15. Quelli che vanno

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Allison tirò su istintivamente le coperte, quasi volesse nascondersi dallo sguardo malefico della vecchia Hastings, l'aveva sempre disprezzata per motivi che ignorava; era solita essere antipatica con tutti, ma con Allison pareva quasi qualcosa di personale.
Si sentí cosí piccola che le parve di potersi nascondere tra i cuscini morbidi e sgualciti, adagiati sull'ampio letto.

Voglio parlare con Aaron.
Ne valeva davvero la pena? Era arrivato il momento di prendere in mano la sua vita, o farsi annientare, la biondissima americana lo sapeva bene, eppure non riusciva a trovare le forze, il coraggio, di fare nulla. Gli occhi verdi della donna la inchiodarono sul posto, non osò muoversi, nemmeno per cercare aiuto nello sguardo di Simon.

Lui pensò bene di mettersi in mezzo alle due. « mamma è troppo. » la ammoní, preoccupato. Cosa sapeva?
L'altra si era già preparata alla difesa, ricostruendo per l'ennesima volta i soliti robusti, opprimenti muri che avevano lo scopo di salvarla da tutto quello.

Assottigliò le iridi cristalline « Ci sono voluta andare io, in California. » bugia. « New York è opprimente, e deprimente. » il che non era del tutto falso, seppure fino a qualche minuto prima le era parsa la città più bella del mondo.

« Non vedo l'ora di andarmene. »
Ringhiò quelle parole piene di odio senza neanche pensarle sul serio, come una bestia che, messa al muro, tirava fuori gli artigli per difendersi disperatamente.
Cosa hai fatto, Allison? La donna ghignò, le braccia ancorate ai fianchi sinuosi, guardava il figlio presuntuosa, aveva vinto. Simon non credeva alle sue orecchie.

Uscirono entrambi, Allison rimase nuovamente sola. Quasi mai le era capitato di parlare in quel modo, era restia dall'esprimere le proprie opinioni, dimenarsi aggressiva, eppure si era sentita attaccata, colpita.
In un vano tentativo di annientare l'ego del suo nemico peggiore, aveva distrutto l'unica persona che l'avesse mai amata. Scusa.

Ancora quella dannata nausea.
Prese un respiro profondo, doveva andarsene da quell'appartamento. Non riconosceva più un volto amico, più nessuno che non la facesse sentire in prigione, una preda.

Dormí ancora per qualche ora, le parve di essersi ripresa sul serio, quando si svegliò trovò ad attenderla la solita aria pesante, una luce fioca e Dorotha dormiente sulla poltrona. Poggiati su un vassoio sul comò due piatti, probabilmente la cena. Una minestra di carne e del pane, che schifo.
Speravo in un Martini.

Non mangiava dalla sera prima, il ricordo di lei e Simon insieme la fece sorridere, ma si portò dietro quello del loro ultimo incontro. Aveva combinato un casino.
Assaggiò una fetta di pane, era delizioso, come ogni cosa in quella casa, perfetta da dare il voltastomaco.

Le gambe lunghe si muovevano incerte, mentre la sottoveste chiara le accarezzava il corpo magro, fragile.
Controllò il cellulare, Anthony l'aveva cercata diverse volte, non aveva voglia di rivederlo. Non aveva voglia di vedere nessuno, ma le serviva un posto dove scappare.
Sollevò l'oggetto e chiamò il suo migliore amico.

« Sono le dieci, hai idea da quanto tempo io stia provando a chiamarti? »
« Stavo dormendo. »
« Ma stai bene? »
« Ti racconto quando ci vediamo. »
« Quindi ci vediamo? »
« Posso venire da te, adesso? »

I due si misero d'accordo, e Allison decise di andarsene subito, raccolse i tacchi brillantinati e non si preoccupò di essere in pigiama, l'indumento di raso venne coperto dal cappotto largo, sgattaiolò via aiutata dal buio, dal silenzio.
Si sporse per controllare se ci fosse ancora qualcuno sveglio, niente. Prese un'altra sigaretta e come al solito, la mise tra le labbra appena prima di uscire. L'aria notturna le parve meravigliosa, indossò le sue Jimmy Choo quando fu fuori, libera.

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