamo dellá>> Spadino indicò allora le scale che portavano al piano superiore e all'ufficio di Manfredi.
<<No, è na questione che riguarda tutta la famija>> spiegò l'altro con decisione. Si guardò intorno e non trovò sua moglie.
<<N'do sta Angelica?>> chiese facendo scorrere lo sguardo su tutti i presenti.
<<C'aveva da fa>> rispose sbrigativo Manfredi e poi attirò nuovamente l'attenzione del fratello su di se tossendo.
<<Stamattina m'è venuto a parlà Samurai e m'ha detto una cosa su de te>> mentre spiegava, il fratello minore continuava a guardarlo con un sopracciglio alzato come se gli stesse facendo perdere tempo.
<<È na vita che ce piji tutti per il culo Spadì, quando c'avevi intenzione de diccelo?>> chiese con tono sprezzante.
<<Non so de che stai a parlà>> rispose semplicemente Spadino senza abbassare lo sguardo.
<<Si che lo sai>> si intromise con cattiveria la madre che fino a quel momento non aveva proferito parola osservando la scena.
<<E dovresti chiede scusa a tutti pe avè mentito>> aggiunse, guardandolo come se si vergognasse di lui.
<<Io non devo chiede scusa proprio a nessuno>> disse mostrando i denti in un sorriso finto che gli si spegneva negli occhi terrorizzati. Allargò le braccia ad indicare tutti i presenti, facendo intendere che non stava parlando solo con la madre e il fratello, imitando uno dei suoi soliti gesti teatrali. A quel punto Manfredi con un'espressione di disprezzo fece un veloce cenno col capo. Quattro ragazzi si avventarono su Spadino, che non ebbe neanche il tempo di realizzare cosa stesse succedendo, e lo buttarono per terra iniziando a riempirlo di calci e pugni. Spadino chiuse gli occhi e la sua mano non riuscì a raggiungere il coltello in tempo.Colpì con tutta la forza che aveva nelle braccia brandendo il pesante candelabro d'argento e vide il ragazzo di spalle davanti a se cadere per terra privo di sensi. Angelica si prese un secondo di tempo per metabolizzare la sua azione e riprendere fiato, poi si mise a cercare nella giacca dell'uomo steso a terra il suo cellulare. Quando lo ebbe trovato compose il numero dell'unica persona che la potesse aiutare.
<<Pronto chi parla?>> rispose dopo appena due squilli la voce dall'altro lato della linea.
<<So Angelica Anacleti, parlo co Aureliano Adami?>> chiese sperando che l'altro non le attaccasse il telefono in faccia.
<<Si, perché me chiami tu? È successo qualcosa?>> la voce di Aureliano era chiaramente preoccupata e Angelica tirò un sospiro di sollievo.
<<Vogliono ammazzá Spadino, me devi aiutá>> spiegò velocemente senza soffermarsi sui dettagli.
<<Chi lo vole ammazzá?>> Aureliano era nel panico e non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Aveva lasciato Spadino a casa sua la sera precedente, cosa poteva mai succedergli in famiglia?
<<Manfredi e tutti quell'altri. Te prego fai presto, inventate qualcosa perché io da sola nun posso fa niente>> Angelica attese con le lacrime agli occhi la risposta dell'uomo e si accorse che le stavano tremando le mani per la paura.
<<Arrivo>> disse solo dopo alcuni interminabili secondi Aureliano e poi chiuse la chiamata.
Compose di fretta un altro numero mentre si infilava le scarpe e usciva correndo senza preoccuparsi di portare con se una giacca. Ringhiò contro l'apparecchio elettronico qualche imprecazione mentre sentiva il rumore degli squilli e salì in macchina sbattendo lo sportello.
<<Aureliá te chiamo dopo che sto...>> lo avvertí a bassa voce Lele, che aveva risposto solo per l'insistenza degli squilli.
<<No me servi subito: mo piji tutte le volanti che trovi e vai a casa Anacleti co le sirene spiegate>> disse con un tono che non ammetteva repliche.
<<Non posso entrà così senza un mandato, poi figuriamoci a casa degli zingari!>> urlò Lele a bassa voce.
<<Nun t'ho detto che devi entrá, basta che je fai paura finché n'arrivo io>> Aureliano nel frattempo stava guidando ad una velocità esagerata, facendo sorpassi per i quali si sarebbe meritato il ritiro immediato della patente. <<Lele datte 'na mossa o giuro che t'ammazzo>> lo minacciò per convincerlo ad ascoltarlo: in fondo era così che era abituato a lavorare.
<<Cinque minuti e sono lì>> rispose allora il poliziotto e chiuse il telefono.