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Un oscuro potere, un male incurabile, una forza superiore.
Sono quella che viene chiamata un esperimento finito male, ma non è tutto. La colpa non è da attribuirsi unicamente a ciò che mi è stato innestato nel corpo. Ero un fenomeno da baraccone da molto prima.✩✩✩
Sono nata il 7 dicembre 1941, nello stesso momento in cui la flotta giapponese attaccò le installazioni militari americane a Pearl Harbor. Mio padre si trovava lì, alle Hawaii ed è stato uno dei tanti soldati che l'America ha perso durante la seconda guerra mondiale. Sono cresciuta con mia madre ed è stata il mio unico punto di riferimento fin quando non ho compiuto quindici anni. Nel 1957 l'ho persa per Tubercolosi e non ero ancora maggiorenne, perciò mi avrebbero affidata ad una qualche casa famiglia se non avessi iniziato a correre, sempre di più finché non mi sono ritrovata a diciotto anni a dover sopravvivere con le mie uniche forze.
Questa parte del racconto non sembra niente di che, anzi. Ci sono persone che potrebbero raccontare cose molto più avvincenti. Non perdetevi d'animo. La parte migliore non è ancora arrivata.
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Con l'arrivo della guerra in Vietnam, e rammentando ciò che era successo a mio padre - che non avevo mai avuto la fortuna di conoscere - decisi di dare una mano ai soldati feriti, diventando un'infermiera. Durante una delle tante visite di controllo, ero solita incontrare soldati affascinanti che non perdevano tempo per provarci, invitandomi a cena. Il mio era per lo più un ospedale militare ma una sera, prima che chiudessimo per poter andare a casa, incontrai un uomo all'esterno che a prima vista mi sembrò emaciato, madido di sudore e soprattutto non faceva altro che tossire. Lo portai di nascosto all'interno, controllandogli il torace con lo stetoscopio. A prima vista mi sembrò semplice influenza, ma mi accorsi di un particolare rilevante che mi mise in allarme. Quell'uomo aveva la tisi e gli restava poco tempo. Non l'avevo mai avuta, non ero vaccinata perciò era troppo tardi per me. Sigillai la stanza, allontanando le mie colleghe.
"Andate via. Resterò io con lui".
"Ma, Eve? Esci subito di lì. Chiameremo un medico".
"Non potrebbe fare nulla per lui. Sono già stata contagiata. Questa parte dell'ospedale sarà in quarantena d'ora in avanti. Andate via, per favore". Kelsey, la mia migliore amica nonché la ragazza che mi ha trovato il lavoro, scoppiò in lacrime poggiando la mano sul vetro che ci divideva. Vidi le mie colleghe andare via, affrante e disperate. Mi sedetti accanto all'uomo, che scoprii si chiamava Harold. Sebbene fosse in fin di vita, e anche io, ci provò spudoratamente.
"Quanti anni ha, dottoressa?".
"Non sono una dottoressa. Comunque ne ho trentadue". Harry mi sorrise.
"Gliene avrei dati venti. È molto bella. Non sarà poi così male morire accanto a lei".Sorrisi, nonostante tutto. Avevo contratto la stessa malattia di mia madre che l'aveva portata alla morte. Al contrario suo però, non avevo mai combinato nulla nella vita. Non ero fidanzata, non ero sposata, non avevo figli. Avevo iniziato a lavorare come infermiera da poco, ma avevo capito subito che quella sarebbe diventata la mia passione. Persino stare accanto ad un moribondo non mi fece perdere le speranze.
Continuò a sputare sangue per le successive settantadue ore, mentre io non mostrai alcun sintomo. Pensai che la mia era tubercolosi latente e che si sarebbe mostrata più tardi.
Harold morì sotto i miei occhi, lasciandomi sola e affranta.
Con mia sorpresa, Kelsey tornò da me passandomi del cibo da uno sportello. Ero affamata ma non avevo sonno. Mi lasciò un biglietto con su scritto: "sono contenta di trovarti bene. So che mi hai chiesto di allontanarmi e di non chiamare nessuno, ma un dottore sta venendo a visitarti". Strabuzzai gli occhi, sollevandoli su di lei. Accettai l'aiuto e quando mi visitarono non trovarono tracce di tubercolosi. I miei polmoni erano perfetti.
Quindi il dottore si sfilò la mascherina.
"Lei è fortunata. Non ha contratto il virus. È libera di poter uscire da questa stanza". Ero scettica, perciò gli domandai di ripetere le analisi. "Non ce n'è bisogno. I suoi polmoni stanno benissimo, il suo battito è regolare". Il dottore si sfilò lo stetoscopio da sopra la nuca. "Sono contento di lasciarla andare, dottoressa Stevens. La sua amica non ha fatto altro che ripetermi fino alla nausea di guarirla, ma non ce ne sarà bisogno a quanto sembra".Mi misi a sedere sul lettino intanto che Kelsey mi corse incontro per potermi abbracciare. Mi invitò a passare una notte fuori con le altre colleghe. "Su, hai bisogno di superare questo periodo. Vieni con noi". Accettai, infilando il vestito migliore che avevo nell'armadio. Avevo trentadue anni, ne dimostravo venti, mi sentivo una ventenne fisicamente. Poco tempo dopo avrei compreso a cosa era dovuta quella insolita forza nelle braccia.
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x-ᴍᴇɴ | ꜱᴏᴘʀᴀᴠᴠɪꜱꜱᴜᴛᴀ
Fanfiction1941. Una bambina viene al mondo dopo aver perso il padre nell'attacco a Pearl Harbor. Pochi anni dopo perde anche la madre, perciò dovrà vedersela da sola. Con il passare del tempo scopre un particolare nel suo DNA, grazie ad una malattia contagio...