Capitolo 6

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La Fine


Sono sveglia.

È questa la prima cosa che penso dopo aver aperto gli occhi.

Non riesco a respirare, é la seconda.

Boccheggio, sono in una disperata ricerca di ossigeno che riempia i miei polmoni. Li sento bruciare, quasi chiedessero pietà. Respira, mi dico, respira.

Osservo una lampadina che penzola dal soffitto, un divano rovesciato nel bel mezzo di una stanza, delle pareti bianche che non mi appartengono.

Dove sono?

L'odore di fumo e carne bruciata mi fa venire il voltastomaco. Osservo ombre indistinte a terra, finché non riesco a distinguere le sagome di alcuni ragazzi. Sembrano dormire beati in preda del sonno più pesante della storia.
Non sembrano neanche accorgersi delle fiamme che divampano ovunque, dei detriti che gli bloccano le gambe, dei cavi elettrici che scintillano ad intermittenza.

Poi ricordo.

C'è stata un'esplosione.

Le fiamme sono così prepotenti che mi sembra quasi di essere vicino al sole tanto da poterlo toccare con un dito.

Alzati.

Chiama qualcuno.

Chiama aiuto.

Quando cerco di muovere il mio corpo e aggrapparmi alla parete vicina, l'unica cosa che sento è dolore. Il dolore più forte che abbia mai provato in tutta la mia vita.

Sento uscire un grido straziante da quella che ricordo essere la mia bocca, quando lo vedo.
Il mio braccio destro è una poltiglia informe di quello che era una volta, la pelle carbonizzata sembra completamente staccata e credo di poter vedere dei piccoli pezzi di carne penzolare di lato.

«Cheryl!» il mio urlo sembra rimbombare fra i detriti e tornare indietro. Delle lacrime salate mi entrano in bocca. «Qualcuno mi sente?»

Faccio forza sulle ginocchia, cercando di alzarmi e tenermi stretto al petto quello che resta del mio braccio storpio, ma nel farlo inciampo su qualcosa di tremendamente scivoloso.
L'eco sonoro dei miei stivali che scivolano sul linoleum bagnato rimbalza e non posso far altro che cadere di faccia su qualcosa di freddo e molliccio.

Devo mettere a fuoco la vista più e più volte per riuscire a decifrare il volto tumefatto che ho di fronte.

La testa riccioluta di Austin è proprio di fronte alla mia, separati da pochi centimetri, piegata in un'angolatura inumana. Ha gli occhi spalancati dalla paura e la bocca aperta come se volesse ancora gridare. Sembra incrociare i miei occhi, sembra accusarmi di un crimine che non ho commesso.

È morto.

È morto, ma il suo sguardo puntato nel mio sembra così tremendamente vivo.
La maglia chiara è rovinata da tre piccoli fori da cui è fuoriuscita la pozza nerastra di sangue sotto i miei piedi.
Proprio accanto alla sua testa riccioluta c'è qualcosa di piccolo e nero. Istintivamente lo afferro per portarmelo all'altezza degli occhi.

È una pistola.

Non una pistola qualunque. È una calibro 78 argentea con un piccolo intarso in una grafia elegante sul calcio dell'arma: Arrow J.

La riconoscerei ovuque quella pistola,
la riconoscerei ovunque perché è mia.

Tutte le brave ragazze finisco all'infernoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora