<<Tu ammazzi Samurai, io mi fratello e poi ognuno pe la strada sua>> erano state le prime parole che quel giorno Spadino aveva detto ad Aureliano, ed anche le uniche. E quello non era un giorno qualsiasi, per nessuno dei due.
Aureliano non si era fatto trovare all'hotel quella mattina. Era andato a fare una delle sue nuotate riparatrici in mare, come se ciò bastasse a farlo sentire meno in colpa per come si era comportato la sera prima.
Spadino si era svegliato più tardi ed aveva tirato un sospiro di sollievo quando si era reso conto di essere da solo. L'ultima cosa che voleva al mondo era parlare con quell'uomo.
Quella sera avrebbero messo a punto il loro piano. Sapevano che se tutto fosse filato liscio avrebbero risolto i loro problemi più grandi, eppure non riuscivano a pregustarne la soddisfazione.
Spadino mise qualcosa sotto i denti, guardando il panorama fuori dalla finestra di una delle sale di rappresentanza. C'era un matto che nuotava nell'acqua gelida del mare di Ostia. Ne poteva riconoscere a malapena la testa. Probabilmente un tedesco, pensò, perché sono solo loro che fanno queste cose.
Nello stesso momento Aureliano galleggiava oltre la boa, beandosi dei brividi di freddo che gli pizzicavano la pelle e riposando i muscoli prima di tornare indietro. Guardava verso riva il suo hotel. Pensava che avrebbe dovuto ristrutturarlo e riaprirlo. Era in un posto troppo bello per tenerlo chiuso. Scacciò via l'idea di occuparsene personalmente: avrebbe fatto scappare tutti i clienti con le sue maniere brusche, e poi non riusciva mai a trattenersi dal prendere in giro i tedeschi.
Quando Spadino aveva sentito il portone di vetro aprirsi, si era ritirato nella camera dove aveva dormito in quelle notti, portandosi dietro un paio di cornetti confezionati e una busta di patatine piccanti. Non aveva intenzione di uscire di lì e rischiare di fare incontri indesiderati prima che fosse strettamente necessario.
Si era sentito infantile, ma il suo orgoglio ferito reclamava un po' di pietà. Quella notte non era riuscito a piangere. Avrebbe voluto sfogarsi in modo da addormentarsi più facilmente, ma i suoi occhi erano asciutti come l'asfalto in estate. Aveva guardato per minuti interminabili la pistola che Aureliano aveva lasciato sul suo comodino la sera prima, ed aveva dovuto ricacciare indietro l'idea di riportargliela.
Doveva sopportare di vederlo solo un altro giorno, e poi avrebbe provato a dimenticarlo. Quell'uomo che gli aveva stravolto la vita trasformandola in una corsa sulle montagne russe. Alti e bassi. Spiritoso e amico, e poi minaccioso e codardo. Prima gli si concedeva e poi lo faceva sentire la persona peggiore del mondo. Ma quella mattina Spadino decise che avrebbe smesso di perdere tempo e sonno dietro a chi non poteva renderlo felice.
Aureliano si era sentito sollevato quando, al suo rientro all'hotel, non aveva incontrato lo zingaro. Occupò il tempo dedicandosi a controllare e caricare le pistole che gli sarebbero tornate utili di lì a poche ore. Senza neanche pensarci ne preparò un paio anche per Spadino, perché non poteva presentarsi armato solo del suo inseparabile coltellino.
Ripensò ai baci della sera prima e si diede dell'idiota per essersi eccitato per così poco, come un ragazzino alle prime armi. Sarebbe scappato in quello stesso instante, ma Spadino se ne era già accorto e lui l'aveva sentito sorridere soddisfatto sulla sua pelle. Il ricordo di quelle sensazioni lo fece immobilizzare suo posto. Si maledì mentalmente un'altra volta per essersi fatto trascinare in quella confusione da Spadino. Ma in fondo sapeva che il vero responsabile dei suoi sentimenti non poteva essere nessun altro se non se stesso, anche se si ostinava a non ammetterlo.
Aureliano non si era mai considerato in grado di amare, tantomeno un uomo. Eppure continuava a sentirsi in colpa per essere scappato. Tentò di concentrarsi sul piano nelle ore successive, anche se con scarsi risultati. Gli occhi, di tanto in tanto, controllavano la porta chiusa della camera di Spadino.
