6. Vicent e Jules

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Era una giornata splendida di metà maggio. Il sole scaldava la sabbia della spiaggia di Ostia e il mare era calmo, liscio come una tavola. Aureliano aveva abbandonato i vestiti sulla riva e si era concesso una nuotata per liberarsi la mente da tutti i pensieri che in quei giorni la tormentavano. Era l'unico ad immergersi in acqua, perché per la maggior parte della gente era ancora troppo freddo. Si beò della solitudine. Era sempre stato bene da solo. Aveva lasciato a riva Spadino, il Samurai, Manfredi e tutti i loro problemi, e galleggiava finalmente leggero.
Erano passati un paio di giorni da tutto quel casino e quella stessa mattina Spadino sarebbe uscito dall'ospedale. Aureliano non era più andato a trovarlo perché pensava che fosse più prudente non farsi vedere insieme. Nonostante ciò, tutte le notti che Spadino aveva trascorso in ospedale, lui aveva mandato due dei suoi uomini più fidati a controllare che nessuno di sospetto si avvicinasse alla sua stanza. Non sarebbe stato difficile per gli zingari trovarlo e finire il loro lavoro in quelle condizioni.
Essendo anche lui in pericolo e a conoscenza delle intenzioni del Samurai nei suoi confronti, aveva preferito non tornare a villa Adami, ed era stato ospitato da Romoletto per due notti. Nel frattempo si era organizzato per trovare una sistemazione sicura per quando Spadino fosse uscito e si era occupato di reperire tutte le armi che potevano tornargli utili per mettere a punto il loro piano.
Siccome un piano ben preciso non c'era, Aureliano si era assicurato di avere qualsiasi cosa: dal veleno per topi, passando per diverse tipologie di pugnali, per arrivare ai suoi amati ferri, di ogni dimensione e tipologia. In ogni caso sarebbero stati pronti.
Uscì dall'acqua con i muscoli intorpiditi dal freddo e dallo sforzo e frizionò il corpo con un telo da mare fino a che non poté indossare i vestiti. Sentì il bisogno di farsi una doccia calda per togliere il sale di dosso.
Erano le otto del mattino. Aureliano mise le scarpe senza preoccuparsi della sabbia che era entrata e diede le spalle al mare. Fece un respiro profondo. Sarebbe diventato il re di Roma o sarebbe morto provandoci. Si incamminò verso l'albergo a passi lenti, senza mai voltarsi a guardare l'acqua.

Spadino firmò il documento che l'infermiere gli aveva lasciato e finalmente fu libero di lasciare l'ospedale. Ad aspettarlo trovò Romoletto, che lui riconobbe come l'uomo che aveva visto pochi giorni prima parlare con Aureliano. L'uomo lo salutò con un cenno del capo e gli disse di seguirlo a bordo di un'auto. Spadino si scoprì deluso di non aver trovato Aureliano lì ad aspettarlo. Per quanto sapeva che l'affetto che provava non sarebbe mai stato ricambiato in ugual misura, non poteva fare a meno di concedersi qualche fantasia, soprattutto nei momenti di solitudine. E in quei giorni ne aveva avuto tanti, di momenti di solitudine, e non aveva potuto far altro che lasciarli passare nel modo più veloce che aveva: pensando ad Aureliano.
Arrivarono a destinazione in poco più di un'ora e mezza,  a causa del traffico che bloccava le arterie principali di Roma. La prima cosa che Spadino pensò quando vide l'albergo a picco sul mare fu che si sarebbe dovuto abituare a convivere con l'odore della salsedine e con il rumore delle onde.
L'edificio era sorvegliato da tre uomini armati e ognuno di loro lo scrutò attentamente mentre saliva le scale per raggiungere all'ingresso dell'hotel. Solo una volta arrivato davanti al portone Romoletto lo salutò sbrigativamente e a Spadino non rimase che entrare.
Si chiuse la porta alle spalle e vide solo un'immensa stanza vuota di fronte a se. L'albergo doveva contare numerose stanze e, a giudicare dalla scarsezza del mobilio, non doveva mai essere stato aperto.
Rimase per qualche secondo impalato a guardarsi intorno, senza aver mosso un passo dopo aver oltrepassato la soglia della porta.
Una voce alla sua sinistra lo fece sussultare e girare di scatto.
<<Spadí>> l'aveva chiamato e Spadino si era fatto prendere in contropiede. Non era neanche sicuro che Aureliano conoscesse il suo vero nome fino a quel momento.
Dopo un attimo di silenzio Aureliano decise di interrompere il contatto visivo che si era creato tra di loro e alzò una mano sventolando una busta di carta che emanava un odore invitante.
<<Ho preso du hamburger pe colazione, vieni a mangià>> gli disse e Spadino, quasi uscendo dal suo stato di trance, lo seguì fino ad arrivare a quello che avrebbe dovuto essere il bar dell'albergo, ma che era stato adibito a semplice cucina. Tra l'altro era una cucina anche abbastanza sfornita, perché Aureliano aveva pensato a tutto tranne al fatto che avrebbero dovuto mangiare qualcosa nei giorni a venire. Sull'angolo più lontano del bancone c'era anche una giacca, quella che Spadino aveva lasciato all'amico mentre si trovava in ospedale.
Si sedettero sugli sgabelli su due lati differenti del bancone e Aureliano scartò i panini, poi ne passò uno a Spadino con la sua porzione di patatine e il bicchiere di Coca-Cola. Infine accese la vecchia radio che teneva sul bancone e cercò la frequenza di un canale che passava solo musica jazz. C'era una canzone allegra e dissonante ad accompagnarli.
<<Nun l'avevo mai mangiato n'hamburger pe colazione>> commentò dopo aver messo in bocca la prima manciata di patatine.
<<È 'na colazione completa, così te rimetti in forze>> rispose Aureliano con la bocca piena, accennando appena un sorriso in direzione dell'amico.
Finirono di mangiare in silenzio, poi Spadino saltò dentro al bancone rettangolare per lavarsi le mani, che erano rimaste unte a causa delle patatine. Aureliano lo seguì un secondo prima che fosse troppo tardi.
Una pallottola fischiò tra le loro teste, mancandoli miracolosamente entrambi, e si andò a conficcare nella parete in fondo alla sala, mentre una seconda rimase per pochi centimetri intrappolata nel legno del bancone davanti a loro.
Si lanciarono per terra prima che una seconda scarica di proiettili potesse raggiungerli e si guardarono con occhi sgranati.
<<Sono in due>> disse frettolosamente Spadino e poi fermò la mano di Aureliano che era andata meccanicamente a cercare la pistola nascosta nei jeans. <<Famoje crede che nun semo armati, così s'avvicinano>> spiegò a bassa voce.
Aureliano lo ascoltò, estrasse lentamente la pistola e la posò a terra in modo da poterla prendere velocemente quando gli fosse servita. Nel frattempo qualche altro sparo aveva colpito il legno del bancone o era passato radente alle loro teste. La canzone alla radio era finita e ne era iniziata un'altra, aveva un ritmo più veloce e concitato della prima.
Improvvisamente il rumore degli spari cessò e sentirono dei passi avvicinarsi.
Spadino afferrò uno sgabello di ferro, lo posizionò sopra la testa reggendolo con entrambe le mani e rimase in attesa del momento giusto per la sua mossa.
Non appena uno dei due uomini si affacciò al di sopra del bancone con la pistola pronta nella mano destra, Spadino lo colpì in faccia con lo sgabello con tutta la forza che aveva. Si sentì un insulto e uno sparo andò a colpire le assi del pavimento poco distante dalle gambe di Aureliano.
Il ragazzo era caduto a terra e, a giudicare dal silenzio appena ristabilito, doveva aver perso i sensi per la botta in testa.
<<È mi cugino>> bisbigliò lo zingaro, poi iniziò ad aprire gli sportelli interni del bancone, che  era attrezzato quasi come una cucina, come se avesse avuto una brillante idea improvvisa e stesse cercando qualcosa.
<<Albè che cazzo cerchi?>> gli domandò Aureliano che nel frattempo aveva recuperato la pistola e la teneva puntata sopra le loro teste. Non ricevette alcuna risposta ed emise un sospiro contrariato.
Spadino trovò ciò che stava cercando: uno strofinaccio da cucina e una bottiglia di vetro contenente olio d'oliva.
Legò un nodo all'estremità del panno in modo da creare un peso e rovesciò sopra di esso tutto l'olio che aveva a disposizione. Estrasse dalla tasca dei jeans un accendino e guardò in direzione dell'amico per capire se poteva procedere.
Aureliano lanciò un'occhiata fuori e vide che uno dei due uomini era effettivamente a terra ad un paio di metri dal bancone, mentre l'altro era ancora lontano e continuava a sparare nella loro direzione. Fece un cenno di assenso e Spadino diede fuoco allo strofinaccio per poi lanciarlo velocemente. Andò a colpire l'uomo steso a terra all'altezza della cintura e in pochi secondi la sua giacca prese fuoco.
Spadino e Aureliano non poterono vedere la scena, per non esporsi ulteriormente, ma sentirono distintamente le grida di dolore. La frequenza degli spari nella loro direzione aumentò. Il secondo uomo si avvicinò fino a raggiungere quello steso a terra per cercare di spegnere le fiamme. Intanto continuava a puntare la pistola contro il bancone e sparare per non farli uscire allo scoperto.
Aureliano capì che la direzione dei colpi era diventata meno precisa ed anche la frequenza era diminuita notevolmente. Un paio di pallottole si conficcarono nella radio portatile, interrompendo così la musica e facendola cadere a terra.
Mentre Spadino gli intimava un categorico <<N'ce devi manco pensà>> cercando di dissuaderlo da quelle che aveva capito essere le sue intenzioni, Aureliano si alzò in piedi e sparò due soli proiettili: uno colpì il polso dell'uomo che teneva la pistola in mano, l'altro gli passò da parte a parte un ginocchio. La pistola cadde dalle mani dello zingaro e il rumore metallico fu accompagnato da un urlo terrificante di dolore.
<<Quanti cazzo de cugini c'hai>> esclamò Aureliano dopo essersi messo nuovamente al riparo, scivolando a fianco a Spadino. Si scambiarono uno sguardo vittorioso.
<<'Namo>> disse Spadino e, dopo aver afferrato e messo in tasca un coltello che aveva trovato in uno degli sportelli, scavalcarono insieme il bancone per andare a controllare le condizioni dei due aggressori. Per prima cosa Spadino recuperò la pistola che era caduta al cugino e se la sistemò nei pantaloni.
Le fiamme intorno all'uomo a terra si stavano consumando ma le ustioni, arrivate fino al volto e alla testa, erano tanto gravi che quello aveva perso nuovamente i sensi. Aureliano gli piantò un colpo in testa e mise fine alle sue sofferenze, poi lo girò con la faccia contro il pavimento per soffocare completamente le fiamme.
Si voltò e vide che Spadino si stava avvicinando all'uomo ferito con il coltello tra le mani e una smorfia di odio e soddisfazione dipinta in faccia: davanti a se aveva suo cugino Alex, con una gamba da buttare e il volto esangue per il dolore. Aureliano lo affiancò e puntò la pistola contro lo zingaro sanguinante. Spadino gli mise una mano sul braccio che teneva l'arma e gliela fece abbassare. Il più grande si voltò per capire cosa avesse in mente: Spadino sorrideva beffardo ed aveva gli occhi che finalmente avevano ritrovato l'ardore perduto. <<Lascia fa a me>> gli intimò e Aureliano non fece nulla per impedirglielo.
Spadino raggiunse l'uomo a terra e si piegò sulle ginocchia per averlo più vicino, poi strattonandolo per il colletto della felpa si portò la sua testa tra le mani. Afferrò i capelli scuri di Alex per tenerlo fermo e gli puntò il coltello alla gola.
<<Dimme dove posso trovà Manfredi da solo>> lo minacciò. Alex alzò gli occhi per guardarlo con tutto l'odio di cui era capace e fece cenno di no con la testa. Spadino spinse il coltello, che essendo da cucina non aveva la lama particolarmente tagliente, più in profondità, fino a che qualche goccia di sangue non gli macchiò la mano. <<Parla o t'ammazzo come n'animale>> gli disse a bassa voce, ma con un tono che avrebbe fatto tremare chiunque. Aureliano era a pochi passi e guardava la scena, compiaciuto perché aveva temuto che Spadino fosse cambiato dopo ciò che gli aveva fatto Manfredi. Si era sbagliato: lo zingaro ne era uscito più forte di prima e soprattutto con un obiettivo ben preciso, quello di vendicarsi di suo fratello.
Alex aprì la bocca, ma solo dopo che Spadino strinse maggiormente la presa si decise a parlare: <<Venerdì c'ha 'n'incontro co Samurai al maneggio, vanno co 'na machina sola>> spiegò.
Spadino allontanò il coltello e si ripulì la mano dal sangue passandola sui jeans del cugino, il quale si contorse dal dolore perché gli aveva toccato la gamba ferita.
<<Bingo>> esclamò in direzione di Aureliano e trovò l'amico che lo guardava sorridente.
Prese più saldamente il coltello in mano e si avventò sulla gola di Alex. La lama seghettata non tagliò immediatamente la carne, ma fu necessario insistere muovendola a destra e a sinistra diverse volte prima che il ragazzo smettesse di urlare. Quando ebbe finito Spadino era tutto sporco di sangue, lasciò cadere il coltello a terra e si rialzò in piedi. Aureliano non aveva chiuso gli occhi neanche per un istante perché era troppo sbalordito dallo spettacolo a cui aveva appena assistito: non aveva mai immaginato che Spadino fosse capace di tutta quella freddezza.
Sentirono dei passi rimbombare in direzione dell'entrata dell'albergo e corsero a nascondersi nuovamente dietro al bancone, entrambi con le pistole in mano pronti a difendersi.
Il rumore si fece più vicino, fino a raggiungerli. Erano tesi come due corde di violino.
<<Aureliano!>> i due ragazzi sentirono una voce conosciuta e si scambiarono un'occhiata, poi tirarono un sospiro di sollievo: era Romoletto.
Aureliano disse ad alta voce <<So qua>> per non spaventarlo ed evitare di far partire colpi inutili e poi si alzò in piedi. Anche Spadino uscì dal loro nascondiglio e rimise a posto la pistola.
<<M'hai fatto prende un colpo, pensavo che eravate voi due>> esclamò l'uomo, visibilmente sollevato, indicando i due corpi abbandonati sul pavimento. Aveva la fronte imperlata di sudore e gli occhi lucidi.
<<C'hanno seguito dall'ospedale, 'sti bastardi, e poi hanno ammazzato tutti l'omini qua fori>> spiegò, e dal tono era evidente che si sentisse responsabile di quanto accaduto. Aureliano gli mise una mano sulla spalla e aspettò che l'uomo lo guardasse negli occhi per poi dire <<N'è stata colpa tua, Romolè. Hai fatto quello che t'ho chiesto io>> lo rassicurò. Spadino rimase immobile e non disse una parola, non pensava di avere il diritto di intromettersi in quello che sembrava un dialogo tra padre e figlio.
<<Tocca sbarazzasse de sti corpi, ce dai 'na mano?>> chiese Aureliano e Romoletto fece segno di si con il capo, poi andò al piano di sopra dicendo che doveva cercare delle lenzuola.
I due ragazzi rimasero da soli a guardare i cadaveri e tutto il sangue che macchiava il pavimento. Aureliano si voltò verso Spadino e gli chiese <<come stai?>>. L'altro a sua volta sollevò gli occhi da terra e li andò a puntare in quelli blu dell'amico. <<Bene mo che so che devo fa>> rispose.
<<Che dovemo fa>> lo corresse Aureliano e a quel punto Spadino annuì ma allo stesso tempo fu costretto a distogliere lo sguardo per paura di mostrare i suoi sentimenti. Aveva sentito il sangue arrivare velocemente alle sue guance e non voleva che l'altro se ne accorgesse.
Romoletto tornò con diverse lenzuola tra le braccia e tutti e tre insieme si misero all'opera per lavare ogni traccia di quanto era accaduto.

Questo capitolo è un piccolo omaggio ad uno dei miei registi preferiti (che potrete facilmente riconoscere). Durante quest'anno così strano ci sono state tolte tante cose e precluse tante opportunità, però abbiamo avuto la possibilità di dedicare più tempo allo studio, alla scrittura e alla curiosità. Mi sono innamorata di questi film e di questo stile, perciò volevo condividere un pezzetto della mia quarantena con voi.

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