1941.
Una bambina viene al mondo dopo aver perso il padre nell'attacco a Pearl Harbor. Pochi anni dopo perde anche la madre, perciò dovrà vedersela da sola. Con il passare del tempo scopre un particolare nel suo DNA, grazie ad una malattia contagio...
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Quel flashback misto a visione mi era sembrato troppo realistico per poter essere una semplice coincidenza. Aaron ha confermato tutto ciò che ho visto: la moto, il granaio, gli occhi chiari della madre molto simili ai suoi. "Mi stai facendo paura" dichiara, vedendomi assorta nei miei pensieri. "Devo preoccuparmi?". Ho scosso la testa, restando riluttante. "Allora perché mi hai detto di sapere chi li ha uccisi? Cosa ti è successo poco fa?". Mi sono drizzata sulla sedia, interrogandomi sulle parole che avrei dovuto usare di lì in avanti. Potevo fidarmi di un uomo appena conosciuto, ma che era stato tanto gentile da ospitarmi in casa sua, alla presenza di due bambini di appena sei anni?
La mia bocca prende il sopravvento, iniziando a parlare a vanvera. Sono diventata più fiduciosa, ma resto sempre sul vago. "Va bene, ho un certo presentimento. Quando i tuoi genitori sono stati uccisi, non erano soli nel granaio". "Che intendi dire?". Non lo so nemmeno io. Dove voglio andare a parare? Chi era quell'uomo in sella alla moto? "Avevano aiutato qualcuno il giorno prima. Aiutare lui li ha portati alla morte, ma credo siano morti in pace. Gli hanno regalato un tuo vecchio giubbotto di pelle". Aaron mi guarda con occhi stralunati, indietreggiando. "Sto avendo paura adesso. Non mi hai detto di essere nuova del posto?". Annuisco.
"E allora come fai a sapere queste cose sui miei genitori?". L'ho spaventato, e non mi è nemmeno servito tirare fuori gli artigli. "Lo sento, Aaron. Non sono una sensitiva, e nemmeno una strega. Non prendermi per una pazza, ma per favore. Credimi, se puoi". Si dissolve dietro ad una porta a vetri, lasciandomi sola. Quando torna ha uno zaino in spalla e anfibi ai piedi. "Dimmi chi li ha uccisi ed io inizierò a crederti". "Non penso sia così semplice". Il suo sguardo terrorizzato si trasforma in una smorfia di disappunto. "E' morto". Ho visto anche quello. La persona che impugnava il fucile era l'agente Zero, lo stesso che mi ha addestrata. Ecco perché è sparito quasi all'improvviso dalla mia stanza. Era andato alla ricerca di qualcuno, l'arma X.
"Però possiamo ancora trovare l'uomo che ha la moto di tuo padre e il tuo giubbotto. Ma non ho un nome, un indirizzo". "E non potresti usare le tue abilità vodoo per scoprirle?" sgrana gli occhi, gesticolando. Evito di ridere dopo aver ascoltato le sue supposizioni su di me. "Forse ho un'idea. Torniamo al granaio dei tuoi, o almeno a quello che ne rimane". Cinque minuti dopo siamo già in viaggio. Le macerie restanti dall'esplosione sono sepolte dalla neve. Non ci è voluto molto ad occultare le ultime prove, benché l'omicidio risale solo a qualche giorno fa. Scendo velocemente dal furgoncino, guardandomi intorno. Quando poso le mani sulla neve, spero di non avere la mente annebbiata o i poteri sensoriali offuscati. Chiudo gli occhi, pregando di vedere qualcosa. Devo aiutare Aaron a trovare pace, ma soprattutto devo aiutare me stessa. Vedo delle immagini sfocate, come se stessi osservando tutta la situazione attraverso uno spioncino. L'arma X che viene riempita di Adamantio e che scappa dall'edificio, correndo completamente nudo verso il granaio dei signori Hudson. Lo ospitano per la notte, dandogli vecchi vestiti di Aaron e il giorno dopo anche la moto.