Capitolo Undici

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Sentii in lontananza scoccare l'ultimo rintocco della mezzanotte e mi sedetti a bordo piscina, a qualche metro di distanza da Uno.

Eravamo oltre il coprifuoco e intorno a noi c'erano solo silenzio e oscurità, ad eccezione delle lievi luci attorno alle pareti della piscina. Era lì che si tenevano gli allenamenti con la professoressa Korhonen. Dovevamo imparare a muoverci liberamente e velocemente anche in acqua e a trattenere il fiato per più tempo possibile.

Feci dei risvolti alle estremità dei jeans e immersi i piedi nell'acqua. Uno fece lo stesso.

Rimanemmo per un po' in silenzio, a ondeggiare le gambe nell'acqua. Mi piaceva quella sensazione. La trovavo rilassante.

«Sei pronta?» Uno ruppe il silenzio intorno a noi con quell'unica domanda.

Ero pronta? No. Non ero pronta a lasciare i miei fratelli, come non ero pronta ad affrontare Irina. Non avevamo idea di cosa avremmo dovuto affrontare lì fuori. Dei Normali sapevamo poche cose, per lo più ciò che ci diceva chi lavorava per il centro: pazzi e ossessionati dalla scienza. In sostanza non ne sapevamo nulla.

Ma ciò per cui avevo più timore era fallire nell'impresa.

Molte erano le cose che sarebbero potute accadere: il posticipo della partenza, venire catturati una volta cominciata la nostra fuga, venire uccisi, non trovare nessuno disposto ad aiutarci.

Non dissi nulla di tutto quello che pensai in quei cinque minuti a Uno. Non ero più stata in grado di aprirmi con qualcuno dopo la morte di mio fratello. Più che una difesa psicologica per il mio lutto, era una scelta. Avevo scelto di non legarmi mai più profondamente a una persona. Non avrei mai più commesso l'errore che avevo compiuto con 15. Le persone un momento prima ci sono e quello dopo non ci sono più. Se non mi fossi più legata a nessuno, non avrei più sofferto per la loro mancanza. «E tu?»

Guardai Uno, che mi fissava con quel suo sguardo diffidente. In questo mi assomigliava. Se in quei sette anni non mi ero mai aperta con Uno, anche lui non mi aveva mai fatto conoscere la parte più intima dei suoi pensieri. Quando ci incontravamo, parlavamo poco più di cinque minuti, solo per controllare che andasse tutto bene e che nessuno avesse cambiato idea riguardo alla fuga. Le nostre paure e i nostri pensieri ce li tenevamo per noi.

A entrambi andava bene così.

Uno distolse lo sguardo e fece un mezzo sorrisetto guardando l'acqua. Aveva notato il mio intento di evitare la domanda: «No, ma lo faremo lo stesso».

Su questo non ci sono dubbi.

«Va bene allora. Lunica cosa di cui siamo a conoscenza è che Sabato mattina lasceremo il centro. Non sappiamo chi ci accompagnerà e nemmeno in quanti saranno» cominciò Uno.

Feci un respiro profondo e iniziai a fare un ragionamento generale: «Partiremo tutti e sette insieme quindi dubito che Irina prenderà parte a qualche spedizione. Probabilmente saremmo accompagnati da qualche medico o da un infermiere in caso durante il viaggio dovessimo sentirci male. Saremmo scortati da più soldati del solito perché non abbiamo più il chip addosso. Dovremo trovare un modo per mettere tutti fuori gioco. Più tempo riusciremo a guadagnare e meglio sarà. Una volta arrivati in aeroporto dovremo dividerci e continuare la fuga ognuno per conto suo».

Uno annui silenziosamente, guardando lacqua: «Il punto di ritrovo rimane sempre quello, giusto?».

«Sì, rimane quello» Le informazioni che avevamo non erano un granché. A causa dei pochi dati a nostra disposizione su Irina - lunica cosa cui potevamo affidarci erano il nome e il forte accento russo – non potevamo che cominciare le nostre ricerche in Russia. Era strano come potevi vivere per ventiquattro anni della tua vita senza conoscere informazioni su qualcuno che vedevi tutti i giorni. Della Morozova non si sapeva nulla: né una data di nascita, né della sua famiglia, né di un marito.

Nulla. Il vuoto assoluto.

Non credevo nemmeno che il professor Johnson sapesse qualcosa, anche se era un suo vecchio amico.

Nel nostro libro di geografia ogni paese era segnato con delle coordinate. Avevamo utilizzato quelle per poi segnare a caso sulla mappa il punto esatto dove ci saremmo trovati. Nemmeno noi sapevamo, con esattezza, dove puntavano quelle coordinate a Mosca. Speravamo solo fosse poi semplice ritrovarci lì. Fuori dal centro non avevamo modo di comunicare con laltro.

«Okay allora. Ci incontreremo lì lunedì 30 alle dodici precise. Se uno di noi non si presenterà, laltro dovrà proseguire la missione da solo. Non possiamo permetterci di perdere tempo».

Ebbi un brivido lungo la schiena. Se non ci fossimo presentati quel giorno a quellora voleva dire che uno di noi era stato catturato oppure ucciso.

Mi riscossi subito.

No, non volevo pensare a quella possibilità e, ancora più sicuro, non sarei diventata lassassina per la quale ero stata creata. Avrei salvato la vita dei miei fratelli oppure avrei preferito morire anziché tornare al centro da sconfitta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 16, 2021 ⏰

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