7. Alberto

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Spadino e Aureliano rientrarono all'albergo dopo aver risolto il problema dei corpi dei due zingari. L'ora di pranzo era passata da un pezzo ma avevano entrambi lo stomaco chiuso, un po' per lo spavento e un po' per la visione, non esattamente piacevole, di tutto quel sangue e quella pelle bruciata. Durante il viaggio in macchina non avevano quasi parlato, se non per decidere il luogo in cui nascondere i cugini di Spadino.
Aureliano era preoccupato. Non si era turbato così tanto neanche quando aveva saputo che il Samurai voleva ucciderlo, infatti non era una cosa strana per lui avere una taglia sulla testa. Ciò che lo mandava fuori di se era che gli zingari erano venuti fino a lì, nei suoi territori di Ostia in una sua proprietà, solo per finire il lavoro che avevano iniziato. Volevano fare fuori Spadino, non era Aureliano il loro obiettivo. Poi se nello scontro fosse morto anche l'ultimo erede della famiglia Adami tanto di guadagnato per i loro affari, ma non era indispensabile. Aureliano sperava che quell'attacco fosse solo una rappresaglia organizzata da due ragazzini che non avevano di meglio da fare, anche se non poteva escludere che dietro a tutto ciò ci fosse l'ordine di Manfredi. Se così fosse stato, i problemi per Spadino erano appena iniziati e si trovavano entrambi in pericolo.
Al contrario, Spadino sembrava soddisfatto del loro lavoro. Era stanco, con due occhiaie profonde e il volto pallido. In fondo non si era ancora ripreso del tutto dal pestaggio di pochi giorni prima. Nonostante avesse l'aspetto di uno straccio appena uscito dalla lavatrice, era sereno e soddisfatto, per la prima volta dopo tanto tempo di sentiva realizzato. Aveva ucciso suo cugino, quello stesso cugino che tante volte lo aveva umiliato davanti a tutti e che lo aveva costretto ad uccidere Teo. Aveva mandato un segnale forte alla sua famiglia: Spadino non si sarebbe più arreso davanti a loro ed era molto più forte di quanto credessero. Era un leader molto più di quanto sua madre pensasse, era più intelligente di Alex, e il risultato di quell'imboscata bastava a dimostrarlo.
Più di ogni altra cosa, Spadino era felice perché sapeva dove poteva trovare Manfredi. Alex glielo aveva servito su un piatto d'argento. Non era neanche solo stavolta, poteva contare sull'aiuto di Aureliano. Se pensava a loro come una squadra un sorriso spontaneo nasceva sulle sue labbra. Si ripeteva nella testa una frase come un mantra "insieme, come ai vecchi tempi". Dopo mesi si sentì di nuovo parte di qualcosa, soprattutto di qualcosa che gli faceva salire l'adrenalina alle stelle al solo pensiero.
A casa sua non era mai stato fisicamente solo, anzi era difficile anche avere un po' di privacy la maggior parte delle volte. Ma aveva smesso di sentirsi parte di quella famiglia quando aveva capito che non sarebbe mai stato accettato per quello che era. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato lo sguardo severo di sua madre nel dirgli che in quella casa doveva diventare ciò che non era. L'unica forza che lo aveva convinto a tenere duro era stata Angelica nell'ultimo periodo. Nonostante lui non fosse neanche lontanamente il marito ideale che lei aveva sognato da bambina, era rimasta sempre dalla sua parte, aveva fatto carte false per aiutarlo e alla fine gli aveva anche salvato la vita. L'unico rimpianto infatti era abbandonare quella ragazza, che più che moglie era diventata un'amica, nelle mani della famiglia Anacleti.
Le scene della sparatoria si riavvolgevano come un nastro nella testa di Spadino, che ricordava con una punta di orgoglio il suo piano per uscirne vivi, e con tenerezza il fatto che Aureliano si fosse fidato di lui, anche se non aveva la più pallida idea di cosa volesse fare. Lo aveva ascoltato, nonostante non sembrasse troppo convinto, quando lo zingaro gli aveva detto di non iniziare a sparare, ed era rimasto fermo a guardarlo mentre metteva in atto il suo piano. Ripensando a quella scena, Spadino sentì risuonare nella sua testa le parole di Aureliano "Albè che cazzo cerchi?" e si chiese se la sua mente non gli stesse facendo uno scherzo di pessimo gusto. L'ipotesi che avesse dato per scontato quelle parole nel momento in cui l'amico le aveva pronunciate, era più che plausibile. Ma a posteriori quell'idea iniziò a rimbalzare nella sua testa senza la minima intenzione di uscirne.
