Nessuna pietà

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Ho deciso di cambiare una cosa: quando utilizzerò le "virgolette" è il pensiero e quando le «stanghette» è il parlato. Mi trovo più a mio agio così.
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Ormai erano ore che camminavo sotto la bufera di neve. Ore da cui avevo perso la concezione del tempo e del mio fisico. Nonostante la divisa degli Ammazza Demoni tenesse caldo, la neve si era insidiata nelle profondità del mio corpo, il vento non era per nulla gentile con me, non era quel vento primaverile che mi accarezzava sul tetto della baracca nelle calde stagioni, questo vento era di ferro, vetrato e scottante. Al posto delle carezze rifilava sberle come a dirmi di svegliarmi ma al tempo stesso mi intimava  di cedere. Faceva un inspiegabile freddo perforante l'anima. La nichirinto attaccata alla mia destra si faceva sempre più pesante e a ogni passo che facevo sbatteva continuamente sull'anca. Mi era stata data da poco, così come la divisa e la missione su cui mi stavo dirigendo. Sperai con tutto il mio cuore (quello che ne era rimasto) che non fosse in un posto affollato, che il demone di cui mi sarei dovuta occupare fosse terribilmente forte, e che non ci fosse nessuno nei paraggi. La sola vista di un altro essere come quelli mi avrebbe mandato fuori controllo... dopotutto era quello il mio nuovo lavoro.

Il corvo, il cui nome era Meirasu (gliel'avevo d'atto io in tutta sincerità), mi aveva detto con quella voce odiosa di dirigermi a nord, sulle montagne occidentali. Mai fui più felice di sentire tali parole da un animale. Lì mi sarei sentita un po' più a casa del solito. A crogiolarmi tra i cadaveri che si erano accumulati nella mia testa... adesso avrei dovuto lottare contro l'ennesima faccia contorta dal dolore mentre il suo corpo moriva, contro l'ennesima persona a cui avrei dato il mio cuore pur di stare insieme, l'ennesima persona che mi ha fatto sentire bene e che poi se ne è andata all'improvviso.

Cosa ci trovavo di bello nella bufera?

Nessuno mi avrebbe sentito urlare...

-1 settimana prima-

«Bentornata... Aoi» e anche se coperta di sangue, mi sorrise.
«NEE-SAN! C-COSA È-?» la frase mi morì in gola, provai a tirare su il busto di Miyagi senza farle male ma quello che ottenni fu solo un conato di vomito e sangue da parte di mia sorella.
«N-nee-san che cosa? Come? I-io adesso... ADESSO ANDRÒ A CERCARE AIUTO TE LO PROMETTO TORNERÒ CON UN MEDICO TU DEVI SOLTANTO STARE FERMA E VIVA IO ORA VAD-» mi alzai di scatto, dovevo subito andare a cercare un medico altrimenti... altrimenti... Miyagi... sarebbe
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morta.
La donna mi trattenne il braccio, impedendomi di alzarmi e mi guardò con occhi pieni di tenerezza. A me non piacque per niente quello che contenevano quegli occhi. Erano gli stessi occhi che aveva zio Kagheshi prima di morire dissanguato nello studio del nonno, gli stessi occhi di chi non ha più nulla da salvare. Erano occhi che difficilmente si dimenticano, a cui difficilmente si vuole credere, occhi che se fissati troppo a lungo ti avrebbero lacerato. Gli occhi di Miyagi erano pieni di lacrime mai piante in mia presenza, di vane speranze, di sogni mai realizzati e di sensi di colpa mai risolti. Quegli occhi dicevano chiaro e tondo la frase che né me né Miyagi avremmo voluto dire:
STO MORENDO.
«A-aoi... non ho molto tempo, non te ne andare adesso» una lacrima le oltrepassò la palpebra, l'occhiaia, la guancia e poi affogare nel sangue di un brutto taglio sul mento
«lascia che ti spieghi tutt-»
«NON C'È NULLA DA SPIEGARE... TU NON MORIRAI IO NON LO PERMETTERÒ, NON AVRAI LA SODDISFAZIONE DI ANDARTENE COSÌ... tu devi... devi... DEGI INSEGNARMI ANCORA UN SACCO DI COSE E-e non puoi... NOOO TU NON MORIRAI ADESSO VEDRAI CHE ARRIVERÀ UN MEDICO... si arriverà di sicur-» ansimai.
Avevo preso una stoffa per l'addestramento e la stavo premendo con forza sulla ferita in pancia della donna più morta che viva che avevo davanti.
«AOI LO VUOI CAPIRE O NO CHE STO MORENDO?!» mi rimproverò facendo uso di tutte le energie che le rimanevano «non c'è più nulla da fare... va bene così...» mi carezzò la testa e mi guardò come solo una madre potrebbe guardare una figlia. "maledizione... maledizione MALEDIZIONE! La ferita non si rimargina..." «Non può finire così-» premetti ancora di più sulla ferita ma nulla da fare, il sangue non si fermava. Ormai anche le mie mani, i miei vestiti erano intrisi dello stesso sangue su cui stavo piangendo, infrangendo la promessa che mi ero fatta 2 anni prima in presenza del medesimo sangue.
«A-aoi basta... fermati- *sigh* così non risolverai niente» singhiozzò e nel mentre si portava all'altezza del viso in dito indice della mano destra «Guarda Aoi... lo vedi questo?» mi fermai dal mio lavoro disperato e mi soffermai a guardare abbastanza confusa il dito della mia maestra: presentava un taglio, fresco direi.
«Non capisco... cosa vuol dire?» mi asciugai una lacrima lasciando una scia di sangue sotto l'occhio.
«Proprio non ci arrivi Aoi? Eppure il tuo famigerato sesto senso avrebbe dovuto capirlo...»

Me in the world of Demon Slayer {ita}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora