15.

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2.

Sono le due e mezzo del pomeriggio. Il mondo, fuori, è caldo e incandescente come l'inferno. Le rocce, il cielo, il mare brillano della stessa luce abbagliante. A guardarli a lungo, i loro confini si assottigliano fino a fondersi in un'unica massa caotica. Tutti gli esseri coscienti fuggono da questa luce e sprofondano al riparo dell'ombra. Anche gli uccelli smettono di volare. Ma in casa fa fresco e si sta bene. Suga è in salotto che ascolta musica classica. Io sono seduto al mio computer e sto scrivendo.
-Non è che ti da  fastidio?- mi chiede Suga.
Questa musica non mi da mai fastidio, rispondo.

Vorrei ricostruire, ripercorrendo i miei ricordi, la storia che Suga mi ha raccontato alcuni giorni fa in quel paesino della Borbogna. Non è un'impresa facile. La sua narrazione era frammentaria, e tendeva a confondere i tempi e la successione degli eventi. A volte faticavo a capire in che ordine fossero avvenuti i fatti o a distinguere tra causa e effetto. Ma questo è più che comprensibile. Quella cosa, sepolta tanto a lungo nella sua memoria, gli lacerava la carne. 

L'ho convinto a raccontare. Usando ogni mezzo: l'incoraggiamento, le minacce, la tenerezza, le lusinghe, la seduzione. Sorseggiando il vino rosso siamo rimasti a parlare fino all'alba. Tenendoci per mano, abbiamo ripercorso le tracce della sua memoria, analizzando, cercando di ricostruire. Ma c'è una parte che Suga non riesce assolutamente a ricordare. Appena provava ad addentrarsi in quella zona, la sua mente si confondeva e beveva altro vino. Abbiamo rinunciato ad insistere oltre, è un terreno delicato, siamo usciti in punta di piedi e ci siamo spostati su territori meno rischiosi.

Gliel'ho chiesto direttamente. Si sa, io non posso fare a meno di chiedere le cose in modo diretto. Da quanto tempo li tingi? Da dieci anni mi ha risposto. Dieci anni fa i miei capelli sono diventati tutti bianchi, dal primo all'ultimo, ha detto. A causa di una malattia? ho chiesto.
E lui: no, è successa una cosa, in seguito alla quale i miei capelli sono diventati bianchi di colpo, in una notte.

Vorrei mi raccontassi cosa è successo, gli ho chiesto. L'ho implorato. Vorrei sapere tutto di te. Come io ti racconto tutto di me, senza nasconderti nulla. Ma Suga ha scosso la testa dolcemente. Ha detto che non lo aveva mai raccontato a nessuno in tutta la sua vita. Neanche a sua moglie lo aveva detto. Per dieci anni, aveva mantenuto il segreto da solo.

Invece poi abbiamo finito col parlare di quella storia fino all'alba. C'è sempre un momento in cui una storia va raccontata, ho insistito. Altrimenti per tutta la vita si resta prigionieri di un segreto.
A queste parole, Suga mi ha guardato come si guarda un paesaggio lontano. Qualcosa è affiorato nelle sue pupille, e poi si è inabissato. Ha detto: -Io non ho conti da saldare. Se c'è qualcuno che ha conti da saldare sono loro, non io.

Non capivo cosa intendesse. Gliel'ho detto francamente.
-Se ti racconto questa storia, d'ora in poi noi la divideremo per sempre. Ma non so se questo sia davvero giusto. Se adesso sollevo il coperchio della scatola, anche tu sarai in qualche modo coinvolto. Vuoi questo? Vuoi davvero conoscere la vicenda che ho cercato di dimenticare a qualunque costo?
Sì, ho risposto, di qualunque cosa si tratti voglio dividerla con te. Vorrei non mi nascondessi nulla.
Suga ha bevuto un sorso di vino e ha chiuso gli occhi. C'è stato un silenzio in cui è sembrato che la pressione del tempo si allentasse. Suga esitava.
Alla fine, però, ha cominciato a parlare. Piano piano, un frammento alla volta. Tocca a me, il narratore, mettere insieme tutti questi elementi con attenzione

Il racconto di Suga 

Quell'estate Suga andò a trascorrere un periodo da solo in una cittadina svizzera. Aveva ventuno anni e all'epoca viveva a Parigi, dove studiava il pianoforte. Era stato il padre a chiedergli di recarsi in Svizzera per sbrigare un affare al posto suo. L'affare era piuttosto semplice e si concluse con una cena insieme al responsabile dell'altra ditta, e la firma del contratto. Ma Suga si era innamorato di quella città. Pensò che gli sarebbe piaciuto vivere lì per un po' di tempo. Nel paese vicino, ogni estate si teneva un festival di musica classica, noleggiando una macchina sarebbe potuto andare ogni giorno. 
Per una coincidenza, c'era un appartamento già ammobiliato che veniva affittato per brevi periodi. Si trovava in una palazzina graziosa che sorgeva sulla collina ai bordi della città. Anche la vista era bella, e c'era un posto nelle vicinanze dove avrebbe potuto esercitarsi con il piano. L'affitto non era economico, ma se avesse chiesto al padre, sicuramente gli avrebbe dato una mano.
Suga iniziò così la sua vita, temporanea ma piacevole, in quella piccola città. Andava al festival, faceva passeggiate nei dintorni, scoprì dei ristoranti e dei caffè di suo gusto. Dalla sua finestra si vedeva un parco divertimenti, con una grande e maestosa ruota panoramica che faceva pensare alla ruota del destino.
La sera, sulla ruota si accendevano infinite luci. anche quando il parco chiudeva e la ruota smetteva di girare, le luci restavano accese. Fino all'alba la ruota continuava a brillare, quasi a voler competere con le stelle del cielo. Suga si sedeva in una sedia accanto la finestra, e ascoltando la musica guardava senza mai stancarsi il movimento della ruota, o, quando era ferma, la sua monumentale struttura immobile.

il ragazzo del satelliteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora