Entrai nella mia stanza sbattendo con forza la porta alle mie spalle, facendo scivolare la mia schiena contro ad essa fino a sedermi a terra.
«Fanculo...»
Mormorai a denti stretti, iniziando a torturare le mie povere dita, mordendomi con forza l'unghia del pollice finendo per spezzarla a metà, ignorando il dolore che mi ero autoinflitta.
Avevo appena litigato con mio padre e ormai non ce la facevo più a sopportare le sue urla, i suoi rimproveri, i suoi insulti, le sue mani addosso.
Chiusi gli occhi con ancora in volto la mia solita espressione stressata e torturata dall'ansia, tirando un enorme sospiro dopo aver infilato le mie mani nei miei capelli corti e sempre in disordine. Ero stanca.
Quando avevo 8 anni, mia madre morì in un incidente.
Come lavoro faceva l'hostess per la United Airlines. Lei era una donna dai lineamenti angelici con dei lunghi capelli neri ad incorniciare il suo viso mettendo in risalto i suoi grandi e luminosi occhi color nocciola.
Era magnificamente bella, carismatica, intelligente.
Era la madre che tutti desideravano.
Amava con tutta se stessa viaggiare e mi ricordo che, quand'ero piccola, prima di dormire mi raccontava dei suoi viaggi in Amazzonia, delle sue scoperte, delle sue avventure...
Quel fatidico giorno, mentre era in volo, l'aereo precipitò nel bel mezzo dell'oceano Pacifico.
I piloti persero il controllo e non poterono fare nulla per evitare la tragedia.
Mia madre morì dentro ad un ammasso di latta insieme a tutta quella gente, venendo inghiottita da un'enorme distesa infinita d'acqua.
Da quel che ricordo, mio padre, a scoprire la notizia alquanto dolorosa, sparì per l'intera giornata lasciandomi da sola in casa.
Tornò la sera tardi, ubriaco e conciato in malo modo.
Era distrutto, e non potei fare altro che provare compassione nei suoi confronti.
Mamma mi mancava.
Mi mancavano i suoi abbracci, i suoi baci della buonanotte, le sue carezze, la sua voce.
Ma l'avevo persa, ed insieme a lei, persi anche una parte di me stessa.
Mio padre, con il passare del tempo cambiò drasticamente diventando violento, riservato e chiuso.
Amava mia madre con tutto se stesso e averla persa per lui fu veramente tragico.
Parlavamo raramente in modo razionale o civile, ma ormai non mi cambiava più di tanto.
Avevo perso anche mio padre dopotutto.
Era diventato un'altra persona e ormai non lo consideravo più veramente mio "papà".
Lui, per me, era morto insieme a mia madre.
Sospirai scuotendo la testa risvegliandomi dai miei pensieri alzandomi lentamente e dirigendomi verso al mio morbido letto matrimoniale, buttandomi a peso morto su di esso.
«Che vita del cazzo...»
Dissi accendendo la mia amata sigaretta elettronica, iniziando ad aspirare in modo intenso sentendo i giramenti di testa farsi sempre più vivi.
Pochi minuti prima avevo litigato per l'ennesima volta con mio padre e per farla finita, chiusi l'argomento sputandogli acidamente contro tutto quello che pensavo.
Lui di risposta non poté fare a meno di tirarmi uno schiaffo talmente forte da farmi girare di lato la testa.
«Saresti dovuta morire tu al suo posto» Disse lui digrignando i denti.
Non persi altro tempo salendo le scale per arrivare alla mia stanza completamente sommersa dall'oscurità.
Ed eccomi qua, a fumare e a distruggermi da sola, solo per il piacere di farlo.
Chiusi gli occhi, sentendo il fumo denso circondare il mio volto.
Sentii il mio cellulare vibrare, ma lo ignorai.
Decisi di alzarmi aprendo le ante del mio armadio, tirando fuori un paio di shorts neri in denim insieme ad una semplice maglietta bianca e con una leggera scollatura. Mi vestii velocemente infilandomi le mie amate all star nere ai piedi per poi afferrare il mio skate da sotto il letto, buttandolo fuori dalla finestra.
Chiusi la porta della stanza a chiave, in modo che nessuno potesse entrare così da non notare la mia assenza.
Afferrai la mia giacca infilandomi gli auricolari e facendo partire "Save your tears" di The Weekend.
Mi aggrappai alla grondaia di fianco alla mia finestra scendendo lentamente e cercando di fare il meno rumore possibile, raggiungendo poco dopo il suolo.
Ormai erano le undici di sera e il quartiere era silenzioso.
Afferrai il mio skate prendendo la rincorsa e salendoci dopo aver preso velocità.
Tirai un sospiro sentendo l'aria fresca notturna colpire dolcemente il mio viso, riempendo i miei polmoni.
Ormai l'autunno era alle porte ed erano già arrivati i primi di settembre.
Mancavano 5 giorni al rientro scolastico e all'idea di star per iniziare la quinta superiore non potei fare a meno di tirare un profondo sospiro.
In classe avevo diversi amici, ma li reputavo solamente compagni di scuola.
Le uniche persone che mi erano veramente state vicine erano Sasha e Connie e nutrivo un profondo amore nei loro confronti.
Ci conosciavamo dalle medie e legammo fin da subito, diventando amici inseparabili.
A volte potevano sembrare dei completi ritardati, ma mi divertivano e mi distraevano dai miei problemi.
Loro sapevano della mia situazione in casa e mi hanno sempre supportato, standomi sempre vicino.
In quel momento la musica si stoppò e iniziò a squillare il telefono.
Mi fermai in mezzo alla strada afferrandolo e leggendo il mittente della chiamata.
PotatoGirl🥔
Sorrisi accettando la chiamata.
«Perché mi hai chiamata nel bel mezzo della notte?»
«SOFIA! MA DOVE SEI?! TI HO SCRITTO 500 MESSAGGI!»
«Sono fuori a fare un giro in skate. Perché me lo chiedi?»
«Sono nel tuo giardino a tirare sassi alla tua finestra da mezz'ora»
Mi lasciai scappare una risata all'immagine di lei intenta a raccogliere i sassolini da terra.
«Dove sei ora?»
«In piazza»
«Ti raggiungo subito»
«Come mai hai così tanto bisogno di parlarmi? Che succ-»
Non feci in tempo a finire la frase che lei mi riattaccò in faccia.
Sospirai passandomi una mano fra i capelli.
«Sempre la solita...»
Dopo una decina di minuti la vidi correre nella mia direzione fino a fermarsi davanti a me, riprendendo fiato.
«N-Non... Correrò... Mai.. più»
«Ma buona sera anche a lei signorina Braus»
La abbracciai notando che aveva uno zainetto sulle spalle, sentendola ricambiare la stretta stritolandomi come una sardina.
Mi staccai sorridendo dopo diversi secondi, tirandole un pugnetto alla spalla.
«Beh? Come mai necessitavi di vedermi?
Ti sono mancata così tanto da farti venire voglia di cercarmi alle undici di sera?»
Dissi con tono ironico.
«Io e Connie ci siamo messi insieme»
Rimasi in silenzio spalancando gli occhi, cercando di capire se mi stesse prendendo in giro o meno.
«Mi prendi per il culo?»
«Sei gelosa?» Disse tirandomi le guance.
Le saltai improvvisamente addosso abbracciandola, prendendola alla sprovvista.
Lei ridacchiò ricambiando la stretta.
La guardai sorridendo, allontanandomi di poco per scrutarla meglio.
«Ti sei fidanzata prima di me? Brutta demente!»
«Già, non so nemmeno io come!»
«Ah beh, pure io» Ridacchiai prendendola in giro.
«Ora quel pelato dov'è?»
«Gli ho detto di raggiungerci, dovrebbe arrivare a momenti»
Decidemmo di sederci su una panchina e lei tirò fuori dal suo zaino un pacco di patatine e delle birre.
Iniziammo a mangiare e poco dopo Connie ci raggiunse rischiando di cadere dalla sua mountain-bike.
Si sedette in mezzo a noi separandoci ed avvolgendoci con le sue braccia.
«Non mi aspettate brutte stronze?» Disse lui fregandomi la birra dalle mani.
«Senti pelato, intanto leva sto braccio e non mi toccare, puzzi» Dissi facendo ridere Sasha.
«Questo è l'odore di un maschio alpha tesoro» Controbatté lui.
«Oppure è l'odore di un idiota che non si lava da mesi» Dissi punzecchiandolo.
Iniziammo a parlare del più e del meno ridendo come matti.
Ad un tratto Connie iniziò a sputare la birra facendola sgorgare dal suo naso, non smettendo di ridere come un ebete.
«CONNIE, CHE MERDA!»
Mi alzai allontanandomi vedendo Sasha contorcersi dalle risate. Sembrava stesse per morire.
Sospirai piegando le labbra in un piccolo sorriso, notando poco dopo un piccolo e chiassoso gruppo composto da 4 ragazzi camminare in lontananza, mentre tenevano con loro una piccola cassa bluetooth JBL.
Io afferrai il mio skate guardando i due dementi.
«Ora sarà meglio andare ragazzi, si è fatta una certa»
«Già, meglio iniziare ad incamminarci» Disse la mora alzandosi ed afferrando il suo zaino.
«Aspettate un attimo... Ma quello è Reiner!» Connie andò verso a quel gruppetto raggiungendo i ragazzi che puntualmente lo salutarono con un abbraccio amichevole.
Sasha seguì Connie raggiungendo i ragazzi, salutandoli con i suoi classici pugni in testa.
Io me ne rimasi in disparte, non conoscevo nessuno di loro e non avevo intenzione di andare lì a presentarmi.
Sospirai rimanendo seduta sulla panchina guardando le mie cosce nude sentendoli avvicinarsi a me.
«La ragazzina chi è?» Disse il ragazzo che deducevo si chiamasse Reiner.
«Lei una nostra cara amica ed ex compagna delle medie» Disse Sasha.
«Oh, capisco» Mi si avvicinò porgendomi la mano con un sorriso amichevole in volto. «Io sono Reiner, piacere»
Lo guardai afferrando la sua mano ricambiando il sorriso. «Sofia»
«Beh Sofia, loro sono Floch, Jean ed Eren»
Indicò i ragazzi ed io li guardai uno ad uno, fingendomi interessata, senza nemmeno guardarli in faccia.
Sfoggiai il mio migliore e finto sorriso girandomi lentamente verso Connie.
«Non pensate che sia arrivato il momento di andare a casa, ragazzi? Ormai è tardi» Dissi alzandomi.
Loro mi guardarono salutando i 4 tipi strambi.
«Dai Sasha, monta dietro» Disse il pelato dopo essere salito sulla sua mountain-bike sorridendo.
Sasha e Connie erano vicini di casa ed abitavano distanti qualche isolato.
Quando ci separammo notai di aver dimenticato il mio pacco di sigarette-neo su quella dannata panchina, decidendo di tornare indietro cercando di fare il più velocemente possibile, stanca di stare fuori.
Appena raggiunsi il posto notai subito i 4 ragazzi di prima seduti sulla stessa panchina in cui ci avevo passato il tempo con i miei due amici.
Sospirai avvicinandomi, afferrando il mio skate e tenendolo saldamente dal carrello.
Osservai il ragazzo di nome Jean mentre teneva in mano il mio pacco di sigarette intento a cercare di accenderne una che aveva tra le labbra.
«Questa merda non va!» Disse.
«Quella merda costa più di tua madre, sai?» Dissi con un tono di scherno, notando i suoi occhi osservarmi da testa a piedi.
«Scusami? Non ho capito cosa hai detto»
«Sei sordo?»
Sentii gli altri ragazzi iniziare a ridacchiare, cosa che ignorai tenendo il sangue freddo per non spaccare la faccia a qualcuno.
«Beh, queste sigarette fanno schifo proprio come la proprietaria in questo caso» Disse porgendomele.
«Ti sei visto allo specchio? Razza di pony uscito dal culo» Dissi strappandogli dalle mani il pacchetto.
Sentii subito Reiner e Floch scoppiare a ridere come dei coglioni, mentre il ragazzo di cui non mi ricordavo il nome era rimasto immobile ed in silenzio.
Lo guardai notando i suoi occhi scrutarmi con attenzione, soffermandosi sul mio skate.
Lo osservai meglio notando che aveva i capelli legati in modo disordinato, con delle ciocche a ricadergli sulla fronte e un piercing all'orecchio destro. Addosso aveva dei pantaloni della tuta grigi ed una maglietta bianca attillata, che faceva intravedere il suo petto tonico, le sue spalle larghe e le braccia possenti.
Lo ignorai tornando a guardare il cavallo dall'espressione abbastanza incazzata.
«Senti, piccola puttanel...»
«Jean lasciala stare» Mi girai guardando il "ragazzo codino" alzarsi sospirando.
Si avvicinò al ragazzo dandogli una forte pacca alla schiena.
«Lascia perdere» Disse tornando a scrutarmi con quegli occhi che potei osservare meglio sotto alla luce dei lampioni.
Erano di un colore abbastanza impreciso, verdi ma tendenti ad uno strano ed intenso celeste magnetizzante.
«Ora vi prendete a pugni?» Disse Floch.
«Qui quello che verrà preso a pugni sei tu, Floch.» Disse il bruno scocciato.
«Eddai Eren!» Disse sbuffando il rosso.
Si chiamava Eren.
Sospirai aprendo il pacchetto notando che erano rimaste solamente 3 sigarette.
Alzai lo sguardo verso Jean guardandolo con sguardo freddo indicandogli il pacchetto.
«Perché ce ne sono solamente tre?»
«Tanto non funzionano. Non si brucia la cartina e il filtro sembra di plastica» Disse lui convinto.
«Non sono sigarette normali queste, testa di cazzo. Sono neo-stick, coglione. Queste sono fatte apposta per le sigarette elettroniche» Dissi scocciata.
«Non chiamarmi in quel modo, ragazzina»
«Ti ho dato della testa di cazzo ed è quello che sei» Dissi guardandolo scazzata.
Mi girai ormai stufa dandogli le spalle, posando stufa il mio skate sull'asfalto, andandomene.
"Che quartiere di merda..." Pensai tra me e me.
Afferrai il telefono notando che si erano già fatte le 3 del mattino, cercando di affrettarmi per tornare a casa.
Appena arrivata mi arrampicai su per la grondaia raggiungendo la mia finestra.
Entrai nella mia stanza infilando lo skate sotto al letto, buttandomi sfinita sul materasso.