Dovevano trovarsi al maneggio nel tardo pomeriggio: era solo quando andavano via i clienti che Samurai incontrava gente come gli Anacleti.
Poco meno di due ore prima Spadino uscì dalla camera, dove si era confinato per tutto il giorno, e raggiunse l'altro nell'ingresso dell'hotel. Entrambi non osarono distogliere lo sguardo dalla vetrata che regalava uno scorcio di tramonto sul mare. Poi Spadino parlò, non appena vide Aureliano aprire a bocca per dire qualcosa, per mettere le cose in chiaro prima che potessero sorgere dubbi: <<Tu ammazzi Samurai, io mi fratello e poi ognuno pe la strada sua>>. Non aveva nessuna voglia di sentire la sua voce, in quel momento riusciva solo a detestarlo per come lo aveva fatto sentire.
Aureliano si voltò per guardarlo e per lui fu come rimanere schiacciato dalla risolutezza solenne dell'altro.
Nessuno dei due aggiunse altro, si mossero solo per uscire dall'hotel e salire in macchina.
Il viaggio fu silenzioso, la radio spenta e gli sguardi allontanati dall'orgoglio. Aureliano fissava la strada, scaricando nel frattempo la tensione maltrattando il cambio, Spadino guardava fuori dal finestrino. La Wrangler sobbalzò con sofferenza quando Aureliano inserì la seconda al posto della quarta, ed entrambi furono spinti in avanti dai sedili. Spadino d'istinto si girò per guardare male l'altro, ma subito dopo si rese conto dell'errore e tornò a concentrarsi sulla strada.
Imboccarono una traversa di campagna che era parallela a quella che portava al maneggio del Samurai, ma divisa da essa da due campi seminati. Procedettero a fari spenti per qualche centinaio di metri facendo affidamento sul fuoristrada per non impantanarsi. I campi dovevano essere stati irrigati da poco perché erano praticamente inagibili. Non appena trovò un punto un po' più stabile Aureliano spense l'auto. Scesero e recuperarono le armi nel portabagagli, poi si guardarono intorno in cerca di una capezzagna agibile. Si misero in marcia affondando fino alle caviglie nella terra smossa, seguendo le luci che li guidavano al maneggio. Il sole stava calando lasciando spazio al buio e al freddo, ma i due ragazzi erano troppo tesi per percepirlo.
Una volta arrivati a destinazione, si appostarono dietro ad alcuni alberi abbastanza grandi da coprirli, in attesa del momento giusto per mettere in atto il piano.
Una sola auto era parcheggiata nello spiazzo sterrato, appoggiati ad essa stavano fumando quattro ragazzi dai capelli scuri e i tratti duri. Mancava solo Manfredi. Aureliano e Spadino non ebbero bisogno di nessun ulteriore indizio per capire che si trattava degli zingari.
Un cenno del capo e aprirono il fuoco contemporaneamente. Li colsero alle spalle e li videro agitarsi senza neanche avere il tempo di capire la direzione degli spari. Nella quiete della campagna, nonostante avessero usato i silenziatori, il rumore della sparatoria e le urla di dolore erano state inconfondibili. Tre ragazzi caddero subito a terra, e solo uno fu abbastanza veloce da ripararsi dietro l'auto. Rispose al fuoco con un paio di colpi ma era chiaro che non fosse pronto per uno scontro del genere. Spadino lo ferì ad una spalla facendogli perdere l'equilibrio, poi lo uccise con un secondo colpo. Corsero fuori dal loro nascondiglio e raggiunsero il muro esterno della scuderia. Le armi pronte a difenderli e i nervi a fior di pelle. Spalla a spalla, si diedero qualche secondo per regolarizzare i respiri. Si scambiarono un'occhiata d'intesa prima di entrare nell'edificio alla ricerca dei loro obiettivi. Per un istante fu come se la sera prima non fosse successo niente. La sicurezza di poter contare l'uno sull'altro era l'unica cosa che gli dava il coraggio di mettere in atto quel piano da pazzi. In quel momento più che mai non potevamo farne a meno.
Avanzavano lentamente, coprendosi le spalle a vicenda, lungo la scuderia. Aureliano controllava che non ci fosse nessuno nascosto nelle stalle dei cavalli.