Non pensava che Aureliano conoscesse il suo vero nome, per lui era sempre stato Spadino. Nelle questioni di affari era sempre e solo stato Spadino. Quel nome per lui aveva un non so che di intimo che gli faceva crescere una fastidiosa morsa alla bocca dello stomaco. Ed era più che sicuro di aver mangiato hamburger quella mattina, non farfalle.
La voce del ragazzo più grande interruppe le sue elucubrazioni, e solo in quel momento si rese conto che dall'esterno dovesse sembrare imbambolato.
<<Tutto apposto Spadì?>> gli domandò per scollare i suoi occhi dalla finestra che stava fissando da diversi minuti, come se fosse perso nel suo mondo immaginario. Spadino scosse la testa e posò lo sguardo su Aureliano. Si era seduto distrattamente sulla spalliera del divano quando era entrato, ma ormai le sue gambe non sembravano avere la forza di permettergli di alzarsi. Non si era neanche accorto che nel frattempo l'amico si era cambiato la maglietta sporca di sangue e ne teneva in mano un'altra, probabilmente per lui.
<<Si sì, stavo solo a pensà a quello che è successo>>
<<M'hai messo paura: so tornato e t'ho trovato a fissá 'a finestra mentre sorridevi come 'n cojone>> spiegò mente lo studiava con gli occhi per capire se fosse effettivamente tutto apposto.
<<Stavo a pensà...>> ribadì Spadino come se fosse incerto se continuare la frase oppure no. Abbozzò un sorriso mentre si guardava la punta delle scarpe, poi decise non ci sarebbe stato nulla di male nel dire ciò che pensava, al massimo sarebbe risultato un coglione, ma tanto Aureliano era già convinto che lo fosse: <<Ieri a 'na certa m'hai chiamato "Alberto">> sputò fuori alla fine.
<<Embè? Perché n'è il nome tuo?>> chiese Aureliano, abbastanza stupito da quella domanda. Si era aspettato tutt'altra spiegazione. A Spadino sembrò che l'altro si fosse messo inspiegabilmente sulla difensiva, quindi decise di continuare a stuzzicarlo.
<<Si ma nun pensavo che lo sapessi, non te l'ho mai detto>>
<<Guarda che a casa mia se parlava dell'Anacleti da molto prima de conoscete>>
<<È che nun me ce chiama mai nessuno>>
<<Sarà stata l'adrenalina del momento Spadì, che te devo dì. Ma perché è 'n problema? Se te devi fa tutte 'ste pare n'te ce chiamo più>>
<<Oh n'te scaldà, me l'hai chiesto e t'ho risposto>> si difese bruscamente Spadino. La reazione di Aureliano gli era sembrata eccessiva, come se fosse piccato dalla sua insinuazione, ma preferì lasciar cadere il discorso perché odiava litigare con lui, soprattutto se dovevano farlo per cose così stupide. Adorava dargli fastidio e vederlo sbuffare ma aveva segretamente timore di ritrovarsi davanti Aureliano seriamente incazzato con lui.
<<Parlamo de cose serie invece: tocca organizzasse bene pe venerdì>> cambiò discorso.
Aureliano gli lanciò la maglietta a maniche corte sulle gambe. <<Tiè, intanto cambiate>> gli disse <<Tu cugino ha detto che vanno co 'na machina sola, quindi al massimo ce trovamo cinque zingari, il Samurai e lo scagnozzo suo>> ipotizzò. Nel frattempo Spadino si era tolto la felpa e sfilato la maglietta, che ormai era intrisa di sudore e sangue. Osservò la maglia che gli aveva prestato Aureliano. Era decisamente più sobria di quelle che si comprava lui, era semplicemente bianca con un piccolo logo nero vicino al collo. La indossò e gli venne da ridere perché gli andava enorme. La cucitura delle spalle gli cadeva troppo in basso lungo le braccia e se si fosse alzato in piedi l'orlo gli sarebbe arrivata a metà coscia. Anche Aureliano lo stava guardando e si stava trattenendo dal ridere per non cambiare argomento.
