3. Catene

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Aureliano non aveva chiuso occhio. Erano passate quasi tre ore da quando Spadino si era addormentato sulle sue gambe e il più grande era rimasto seduto sul divano per non svegliarlo nonostante non riuscisse a prendere sonno. Chiuso com'era in quella discoteca non poteva vedere se il sole fosse sorto ma ne era abbastanza certo.
Aveva passato le ore precedenti a domandarsi perché Spadino avesse reagito così male contro di lui, che in fondo, seppur con i suoi modi poco gentili, aveva solo cercato di aiutarlo. Odiava perdere il controllo, per questo non beveva quasi mai, e sopportava poco anche che lo facesse un suo amico. Adorava lo Spadino allegro, quello che improvvisava balletti e cantava a squarciagola in macchina, adorava anche vederlo in azione con il suo coltello e la sua espressione minacciosa. Però non lo sopportava quando si intestardiva sulle cose, quando lo sentiva parlare con aria rassegnata della sua famiglia e, soprattutto, quando era ubriaco.
Nonostante ciò poche ore prima non se l'era sentita di lasciarlo da solo al locale in quelle condizioni, anche perché alla fine sembrava essersi calmato.
Il biondo controllò l'orario sul display del telefono e si accorse che era più tardi di quanto non avesse immaginato e lui, come al solito, aveva i suoi giri da fare e i suoi affari da mandare avanti. Nonostante la giovane età, aveva Ostia sulle spalle.
<<Sveiate Spadì>> disse afferrando le spalle dell'amico e spostandolo dal proprio corpo senza troppa grazia. Dall'espressione insofferente di Spadino capì che forse era stato un po' troppo brusco ma non se ne curò più di tanto.
<<Ammazza che delicatezza...>> si lamentò infatti il più piccolo mentre si massaggiava le tempie con movimenti circolari delle dita.
<<Sto sotto a n'treno>> borbottò ancora, lamentandosi per l'acuto mal di testa.
<<Troppo poco! Magari la prossima volta ce pensi du volte prima de scolá na bottiglia>> Aureliano lo guardò con aria truce, come un padre che rimprovera il figlio per aver fatto sega a scuola.
<<Nun ce sta na prossima volta... promesso>> disse Spadino guardandolo negli occhi, tenendo le mani alte e ben in vista, come se gli stessero puntando un'arma contro, per assicurargli che non stesse incrociando le dita.
Aureliano rise pensando a quanto fosse infantile. Spadino rise pensando che quella era probabilmente l'unica promessa che non avrebbe infranto in vita sua: aveva ancora un giorno, non avrebbe avuto il tempo di ubriacarsi di nuovo.
<<Non sei in condizioni de guidá, te accompagno a casa>> disse Aureliano dopo qualche minuto di silenzio. Io moro sapeva che sarebbe stato inutile contraddirlo e infatti non lo fece. In ogni caso non se la sentiva neanche tanto di guidare con quei postumi.
Aureliano notò le catene d'oro di Spadino che aveva abbandonato sul tavolino la sera prima: <<quelle nun le prendi?>> chiese distrattamente mentre controllava di avere tutte le sue cose nelle tasche della giacca.
<<No, me pesano>> rispose seccamente lo zingaro dandogli le spalle. Aureliano trovò strano il suo comportamento perché non l'aveva mai visto senza tutti quei gioielli pesanti addosso, ma decise di non fare domande: Spadino non sembrava in ogni caso disposto a dirgli di più. Senza tutto quell'oro addosso, sembrava quasi un ragazzo normale che aveva semplicemente litigato con il barbiere oppure che aveva perso una scommessa.
Uscirono insieme dal locale, Aureliano mise in moto la Wrangler mentre aspettava che l'altro chiudesse a chiave la porta sul retro, poi Spadino salì sul lato passeggeri.
<<Mettete la cintura che sennò sona fino a Ostia>> si lamentò Aureliano poco dopo essere partito.
<<C'hai da fa stamattina?>> chiese Spadino mentre guardava il panorama fuori dal vetro.
<<Qualche giro, come al solito, perché?>>
<<Nun me va de torná a casa mia. Posso vení co te?>>
<<Come te pare, ma nun devo fa niente de emozionante>>
<<È uguale>> rispose con decisione lo zingaro.
<<Ma Angelica n'te dice niente che nun ce stai mai a casa?>> domandò Aureliano, più per scherzare che per ottenere una vera e propria risposta.
<<Sai che me frega>> il tono di Spadino però non sembrava affatto divertito e il più grande temette di aver fatto la domanda sbagliata.
<<M'avevi detto che le cose andavano bene tra de voi...>> provò allora a rimediare.
<<Vanno come devono anná>> A quel punto si erano fatti entrambi seri e Aureliano poteva percepire la frustrazione dell'altro nell'affrontare quell'argomento. Però lui era suo amico e voleva aiutarlo, farlo sfogare e magari riuscire a farlo stare meglio dopo.
<<E che vordí Spadí?>> la testa di Spadino continuava a girare e gli ammortizzatori della Wrangler non lo aiutavano per niente.
<<Da quando te interessi della vita privata mia? No perché me pare de ricordá che l'ultima volta che t'ho parlato sinceramente me so beccato un po' de insulti, e nun me va de ripete>> disse con decisione lo zingaro. Voleva a tutti i costi mettere fine a quel discorso e voleva evitare di litigare con Aureliano. In fondo aveva ancora un giorno e voleva passarlo in tranquillità, in compagnia della sua persona preferita a scherzare e divertirsi.
<<Nun t'ho mai chiesto scusa per quella volta...>> Aureliano strinse un po' più forte le mani sul volante mentre prendeva l'uscita per Ostia.
<<Non me servono le scuse tue Aureliá>> lo interruppe immediatamente Spadino. Si sentiva a disagio a parlare di quell'episodio: si era fatto prendere dall'euforia e se ne vergognava ancora a distanza di mesi. Non si era mai aspettato che Aureliano gli chiedesse scusa, piuttosto pensava di essere lui a doverlo fare.
<<No sto a di davero: so stato no stronzo>> distolse per un attimo gli occhi dalla strada e guardò Spadino seduto al lato passeggeri per controllare che lo avesse sentito.
<<No so stato io un deficiente: non so come m'è venuto in mente de baciá uno coi capelli biondi ossigenati>> disse per sdrammatizzare quel momento che stava diventando fin troppo pesante per i suoi gusti e poi scoppiarono entrambi a ridere.
<<Nun penso che tu te possa permette de damme consigli sui capelli, guarda come vai in giro!>> lo prese in giro Aureliano, riferendosi alla cresta abbastanza appariscente dell'amico.
<<Si però a me me stanno bene. A te te stavano demmerda, poi co la ricrescita nun ne parlamo!>>
Quella era di gran lunga la cosa preferita di Spadino, scherzare e divertirsi con Aureliano, come due amici normali. Era l'unico modo di averlo tutto per se, chiusi in quella macchina più tamarra di loro due messi insieme, a sparare cazzate e sentire musica a tutto volume. Inoltre non voleva ammettere a se stesso di adorare vederlo guidare, con le braccia tese sul volante e gli occhi fissi sulla strada, e spesso si trovava a osservarlo senza rendersene conto. Erano quelli i momenti in cui non sentiva il bisogno di cercare con le dita il suo coltello dentro alla tasca. Si sentiva sereno e a volte riusciva anche a dimenticarsi della sua famiglia.
Passarono il resto della giornata in auto, girando praticamente tutta Ostia e le campagne circostanti e fermandosi quando Aureliano doveva parlare con le varie famiglie di affari. Consegnarono un paio di borsoni da palestra pesantissimi e Spadino potè facilmente immaginare cosa contenessero. Nella maggior parte dei casi Aureliano scendeva dalla Wrangler, scambiava due parole con i suoi sottoposti e ritirava mazzetti di soldi. Solo in un'occasione dovette tirare fuori la pistola da dietro i jeans e puntarla su due meccanici che evidentemente si erano permessi di fare di testa propria.
Spadino evitava di scendere dall'auto, non sapeva se ad Aureliano facesse piacere che le famiglie di Ostia lo vedessero in sua compagnia. Sapevano che in passato avevano fatto impicci insieme e che erano amici, ma lui era pur sempre un membro della famiglia Anacleti, e il fratello di Manfredi per di più.
Come ultima tappa andarono a casa di Romoletto, l'uomo che aveva praticamente cresciuto Aureliano al posto di suo padre.
Questa volta Aureliano fece cenno a Spadino di scendere dalla macchina e di aiutarlo a scaricare dal portabagagli una borsa piena di armi. Poi Spadino si allontanò nuovamente ma poté sentire chiaramente l'ultimo scambio di battute tra i due uomini prima di salutarsi.
Romoletto aveva messo una mano sulla spalla di Aureliano con un gesto paterno e gli aveva detto <<Stai attento de chi te fidi Aureliá>> con aria preoccupata, evidentemente riferito al ragazzo che lo aspettava in macchina.
<<Dopo de te me posso fidá solo de lui>> gli aveva risposto il ragazzo con decisione e allora l'uomo aveva annuito.
Ripartirono in silenzio, finalmente Spadino aveva spento la radio.
<<Te riporto a casa>> lo informò Aureliano prendendo la strada verso Roma. Avevano girato tutto il giorno e si stava facendo buio mentre l'espressione di Spadino diventava sempre più cupa.
Arrivarono nei pressi di casa Anacleti e lo zingaro chiese di fermare l'auto a qualche centinaio di metri, nel parcheggio di un vecchio magazzino ormai in disuso da anni. <<C'ho voglia de fa du passi>> si era giustificato.
La macchina era ferma da qualche istante ma Spadino sembrava non avere nessuna intenzione di scendere, l'altro lo guardò cercando di capire cosa gli passasse per la testa e poi spense il motore facendo girare la chiave.
<<Me voi di che c'hai?>> chiese per attirare la sua attenzione ma lo zingaro teneva gli occhi fissi su un punto indefinito davanti a se, quasi inespressivo.
<<Non saprei da dove cominciá... c'ho l'impressione che vada sempre tutto al contrario de come vorrei nella vita mia>> disse Spadino, sforzandosi di non incontrare gli occhi dell'altro per non crollare. Quel giorno era finito, l'indomani sarebbe stato un inferno. Non che non avesse affrontato giorni difficili in passato, aveva rischiato la vita centinaia di volte e non gli era mai importato. Quella volta era diverso: il suo destino non era nelle sue mani, era in quelle di suo fratello e sua madre e poi del resto della famiglia. Era sicuro che lo avrebbero ammazzato.
<<Spadí sta vita è na merda, però nun te poi rassegná... tocca solo aspettá che arrivi il momento giusto e poi te sembrerà che tutti i problemi che c'avevi so lontani e stupidi. C'hai na vita davanti pe realizzá i sogni tuoi, e so sicuro che prima o poi la famiglia tua capirà che sei meglio de quella merda de Manfredi>> gli disse Aureliano, e sapeva che le pensava davvero quelle cose perché non era il tipo da mettersi a consolare un amico.
<<Eh no Aureliá, nun poi aspettá che l'altri te capiscano o te diano ciò che vuoi, sennò mori incompreso e a mani vote. Lo devi fa sapé a tutti cosa voi e poi annattelo a pià. Perché te pare sempre che c'hai tempo, aspetti il momento giusto, aspetti che il mondo smette de girá ma quello nun se ferma pe du stronzi come a noi. Poi il tempo finisce e te rendi conto che nun hai concluso n'cazzo>> Non aveva mai visto Spadino così fragile come in quel momento. Aureliano aveva l'impressione che si stesse rompendo a poco a poco mentre lo guardava.
<<Ma perché me stai a di ste cose Spadì?>> chiese allora non riuscendo a nascondere un pizzico di preoccupazione della voce. Loro due non si erano mai persi in chiacchiere, non ne avevano mai sentito il bisogno. Scherzavano e si insultavano fino a riderne a crepapelle, sapevano di poter contare l'uno sull'altro nei momenti di pericolo, ma non erano di certo due persone sentimentali.
<<Nun me so mai fatto problemi a prendeme quello che volevo. Ho ammazzato gente, so andato contro alla famiglia mia, ho rubato, ho tradito, ho mentito... nun c'è manco bisogno che te lo sto a di. Però alla fine ognuno c'ha il suo punto debole, giusto Aureliá?>> Spadino alzò lo sguardo andando ad incontrare gli occhi blu dell'altro, poi sorrise amaramente e continuò:
<<E io me pensavo de esse invincibile, credevo de nun aveccelo sto punto debole del cazzo ma poi ho incontrato a te. E nun m'ero mai reso conto de quanto po esse pericolosa sta cosa>>
<<Spadì io nun so che ditte>> sapevano entrambi che Aureliano era una frana con le parole e odiava quel genere di situazioni.
<<Pe stavolta è meglio se nun dici niente, vabbè?>> chiese Spadino, e dal tono l'altro capì che gli stava chiedendo allo stesso tempo di fargli un favore e una promessa.
Aureliano annui. Si stavano guardando negli occhi da secondi che sembravano un'eternità. Il più grande era spiazzato dal discorso di Spadino, non aveva mai pensato che l'avrebbe sentito parlare in quel modo.
Spadino gli prese il volto con una mano e le dita dell'altra si andarono a intrecciare con i suoi capelli corti proprio sopra alla nuca, Aureliano capì ma non si spostò di un millimetro. Sgranò gli occhi e poi si impose di chiuderli quando l'altro catturò violentemente le sue labbra con le proprie. Il loro non era stato un bacio, sembrò più uno scontro tra due animali il lotta, e duro poco più di un secondo. Spadino l'aveva trattenuto con le mani come per non farlo spostare, ma Aureliano non ne avrebbe avuto comunque il tempo, e poi non gli era proprio passato per la testa.
Spadino aprì lo sportello della macchina e fece per scendere, ma all'ultimo si girò verso l'altro ragazzo. Aureliano lo stava guardando con quel suo tipico sguardo che avrebbe fatto scappare chiunque, ma, come aveva promesso, non diceva una parola e stava con la schiena rigida appoggiato al sedile di pelle. Era arrabbiato, tanto. Perché glielo aveva già chiesto a Spadino di non fare mai più una cosa del genere e invece quello, come sempre, aveva deciso di fare di testa sua.
<<Aureliá me devi fa na promessa>> disse Spadino con un piede già sull'asfalto. Non voleva scendere completamente perché aveva paura che l'altro partisse senza sentire ciò che aveva da dire. Aureliano continuò a non fiatare, un po' per non infrangere la promessa e un po' per evitare di menargli.
<<Promettime che te guardi le spalle e che da domani nun te fidi de nessuno>> disse semplicemente e a quel punto sembrò essere tornato il solito Spadino di sempre.
<<E perché me dovrei fidá de te?>> sbottò a quel punto Aureliano che non riusciva più a trattenere i nervi. Aumentò la stretta sul volante per tenere occupate le mani, immaginando che al suo posto ci fosse il collo di Spadino.
<<Lo sai perché>> rispose lo zingaro, allungando le parole come se fosse una cantilena con il fare di chi si è scocciato di ripetere sempre le stesse cose.
<<Porca puttana Spadì, t'avevo detto de nun fallo più! E mo sparisci che nun te voglio più vedè>> disse a voce più bassa e a denti stretti, come per trattenersi dal commettere gesti di cui poi si sarebbe pentito, tipo ucciderlo a mani nude in quel preciso istante.
<<Si ma n'te scordá mai che Spadino n'pia ordini da nessuno>> detto ciò, con il suo solito ghigno divertito, esibì uno dei suoi tipici inchini di congedo e si allontanò dall'auto, incamminandosi verso casa. Si sforzò di non farci caso ma sapeva che Aureliano non era partito da quel parcheggio per qualche altro minuto perché non aveva sentito il motore accendersi.

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