<<Qua n'ce sta nessuno>> parlò sottovoce Aureliano dopo aver percorso quasi tutto il corridoio. Si separarono. Spadino andò a controllare la seconda uscita della scuderia ma vide solo un campo di sabbia distante qualche decina di metri. Si era fatto buio ma il cielo era sereno e lasciava che la luce della luna rendesse visibili le sagome.
Aureliano era rimasto indietro a controllare per sicurezza dentro ogni box. Si affacciò e un cavallo dal manto scuro lo guardò sorpreso sbuffando con una buffa arricciatura del naso, poi tirò indietro le orecchie in un gesto spaventato e si ritrasse nel fondo della sua stalla. Aureliano sentì un oggetto freddo posarsi tra le sue spalle. Nonostante fosse coperto dalla giacca di pelle non ci mise molto a capire che si trattava della canna di una pistola. Solo a quel punto percepì il respiro di un'altra persona dietro di se.
<<Butta la pistola>> gli ordinò una voce intrisa di disprezzo. Aureliano obbedì solo quando Manfredi gli spinse con più violenza l'arma tra le scapole.
Spadino sentì il rumore di un oggetto pesante che cadeva a terra e si voltò di scatto. Senza pensarci due volte puntò la pistola verso suo fratello e si avvicinò ai due lentamente.
<<Cammina>> Manfredi spintonò Aureliano in avanti facendogli quasi perdere l'equilibrio. <<Quel vecchio demmerda ce l'ha messo in culo a tutti pure stavolta>> ghignò per poi leccarsi le labbra <<però a me n'me fregate né voi né lui>>.
<<Abbassa la pistola>> gli intimò Spadino mentre lo teneva sotto tiro con la propria <<lui nc'entra n'cazzo, è 'na questione de famija>> disse a denti stretti, sperando che il fratello lasciasse andare Aureliano. Ma sapeva che non lo avrebbe fatto.
Il fratello sorrise amaramente, come a prenderlo in giro, scosse la testa senza spostare la pistola. <<Sto stronzo voleva comandà a casa mia>> poi si rivolse direttamente ad Aureliano, avvicinandosi minacciosamente alla sua testa <<A voi Adami qualcuno ve deve insegnà a abbassà la cresta>>. Aureliano non si lasciò impressionare dalla vicinanza dello zingaro, era più preoccupato del fatto che Spadino, sotto pressione, potesse fare qualche cazzata, che per la sua stessa vita. Cercava con lui un contatto visivo per fargli capire di stare calmo, ma invano. Spadino era letteralmente un fascio di nervi. La mano che teneva la pistola contro Manfredi tremava vistosamente, e gli occhi correvano veloci tre i due uomini che più aveva amato in vita sua: suo fratello ed Aureliano.
Non sarebbe stata la prima volta che tradiva la sua famiglia per il ragazzo di Ostia, ma era sempre meno convinto di essere in grado di uccidere suo fratello. E questo Manfredi lo sapeva bene, e non esitava ad usarlo come un'arma a suo favore.
<<E te n'te vergogni? Hai tradito la famija pe sto pezzo demmerda. Me pari n'cane ar guinzaglio>> disse rivolto al fratello minore, poi sputò nella sua direzione con un gesto sprezzante.
<<Ma questo chiacchiera sempre così tanto?>> Aureliano, ancora di spalle, aveva chiara in testa la situazione, si voltò un poco per poter guardare in faccia l'amico e lo trovò con gli occhi lucidi e stranamente silenzioso. In poche parole Spadino era nel panico.
<<Spadì vattene>> gli disse indicando con un cenno della testa l'apertura della scuderia da cui erano entrati. Sapeva che, qualsiasi cosa avrebbe deciso di fare Spadino, a lui un proiettile nel corpo non lo avrebbe tolto nessuno in quella situazione. Se Spadino se ne fosse andato, Manfredi l'avrebbe freddato quanto prima. Se avesse deciso di sparare a suo fratello, il capo degli zingari lo avrebbe colpito comunque, scatenando una scena in stile "Le Iene". C'era in ballo un inutile rischio di rimanere feriti entrambi, oltre al peso che Spadino di sarebbe portato sulla coscienza per il resto della vita: quello di aver ucciso suo fratello.
Dalla messa a punto di quel piano, Aureliano era sempre stato convinto che alla fine sarebbe stato lui ad uccidere Manfredi durante lo scontro. Non avrebbe permesso a Spadino di farlo neanche se ne avesse avuto il coraggio. Sapeva cosa significava puntare una pistola contro il suo stesso sangue, conosceva la debolezza dei sentimenti. È più facile odiare un'altra persona che se stessi.
<<No>> più che una risposta, quello di Spadino fu un sussurro a denti stretti. Neanche l'aveva guardato negli occhi Aureliano, come a tenere il punto della loro litigata.
Manfredi rideva di gusto, ma senza abbassare la guardia perché sapeva che il fratello era una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento.
<<Patetico>> ghignò, poi si fece più serio <<Spadì dimostra d'esse n'omo, e poi rientrà in famija. Te faccio 'na promessa: se spari a 'sto stronzo te fo tornà a casa, c'hai la parola mia>> gli disse.
Spadino si congelò sul posto. Suo fratello non aveva neanche tutti i torti: Aureliano era uno stronzo che lo aveva trattato di merda. In quel momento ciò che provava per lui erano astio e rancore, più che affetto. Però sapeva che sparando a quell'uomo avrebbe ucciso anche la sua libertà. Poche ore prima gli aveva detto di non volerlo più vedere, ma in quell'istante non poteva immaginarsi senza di lui.
<<Pensa a Angelica Spadì, devi torná da lei>> Manfredi lanciò un ulteriore attacco, sapendo perfettamente dove colpire.
Aureliano lo guardava e cercava i suoi occhi in cambio. La sua espressione era tranquilla, rassegnata, "fai la scelta giusta Spadì, non m'incazzo" ci avrebbe letto il più piccolo se solo avesse avuto il coraggio di guardarlo in faccia in quel momento.
Ma Spadino non lo vide. Suo fratello gli aveva insegnato a non abbassare mai la guardia e guardare fisso il bersaglio quando si ha una pistola in mano. Mosse lentamente il braccio allontanando la pistola dalla testa di suo fratello.
Un colpo inaspettato e il viso e il collo di Aureliano si riempirono di schizzi di sangue mentre un tonfo secco accompagnava la scena. Poi un urlo di dolore misto a rabbia impregnò l'atmosfera. Spadino quasi non lo sentì, concentrato com'era a non perdere di vista quel bersaglio imprevedibile. Manfredi si portò al petto quel che rimaneva della mano ferita e, prima che riuscisse a vomitare tutto il suo odio contro Spadino, Aureliano gli fu addosso buttandolo a terra.
Spadino abbassò istintivamente la pistola e rimase a guardare la scena come dallo schermo di un televisore. Aureliano sovrastava lo zingaro riverso sotto di lui. Schiacciò la mano ferita sotto il proprio piede mentre con l'altra gamba era inginocchiato per avvicinarsi e sentire meglio le maledizioni che Manfredi gli stava lanciando. Urlò ancora, poi si ricompose per una manciata di secondi e sputò sprezzante colpendo Aureliano su una guancia. Un primo pugno lo costrinse a voltarsi e incrociare lo sguardo con quello alienato di Spadino. Il secondo fu accompagnato da schizzi di sangue e ossa rotte. In meno di un minuto il volto di Manfredi era irriconoscibile ed il respiro appena percettibile.
Aureliano alzò la testa, guardò l'amico in cerca di un segno di assenso. Spadino capì che gli stava chiedendo il permesso di uccidere suo fratello. Serrò la mascella, prese un respiro profondo. Annuí.
Aureliano tornò a concentrarsi sull'uomo sotto di se. Afferrò la testa inerme per i capelli sollevandola e la sbatté violentemente a terra. Una chiazza rossa si allargò sul cemento liscio.
Aureliano si alzò pulendosi le mani sui jeans. Si avvicinò a Spadino e lo abbracciò sciogliendo tutta la tensione. Si rese conto che non si era mai esposto così tanto di sua iniziativa. Sentì il più piccolo restituire la stretta e abbandonare la testa sul suo petto. Spadino trattenne un paio di singhiozzi poi si staccò dal corpo dell'altro: <<Dobbiamo andarcene da qui>>. Usò il plurale senza neanche pensarci.FINE.