Sono rimasto da solo a Baker Street, John ha accompagnato la piccola peste a scuola, papà mi ha già chiamato, Sherlock rincorre l'ennesimo caso e la commedia con Auberton è in stallo.
Eppure mi sento nervoso, passeggio per casa cercando un po' di serenità, raccolgo un giocattolo di Rosie e lo metto in ordine sopra al tavolo. Di fronte, nella mensola di legno, vedo la foto degli Holmes, forse l'unica che hanno, loro non mettono in mostra le emozioni, le tengono strette dentro al cuore per paura di essere inadeguati a sopportare una perdita, la cura non è un vantaggio, afferma spesso convinto papà.
Ed eccoli lì: Mycroft, Eurus e Sherlock che sorridono inconsapevoli di quello che li avrebbe travolti. Mio padre è un bambino sovrappeso, i suoi fratelli due esili mocciosi.
Cerco di trovare un motivo per rimanere in casa, perché ho una gran voglia di uscire, di vedere la strada in cui sono nato e cresciuto.
L'istituto è stato il mio tetto per anni, ho un desiderio malato di rivederlo. Mi sento senza un passato solido e nonostante la maturità acquisita, gli insegnamenti di Sherlock, le paternali di John e l'amore di papà, esco.
So quello che faccio, anche se mi sento colpevole, ma ho bisogno di andare. Si arrabbieranno, mi daranno dell'immaturo ma devo avere uno spazio che sia mio, che mi restituisca una parte di quello che ero.
Prendo un foglietto scrivo a John che tornerò presto, che non si preoccupino. Lo lascio sul tavolo in cucina, sotto al pupazzo di Mr. Trevor.
Con una felpa scura e anonima sono in strada, spengo il cellulare e sono in mezzo alla gente distratta, devo solo stare attento a non farmi seguire dalla scorta e dalla curiosità di Auberton.
Tiro su il cappuccio, prendo delle vie laterali, evito le telecamere visibili, cercando di scansarle come posso. Salgo nella metro, pago in contanti e mi allontano con il cuore a mille.
Mi fermo spesso saggiando il percorso, non posso accendere il cellulare, ma vado per gradi, so che prima o poi papà mi troverà, voglio tornare in quella parte di Londra dove ho vissuto per anni.
Eccolo l'edificio bianco con le colonne sporche di smog, anonimo e triste, tanto odiato, ma che mi ha visto bambino ed è stata la mia casa.
Mi siedo nella stessa panchina dove vidi mia madre, non sapendo che fosse lei.
Immagino il suo sguardo su di me, che seguivo i miei compagni e senza un motivo mi precipitai a raccogliere la sua borsa della spesa, che aveva maldestramente rovesciato a terra.
Quanto sarebbe cambiata la mia e la sua vita, se solo avesse detto che ero suo figlio!
Perché non l'ha fatto?
Mi sento stringere il cuore, non voglio avere una crisi davanti all'orfanotrofio. Non ora, maledizione, non adesso che ho trovato la famiglia e un padre. Respiro contratto, le mani in grembo chiuse a pugno, eppure, nonostante l'angoscia, sono incapace di staccarmi da lì.
Fisso la porta e il cancello di ferro battuto che è stato per anni il confine invalicabile della mia vita di orfano.
Mamma, se potessi vedermi adesso, saresti fiera di me?
La testa mi pesa, non avrò nessuna risposta e so che non lo saprò mai.
Eppure papà mi ha detto che mi hai amato! Anche lui, a modo suo, mi tiene vicino al suo cuore.
Saremmo stati una famiglia: Virginia, Mycroft e io e forse chissà, sarebbe arrivato un fratello o una sorella.
Ne avrei avuto cura, come ha fatto papà con Sherlock e con la malattia di Eurus.
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Un piccolo posto dentro al cuore : Sherrinford Haycok Holmes
FanfictionRitrovare un padre dopo anni di abbandono e adozioni spesso finite male, Sherrinford ha un nome eccentrico come tutti nella sua singolare famiglia: suo padre è Mycroft Holmes, soprannominato "Ice Man". Sua zia Eurus, una pazza omicida rinchiusa in...