Capitolo 17.

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Si sedette sul molo in legno, stanco.
Il cielo era di un grigio tenue e luminoso; le nuvole non erano abbastanza pesanti da coprire i raggi del sole che, con estrema insistenza, cercavano di scalfirle.
Il porto era invaso da quella strana luce soffusa, nonostante l'atmosfera restasse triste e malinconica.

Il mare era mosso e le onde si infrangevano sotto le vans nere di Nicolas.
Sospirò, togliendosi lo zaino giallo dalle spalle e aprendolo per tirare fuori un piccolo pacchetto color rosso.

Lo appoggiò sul molo alla sua destra, senza guardarlo.
Sospirò, buttando fuori dai polmoni tutta l'aria che avesse, lo sguardo fisso sul mare.

Avrebbe tanto voluto tuffarsi in quelle onde burrascose e lasciarsi trasportare dalla corrente; tutto intorno a lui non aveva più senso e allo stesso tempo tutto passava inesorabile e con estrema velocità.

Forse perché da quando era tornato ogni giorno era passato troppo velocemente.

E troppo uguale.

Non era certo quanto tempo fosse trascorso.
Dieci giorni?
Due settimane?

Non ne aveva idea.
Aveva passato ogni giornata uguale al precedente.
Da quando era tornato da Milano si era chiuso in stanza, le tapparelle abbassate, le coperte tirate fin sopra alla testa.

Martina, come Frank e Stiva, erano provati a passare, ma Nic non aveva mai voluto vederli.

Voleva stare da solo, o forse neanche quello.
Probabilmente non voleva neanche più esistere; tutto era meglio piuttosto che sentire e percepire quello che aveva nel petto.

Quel dolore, quella delusione che lo attanagliavano, che gli mozzavano il respiro.

Non aveva pianto ma probabilmente sarebbe stato meglio perché avrebbe buttato fuori tutto quello che il suo animo stava racchiudendo.

Tutta la rabbia per il modo in cui era stato lasciato solo in un aeroporto come in un film di serie B, la delusione perché lui (dire il suo nome o anche solo pensarlo non era contemplato) non aveva creduto nella loro storia, il dolore perché era convinto che non fosse l'unico ad essere innamorato.

Perché Nic era innamorato; Nic lo aveva amato, Nic lo amava.
Ed era quello che non voleva più fare, non voleva più amarlo se amarlo voleva dire stare così male, se amarlo voleva dire svegliarsi alle tre del mattino perché il fiato mancava, se amarlo voleva dire sentirsi perso anche se a casa, se amarlo voleva dire preferire di non esistere, lui non voleva più amarlo.

Eppure, nonostante in quei dieci giorni o due settimane che fossero, lui ci aveva provato con ogni particella di se stesso a smettere di pensarlo, smettere di provare quel sentimento, non ci era riuscito.

Quella mattina di chissà quale giorno, Nicolas si era alzato dal letto, si era fatto una doccia e, dopo essersi vestito, era uscito di casa sotto gli occhi sconcertati della sua famiglia.

Aveva preso la vespa ed era andato a fare colazione al dannato bar in cui lui gli aveva offerto il primo caffè a causa della loro scommessa.

Si era seduto allo stesso tavolino, ordinando il caffè e la stessa brioches che aveva ordinato lui.

Aveva chiuso gli occhi e per tre secondi era riuscito a tornare indietro nel tempo.

Erano passati solo tre mesi.
Com'era possibile che avesse potuto provare così tanto in così poco?

Quando riapri gli occhi si stupì di non vederlo al suo fianco e si diede dell'idiota.

Mai lo avrebbe rivisto al suo fianco.

Mai lui sarebbe tornato lì, nei suoi posti.
Mai gli avrebbe offerto un caffè, mai avrebbe alzato gli occhi al cielo per qualcosa che aveva detto, mai lo avrebbe sfiorato, mai lo avrebbe baciato.
Mai più.

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