<<De solito restano tutti in machina tranne Manfredi perché il Samurai n'ce li vole troppi zingari intorno>> spiegò Spadino, che in passato aveva accompagnato il fratello a diversi incontri al maneggio come quello.
<<C'ha pure ragione, quel vecchio demmerda>> lo prese in giro Aureliano e lo zingaro, in risposta, appallottolò la maglietta sporca e gliela tirò puntando alla testa. Il più grande fu abbastanza veloce da bloccarla con le mani tra le risate di entrambi. In quel momento si resero conto che non importava quanto grandi fossero i loro problemi, se erano una squadra niente poteva rubargli il sorriso e la voglia di combattere. In fondo quella era la loro vita, avevano solo trovato qualcuno che la rendesse un po' meno dura.
<<Sei 'no stronzo>> lo rimproverò Spadino per la battuta di pessimo gusto che aveva fatto.
Aureliano si avvicinò a lui e gli passò una mano tra i capelli, come a volergli spettinare quel poco che era rimasto della cresta, per poi superarlo. <<Sto a scherzà>> gli disse, e Spadino avrebbe voluto rispondere che lo sapeva ma le parole gli morirono in gola. Avrebbe voluto anche che quella mano restasse tra i suoi capelli per sempre, mentre l'altra se la immaginava decisamente altrove. Il suo timore era che Aureliano potesse percepire i suoi pensieri poco casti nei suoi confronti, tanto erano vividi, soprattutto quando gli era così vicino. Per levarsi dall'impaccio iniziò a cercare il pacchetto di sigarette nelle tasche dei pantaloni. Ne tirò fuori una, la sistemò tra le labbra e si mise alla ricerca dell'accendino.
<<Comunque io ce so stato al maneggio: so spazi grandi e c'è pure posto pe nascondese>> iniziò a spiegare. Aureliano lo ascoltava, o almeno così sembrava, e lo guardava mentre cercava di accendere la sigaretta. Fece diversi tentativi ma alla fine si trovò ad imprecare perché l'accendino era scarico. Doveva averlo consumato tutto per dare fuoco allo straccio impregnato d'olio durante l'attacco di Alex. Aureliano fece il giro del bancone, ormai trivellato di colpi, e prese l'accendigas a forma di pistola che stava in un cassetto. Tornò da Spadino e glielo porse, ma il più piccolo, invece di prendere l'oggetto, alzo le mani in alto in segno di resa, come se Aureliano gli stesse puntando addosso una vera pistola. Aveva un sorriso furbo Spadino, e l'esperienza di chi sa provocare usando solo gli occhi. Lo guardava insistentemente, con le mani a mezz'aria e la sigaretta tra la curva di un sorriso che diceva più di mille parole. Non si stava veramente arrendendo. Al contrario, aveva appena colpito il nemico nel suo punto più debole.
Aureliano aveva la bocca asciutta e non voleva parlare. Stette al gioco e puntò l'accendigas come una vera arma. Si sentiva un'idiota a farsi prendere in giro in quel modo ma non riusciva a nascondere che vedere Spadino così arrendevole gli faceva quasi piacere. Uscì dal quello stato di trance momentaneo ed avvicinò l'accendigas all'estremità della sigaretta. Accese la fiamma e Spadino aspirò il primo tiro senza staccare gli occhi da quelli blu dell'amico, dal basso in alto.
Aureliano si costrinse a guardare altrove e poi si sedette sulla spalliera del divano a fianco al sinti, con i gomiti puntati sulle ginocchia, la schiena piegata in avanti e la fronte premuta sui pugni chiusi.
<<Nun potemo facce vedè co 'na machina pure noi, tocca arrivà pe campi>> ragionò ad alta voce.
<<'Namo a cavallo così n'ce becca nessuno>> propose sorridendo Spadino.
<<Ao ma voi fa il serio? Sto piano è 'n suicidio e te pare che stai a annà alle giostre>> lo sgridò Aureliano ma non poté fare a meno di ridere a sua volta. Rise perché aveva avuto paura di non vederlo mai più quel lato di Spadino, dopo il pestaggio, invece era tornato possibilmente più coglione di prima. E l'aver ucciso suo cugino doveva aver contribuito positivamente all'impresa, come un balsamo per il suo orgoglio. Allungò una mano verso il viso di Spadino e gli sfilò la sigaretta dalle dita. Fece un paio di tiri tenendo a lungo il fumo nei polmoni e chiuse gli occhi.
<<Da quand'è che fumi?>> gli chiese il più piccolo.
<<Da quando ce stai te che me stressi>>
<<Nun pensavo de esse così importante da fatte stressà>> Spadino usava ancora lo stesso tono spiritoso di pochi secondi prima, ma il sorriso era sparito dal suo volto ed aveva puntato gli occhi sulle sue scarpe.
<<Tiè, mettite questa in bocca così dici meno stronzate>> rispose Aureliano mentre gli riavvicinava la sigaretta, con ormai pochi tiri rimasti, alle labbra. Spadino la prese con due dita e fece un altro tiro. Si girò a guardarlo e si accorse che Aureliano stava facendo la stessa cosa.
<<Comunque tocca occupasse prima de quelli che restano a fa la guardia, e tocca fallo senza fa troppo rumore, e poi potemo entrà>> decise di tornare sul discorso principale, lo zingaro.
<<Chiedo a Romolo de rimediamme un paio de silenziatori, nun ce so problemi>> Aureliano rispose ma con la mente viaggiava su un altro binario. Non aveva staccato gli occhi dal viso di Spadino neanche un istante, come ipnotizzato dal fumo che ad intermittenza usciva dalle sue labbra e dalle narici.
<<Però poi se dovemo occupà de Boiardo>> continuò a parlare anche se la voce era sempre più bassa.
<<Nun se potemo mica mette a cercallo pe tutto 'r maneggio, capace che manco ce sta>> replicò Spadino. Si era reso conto che l'amico aveva perso la concentrazione e stava parlando tanto per tenere occupata la bocca e dissuadersi dal fare altro.
<<Che cazzo dici? Te pare che Samurai se fa venì li zingari in casa e se fa trovà disarmato?>> provocò allora Aureliano, sforzandosi di rimanere lucido e imponendosi di pensare al piano. La sua sessione di training autogeno, tuttavia, diede scarsi risultati.
<<Che vorresti di? Guarda che ce vanno solo pe affari>> si mise subito sulla difensiva il più piccolo.
<<Si ma n'se sa mai co voi>> Aureliano decise di togliersi dall'impaccio rigirando un po' il coltello nella piaga.
<<Guarda che cell'hai pure tu 'no zingaro in casa>> ormai Spadino stava quasi ringhiando e si era fatto pericolosamente più vicino.
<<E infatti io so armato>> tuonò quell'ultima affermazione e vide che Spadino era pronto a prenderlo a pugni se avesse aggiunto una sola parola ancora. Premette il grilletto dell'accendigas che aveva ancora in mano e solo quando glielo puntò all'altezza del petto vide i lineamenti dell'amico rilassarsi. Bastò un istante per ristabilire la pace in quella miscela esplosiva che erano quei due vicini.
A quel punto Spadino si rese conto di quanto fossero effettivamente vicini, e Aureliano gli stava sorridendo minacciandolo con un attrezzo da cucina. In nessuno scenario della sua immaginazione era mai successa una cosa del genere, e non sapeva cosa diavolo fare.
Decise di interrompere quello scambio di sguardi per evitare che l'altro si accorgesse del rossore che inevitabilmente sarebbe apparso sul suo viso. Caricò Aureliano con tutto il peso del suo corpo, anche se non era molto in realtà. Lo colpì in pieno petto con una spallata e lasciò che l'effetto sorpresa facesse il resto. Aureliano perse l'equilibrio e cadde all'indietro, finendo per ritrovarsi scompostamente sdraiato sul divano. Spadino dall'alto si gustava la sua espressione incredula e rideva di gusto.
<<Viè qua che t'ammazzo>> lo minacciò stringendo in un pugno il colletto della maglietta di Spadino, e poi lo trascinò senza troppa delicatezza su di se. Un'esplosione di risate scomposte riempì la stanza di ritrovata e fragile spensieratezza.

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