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Finn

Di solito arrivi in certe fasi della vita, dove ti rendi conto che riesci a sopravvivere a ciò che pensavi ti avrebbe ucciso.
Come quando da piccolo ti mettono in imbarazzo, lo stesso imbarazzo che hai quando ti cantano "tanti auguri" e tu pensi che quel momento non passerà mai. Invece quel momento passa, e il giorno dopo non ritrovi più la mamma in cucina che ti strapazza di coccole ed esclama "il mio ometto!"
Momenti in cui ti dici che non imparerai mai a memorizzare le regole per saper guidare un auto, eppure un mese dopo devi utilizzarla tutti i giorni se vuoi andare a scuola o al cinema.
Momenti in cui sei sul palco e dici che non ce la farai mai, poi senti applausi e vedi gente che urla "bravo!"
Tutto passa e noi non ce ne accorgiamo, perché siamo così tanto presi dalla paura che non ci accorgiamo che lo scalino per superarla, è davanti a noi.

Impreco contro la chitarra, mentre cerco di accordarla.
La scuola mi ha dato quest'ora del sabato per esercitarmi con la chitarra elettrica, a patto che io mi esibisca durante lo spettacolo di fine anno, di cui non ci hanno ancora detto nulla.
Sinceramente una stupida dimostrazione ad un gruppo di adolescenti che non mi ascolterà nemmeno, non mi interessa.
Ho in cambio una stanza tutta per me, che mi permette, inoltre, di fare i miei video senza strani rumori di sottofondo.
Non potrei chiedere di meglio.
Dopo circa mezz'ora riesco ad accordarla per bene e inizio a suonare ciò che provo da ormai tre settimane, che non riesco a imparare a memoria.
Ho qualche problema a ricordarmi le cose, anche se sono essenziali, praticamente vivo di post it. Sono appesi per tutta la mia stanza, in mezzo a poster e alle foto appese sul muro.
Una cosa che ho sempre, è un post it attaccato alla custodia della chitarra, con sopra scritto l'orario che ho per stare in aula di musica.

Dopo un'ora esco dalla classe, chiudo la porta a chiave e, dopo averle date al bidello, esco dall'edificio.
Prendo la macchina e vado verso casa.
Appena varco la porta di ingresso sento odore di curry, che da quasi la nausea. Mi giro verso la cucina e vedo mia mamma che tenta di cucinare indaffarata.
"Sono a casa!" Esclamo, lei si gira verso di me e mostra il suo solito sorriso dolce.
"Finn, vieni qui, ho provato a cucinare qualcosa di nuovo, è un piatto giapponese" ridacchia pulendosi le mani nel grembiule "mal che vada ordiniamo da mangiare e dico che l'ho fatto io."
Sorride, poi si gira verso di me. È molto più piccola rispetto a me e io non le somiglio affatto. Avremo all'incirca trentacinque centimetri di differenza. In più, i suoi capelli biondi e fini, in confronto ai miei, neri e ricci, fanno quasi ridere. L'unica cosa che abbiamo in comune è la pelle pallidissima, cosa che accomuna un po' tutti noi Wolfhard.
"Vai a chiamare tuo fratello, tuo padre arriva stasera, ok?" Sospira dandomi una pacca sul braccio, io annuisco salendo poi le scale.
Mi fermo davanti a camera di mio fratello e apro la porta.
È sdraiato sul letto, in mutande, mentre legge il fumetto di Thor. Sposta lo sguardo verso di me e mi sorride quasi compiaciuto "ciao faccia da rana."
Roteo gli occhi e lo ignoro, poi faccio un cenno con la testa "mamma ha fatto da mangiare, vestiti e scendi."
Nick ha 20 anni, quattro anni in più di me, non fa nulla, letteralmente. Ha convinto mamma e papà dicendo che aveva bisogno di un anno sabbatico.
Non sono stati affatto d'accordo su questa scelta, sicuramente non erano i progetti che avevano pensato per lui. Lo so perchè per un periodo, ogni sera, hanno continuato a parlare e discutere fino a tarda notte, in cucina, mentre credevano che io riuscissi a dormire.
Mamma ha tentato molte volte di parlare con nostro padre, lei è sempre stata molto comprensiva nelle nostre scelte, mentre lui è sempre stato quello severo di famiglia.

Ci sediamo tutti a tavola e mia mamma ci sorride, aspettando che noi facessimo da giudici del suo piatto.
Io e mio fratello ci scambiamo una sguardo di intesa, poi assaggiamo la prima forchettata.
Sgrano gli occhi e mi giro verso mia mamma "è buonissimo" dico quasi stupefatto.
Può sembrare una cattiveria ma solo poche volte riesce a fare qualcosa di veramente buono, sperimenta sempre cose nuove.
Una volta abbiamo passato una notte intera all'ospedale, è stato quando abbiamo scoperto che Nick è allergico alle arachidi.
Un incubo, se ci penso ancora adesso.
"Mamma, io stasera non ci sono" annuncio, lei si gira verso di me.
"Non parlare con la bocca piena, dove vai?" Sospira, incrocia le braccia e si appoggia allo schienale della sedia.
"In un locale a suonare, mi danno circa 50 o 100 dollari, dipende da quanta gente c'è."
Lei annuisce "devi vedertela con tuo padre, lo sai" sospira.
"Non ci sarò quando papà arriverà a casa, digli che sono con degli amici, per piacere!"
"Tu non hai amici" bisbiglia Nick alzando lo sguardo verso di me.
"Stai zitto" rispondo guardandolo storto.
"Ehi, questo linguaggio a tavola non si usa. Comunque va bene."
Sorrido contento e inizio a ringraziarla continuamente, facendola scoppiare a ridere.

In poco tempo si fanno le nove, mentre sono in camera mia a ripassare quello che dovrei suonare stasera. Mi alzo e mi metto dei jeans neri e una felpa bordeaux, poi metto velocemente le scarpe e prendo la chitarra, esco di casa e saluto tutti.
Fuori si gela, tengo stretta la custodia della chitarra nella mano destra, tra poco inizierò a sentire dolore a quella.
Apro la macchina e metto la chitarra nel retro, poi salgo e dopo mezz'ora arrivo al locale.
Prendo la mia chitarra, faccio un respiro profondo ed entro.

𝙒𝙝𝙖𝙩 𝙊𝙣𝙘𝙚 𝙒𝙖𝙨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora