Capitolo 9

84 14 10
                                    

Un'ora e trentatré minuti dopo



Nella mia mente è tutto perfettamente chiaro, per una volta.

Sai quello che devi fare, Arrow.

Dopo l'interrogatorio, due deposizioni dettagliate e le analisi tossicologiche i medici insistono che io vada in ospedale. Sei un codice rosso, hanno ripetuto preoccupati.

Ma al momento non m'importa di tutte le mie ferite. Il mio unico pensiero è rimediare, togliere la mia famiglia da questa situazione, ripulire il mio cognome. E' quello che si aspettano tutti da me.

«Abram, devi accompagnarmi a casa.» gli ho detto poco fa. Sapevo che non si sarebbe mai tirato indietro al mio volere, non lo ha mai fatto dopotutto. Il mio gemello sta tenendo la mia mano buona tra le sue, l'accarezza delicatamente facendo dei piccoli cerchi concentrici sulla pelle, prima di fermarsi con l'auto di fronte al nostro palazzo nell'Upper Est Side.

Mi guarda come se fossi pazza, ma non fa alcuna domanda. Forse lo sono già.

«Ti aspetterò qui». Dice serio quando faccio per scendere e infilarmi frettolosamente dall'entrata secondaria che dà sulle cucine.

Appena varco la soglia, Suzanne mi è subito addosso. Con una mano al cuore e l'altra sulla bocca, forse per trattenere un grido, mi corre incontro. Mi guarda da capo a piedi e per la prima volta da quando la conosco, si zittisce completamente. Ha gli occhi velati dalle lacrime.

«Non è niente, non è niente.». Le sussurro sfiorandole una mano. Osservo le grandi gradinate ai lati del salone principale, mi tremano le gambe solo a guardarle. «Puoi accompagnarmi, Suzie?»

Annuisce, lo fa più di una volta quasi volesse dar forza a sé stessa, poi mi afferra per un fianco e mi accompagna fino alle mie stanze in cima.

«Cosa fa qui, signorina, se posso domandare? Nella sue condizioni...» Chiede a bassa voce mentre si osserva la punta delle sue scarpe nere lucide. Non riesce nemmeno a guardarmi.

«Devo sistemare la situazione». Mi avvio verso la mia piccola libreria dove trovo il cofanetto rosso che avevo nascosto con cura fin dal primo giorno. «Devo farlo».

Afferro un cellulare nuovo di zecca dal cassetto ed il taccuino dove segno tutti i numeri di telefono che altrimenti dimenticherei. Se fosse qui ora, mio fratello mi prenderebbe in giro sulla mia scarsa modernità tecnologica.

Compongo i sette piccoli numeri scritti in rosso, risponde dopo il primo squillo. Per un attimo mi sfiora l'dea che stesse aspettando già quella chiamata.

«Sposami, Jonathan Hilton». Dico tutto d'un fiato prima che lui possa dire una parola. «Accetta di sposarmi e prometto che tutto ciò che è mio diventerà tuo».

«Mi stavo proprio chiedendo quando avresti chiamato.» parla in tono mieloso, fin troppo per i miei gusti. Posso immaginare fin da qui il suo sorriso soddisfatto. «Ti sposerò».

Apro di scatto la scatolina di Cartier e indosso il mio anello di fidanzamento.

Mescolato all'odore acre del sangue, in quel preciso istante riesco quasi ad avvertire il profumo dei fiori d'arancio in festa.

Tutte le brave ragazze finisco all'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora