1968

«Lasciatemi andare!» gridò il ragazzo aggrappandosi alle sbarre della sua cella.
«Io non sono pazzo, ci sono davvero quelle voci!».

La guardia lo guardò sorridendogli beffardo prima di andarsene fischiettando, facendo finta di non sentire le lamentele di Taehyung.

«Ehi, tu! Non andartene! Fammi uscire! Non sono matto! Non sono matto!» disse con voce ancora più alta.

Mise una mano fuori dalla cella per cercare di aggrappare il colletto della guardia, ma invano. Taehyung si guardò intorno con gli occhi spalancati.
I capelli biondo cenere e bagnati, dalla recente doccia gli gocciolavano sulle spalle, bagnandogli l'orribile divisa bianco cadaverico che era costretto ad indossare.
Gli vennero i brividi.

«Se urli così penseranno che tu sia ancora più matto.» le disse una voce più possente della sua.

«Sei reale?» Taehyung guardò fuori dalla sua cella per vedere chi stesse parlando.

Il ragazzo fece una faccia confusa, anche se sapeva che l'imprigionato non poteva vederlo.
Si affacciò alla grata della sua cella facendosi vedere dall'altro. Le loro celle erano l'una accanto all'altra. «Certo, perché non dovrei?» disse guardando il ragazzo dagli occhi azzurri, ma tendenti al grigio.

«Ci sono queste voci.» spiegò
«Non riesco più a capire cosa sia reale e cosa no.» si mise le mani nei capelli scuotendo la testa.

«Io sono reale.» affermò il ragazzo afferrando la mano del biondino che penzolava dalla grata della cella.
«Senti? Reale.» sfoggiò uno dei suoi migliori sorrisi.
Taehyung sorrise timidamente a sua volta. «Secondo te sono pazzo?» chiese appunto quest'ultimo.

Il ragazzo lo osservò bene, poi scuotendo la testa.
Lui non ci aveva pensato due volte a dire che il ragazzo davanti a lui era schizofrenico, ma preferiva tenerlo calmo. «Lo sono infatti.» disse il biondino

«No, a me sembri una persona normale.»
lo disse annuendo.

Il ragazzo le sorrise di nuovo. «Come ti chiami?»

«Taehyung, Kim Taehyung.
Ma tranquillo! puoi chiamarmi come vuoi, ad esempio Tae, Tata o altro.» disse guardandosi intorno nervosamente.

«Io invece son- puoi chiamarmi Kook.»

Il ragazzo osservò Tae per qualche secondo, pensando a quanto malati risultassero i suoi occhi.
Erano rossi, irritati dall'aria che li facevano infiammare, e si muovevano ad una velocità impressionante, come una macchina durante una corsa GP.

«Loro sono dappertutto.» disse ad un tratto, continuando a guardarsi intorno spaventato.

«Loro, chi?» chiese il ragazzo incuriosito dal comportamento dell'altro.

«Le voci. Loro mi dicono cosa fare.
Mi dicono che mi troveranno, che mi uccideranno, che uccideranno tutti noi.» rispose allora lui sussurrando, quasi avesse paura che loro potessero sentirlo. «Ti hanno diagnosticato la schizofrenia, non è vero?»

Taehyung spalancò ancora di più gli occhi cominciando ad agitarsi.

«Io non sono pazzo, capito? Non sono pazzo!» la sua voce divenne più acuta, facendo allarmare Kook che indietreggiò leggermente.

«Scusa.» disse con voce flebile.
Il ragazzo sentì poi Taehyung respirare profondamente.

«No, è colpa mia.» si scusò "il pazzo" affacciandosi alla grata della sua cella cercando con lo sguardo Kook.

Da quando era arrivato, Kook era l'unico che si era comportato gentilmente con lui, non poteva far scappare anche il corvino.

Jungkook si avvicinò alla grata guardando

«Tutto apposto?» chiese lui.

L'altro annuì.

«Tu cosa hai?»

«Oh, io non sono matto.» sorrise Kook. «Allora perché sei qui?» domandò Tae sentendosi confuso.

«Perché volevano sbarazzarsi di n- me.» spiegò il ragazzo.

Tae annuì prima di scomparire nella sua cella.
Il corvino aspettò qualche secondo prima di sdraiarsi sullo suo scomodo letto. Passarono circa cinque minuti in totale silenzio, rotto ogni tanto da qualche urlo raccapricciante e qualche gemito sommesso, poi sentì un urlo squarciare l'aria.
Un urlo forte, pieno di terrore da fargli male ai timpani.

Jungkook si alzò allarmato prima di guardare dalla grata chi stesse urlando. Sentì dei colpi provenire dalla cella accanto alla sua, quella di Taehyung.

«Stanno arrivando!» gridò il biondino colpendo il muro.

Si accovacciò per terra con gli occhi velati da una sottile membrana bianca, si portò le mani alle orecchie mentre le voci cominciarono a gridarle nella testa.

Lanciò un urlo, iniziando a dimenarsi per scacciare via loro. Iniziò a graffiarsi da solo. Nel viso, sulle braccia, sul busto.

Poi si portò nuovamente le mani sulle sue orecchie.
Gli urlavano cose orribili, raccapriccianti. Gli parlavano di morte.
Gli dicevano che nessuno gli avrebbe mai creduto, che nessuno avrebbe mai creduto in un pazzo come lui era, infondo.
Che avrebbe dovuto uccidere delle persone.

«Andate via! Andate via!» urlò lui tappandosi ancora di più le orecchie. Tae urlò un'ultima volta, con le mani quasi incollate alle orecchie, gli occhi azzurrini persi nel vuoto e il volto graffiato prima di crollare atterra.

Kook nella sua cella non poté fare altro che provare pena per quel povero ragazzo malato di schizofrenia.

Tae si sentì le palpebre pesanti.
Gli occhi le erano tornati normali, azzurri ghiaccio e grigi come il fumo.
Gli bruciavano i graffi sul viso, mentre giaceva debole sul pavimento con la bocca semichiusa.

Respirava affannosamente e mentre le palpebre si chiudono e la vista si offuscava, Tae riuscì a dire una frase.

«Ci uccideranno tutti.»

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