Un mese dopo
«Ho raccattato le ultime copie.»
Abram posa ordinatamente una pila generosa di articoli di giornali sul tavolinetto di vetro di fronte a me. Poi si lascia cadere al mio fianco sul divano con un sospiro, mi passa un braccio delicato sulle spalle per tenermi vicina. Per la prima volta dall'incidente mi sento al sicuro, nonostante tutto.
«Guarda che titoli!» alza la voce mia madre mollando in modo per niente elegante la sua tazzina di tè. «Dovremmo far in modo che li licenzino uno a uno. Che affermazioni riprovevoli!».
Mi sporgo in avanti per leggere le scritte nere che occupano gran parte delle prime pagine del New York Times, del The Guardian e del The Sun.
"La figlia del prossimo candidato alla presidenziali colpevole di omicidio?"
"La ballerina assassina."
"Bella, brava, letale."
Istintivamente stringo il pugno e serro la mascella così forte che ho quasi paura che si rompa. Dopo aver ricevuto così tanti insulti e svariati messaggi minatori , avevo deciso di cancellare tutti i miei profili social, smettere di usare il cellulare se non per grandi necessità. Avevo deciso di sparire totalmente da internet e tener chiuse le grandi tende per tutto il giorno in modo che nessuno potesse fotografarmi.
Ma non avevo ancora fatto conto con la perfidia dei giornalisti e della scaltrezza fotografica dei paparazzi. Quella violenza facile e gratuita mi era entrata dentro fin dal primo giorno e tutt'oggi non riuscivo ancora a liberarmene.
«Non darci molto peso, tesoro. Troveranno altro da raccontare, prima o poi.» Sobbalzo quando la mano gelata di Jonathan mi accarezza piano la nuca dall'alto. E' sempre qui da quando sono uscita dall'ospedale.
Sembra aver preso seriamente il fatto del matrimonio e la recita del fidanzato amorevole gli calza davvero a pennello. Vorrei poter dire lo stesso di me, ma la maggior parte delle volte dimentico che siamo nella stessa stanza. O nella stessa casa.
« E' da quasi un mese che dici la stessa frase.» mi innervosisco davanti al suo sorriso serafico. «Perché non ti dai da fare per trovargli uno scoop più succoso, John?»
S'inginocchia di fronte a me prendendomi entrambe le mani. Il grosso smeraldo che porto al dito cattura per un attimo qualche raggio di luce che penetra dalle tende socchiuse.
« A breve daremo la notizia del nostro fidanzamento e non parleranno altro che di questo. Non devi angustiarti così tanto o ti verranno le rughe.» Mi sfiora la fronte con un dito.
Per un attimo vorrei scoppiare a ridergli in faccia, poi sbatterlo fuori casa a calci. Preoccuparmi delle rughe precoci? Guardo l'innesto di pelle aggrinzito del mio nuovo braccio.
«Ti sembra che siano davvero queste le mie preoccupazioni al momento?» ringhio ad un millimetro dalla sua faccia. «Guardami!»
Non piangerò qui, di fronte a tutti. Non lo farò.
Mi asciugo una lacrima testarda con una manica del cardigan e gli prendo il mento con la mano costringendolo a guardarmi per davvero. « Guardami, ti ho detto!»
Mi alzo in piedi e slaccio le fasciature che l'infermiera mi cambia ripetutamente ogni giorno per non rischiare infezioni e gli mostro quello che ne rimane.
Terra bruciata, possibilità bruciate.
«Ecco di cosa mi preoccupo. Di una carriera nella danza andata in fumo perché nonostante tutti i nostri soldi non mi vogliono più nemmeno alla Julliard! Mi preoccupo di una possibile condanna per omicidio e almeno trent'anni di reclusione per una colpa che non ho! » Quando finisco di urlare sono senza fiato e mi aggrappo allo schienale della poltrona che ho davanti.
Mia madre stringe i suoi occhi di falco su di me. Niente di questo l'ha scalfita nella sua compostezza perfetta e nelle sue Jimmy Cho bianche che picchiettano il pavimento. «Tutto questo non sarebbe successo se tu non mi avessi disubbidito.»
«Tutto questo non sarebbe successo se quella pistola non fosse mai esistita.» ribatto a tono.
«Fai attenzione a ciò che dici, Arrow.» mi rimprovera abbassando il tono della voce. «Non possiamo permetterci di farci scappare il fatto che teniamo delle armi in casa. Non ora che siamo a un passo dalle presidenziali e che tuo padre si è promesso di ritirarle appena sarà al potere.»
«Quindi cosa dovrei fare, madre?» urlo in preda alla rabbia che non riesco più a contenere così facilmente, ultimamente. «Dovrei mentire e dire che io ho comprato quell'arma? Lo sai meglio di chiunque altro che non è andata così.»
La mani ingioiellate di mia madre si stringono impercettibilmente per un secondo, poi guarda le spalle di mio padre di fronte le balconate del soggiorno. E' rimasto a darci le spalle per tutto questo tempo, senza dire una sola parola.
Senza mai chiedermi scusa per tutto ciò che ha fatto.
«Ha ragione.» dice poco dopo. «E' colpa tua se la nostra famiglia è finita in questa situazione, Micheal.»
Per un attimo sono stupita dal fatto che mia madre mi abbia dato ragione, forse per la prima volta da quando io ricordi, ma poi la mia attenzione si sposta tutta sulla schiena possente di mio padre.
E sulla sua noncuranza mentre si versa un bicchiere di bourbon ambrato.
«Arrow ha meritato la sua arma a differenza di suo fratello.» dice con quello che non riesco mai a capire se sia un sorriso o una semplice smorfia. «Ho fatto solo il mio dovere.»
Il corpo del mio gemello sembra reagire all'instante e quando fa per alzarsi in piedi per dire qualcosa, lo tiro per un braccio e scuoto la testa per fargli capire che la cosa migliore è tenere la bocca chiusa di fronte a quell'uomo.
Ho ancora in mano il braccio di Abram quando sento la porta di ingresso sbattere rumorosamente e passi affrettati frasi strada per i vari saloni. Ascolto anche qualche imprecazione colorita.
Ci giriamo tutti nello stesso momento quando una figura maschile vestita completamente di nero spalanca le porte della stanza, entrando a grandi passi.
«Ragazzina.» la sua voce è più che un sussurro. Per un attimo potrei pensare di averla soltanto immaginata se Khai non fosse proprio qui di fronte a me.
Di fronte a tutti.
Suzanne arriva alle sue spalle con le guance in fiamme e la crocchia di capelli sfatta dalla corsa. «Signori, mi spiace non ho potuto trattenerlo...»
«Sei vivo.» riesco a dire soltanto. Sento gli sguardi di tutti i presenti addosso.
«Chi diamine sei? Come ti permetti a entrare qui come nulla fosse?» urla mia madre alzandosi dalla sua poltrona. Guarda lui, poi me e riesco a vedere fin qui le sue pupille dilatarsi dalla rabbia. «Non dirmi che conosci quest'individuo?»
Si, lo conosco, mamma. E' il ragazzo che mi ha drogata, il ragazzo che ha sparato ad Austin probabilmente, il ragazzo che ha causato tutto questo casino, muoio dalla voglia di sbraitare.
«Avrei preferito fossi morto tu lì dentro». E' tutto ciò che gli dico.
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Tutte le brave ragazze finisco all'inferno
RomanceCosa succederebbe se una ricca ragazza dell'Upper Est Side di New York un giorno finisse in carcere accusata di omicidio? Cosa succederebbe se tutto il tuo mondo, tutto ciò che hai creduto di conoscere e la tua stessa identità scomparissero da un gi...