Capitolo Cinque

14 1 8
                                    

Il chip.

Ecco perché era la mia unica occasione per andarmene.

Il chip era una piccola creazione dell'equipe per gli esperimenti. Era facile capire che dei ragazzi con capacità tali da portare il mondo nel caos non sarebbero stati facili da controllare. Questo chip ci veniva inserito appena sotto la nuca, il giorno che lasciavamo la capsula che ci aveva fatto da grembo materno. Un chip dotato di GPS, di un sistema di bloccaggio delle nostre capacità e di un dispositivo in grado di rilasciare scariche elettriche a intensità variabile per riportarci tranquilli quando dimostravamo segni di ribellione. Quando invece la situazione diventava ingestibile, se attivato, il chip diventava come un piccolo innesco: il chip esplode e tu cadi stramazzato al suolo, privo di vita. Solo una volta assistetti all'uccisione di un mio fratello in quella modalità. Eravamo a mensa e 7.06 aveva cominciato a dare di matto. Le guardie provarono a sedarlo con le scosse ma sembravano non funzionare. Arrivarono quindi alle maniere forti. Ricordo solo il suono di un piccolo botto, come quello di un petardo, e poi mio fratello che, con gli occhi sbarrati, si accasciava al suolo, inerme, con il sangue che usciva e formava una grande macchia intorno alla testa.

Potevamo odiare la nostra vita rinchiusi qui dentro, ma preferivamo continuare a vivere come cani addomesticati invece di venire uccisi con tale brutalità.

Erano solo le 17:46. La cena sarebbe stata servita alle 19.00 in punto. Non avevo voglia di passare quell'ora nella mia stanza. Decisi quindi di andare a visitare il Nido. Era da tanto che non ci andavo. Non volli riprendere l'ascensore quindi dopo aver attraversato tre lunghi corridoi, superato cinque porte e fatto quattro rampe di scale, arrivai a destinazione. Entrai nella stanza buia, illuminata da sottili fasci di luci verdi a led posti alla base delle capsule che contenevano i nuovi bambini per i futuri esperimenti: 7.16, 13.12, 38.04... .

Era tardi quindi gli infermieri e gli scienziati se ne erano già andati da un pezzo. La stanza era immersa da un silenzio tranquillo, rotto solamente dal BEEP dei macchinari che misuravano il battito cardiaco dei miei futuri fratellini.

Tutti noi eravamo stati creati all'interno di una di quelle capsule in vetro, sotto gli occhi di centinaia di operatori. Da quando aveva aperto il centro, la dottoressa Morozova aveva cominciato a studiare un modo per ottenere bambini su cui provare i suoi esperimenti. Mise a punto un sistema che avrebbe generato dei piccoli esseri umani, creati grazie alla scienza e alla tecnologia. Attraverso questo sistema, il DNA di ciascun feto era modificabile. Gli scienziati cominciarono quindi a ritoccare l'aspetto fisico che avrebbe avuto il bambino una volta nato, come anche le sue capacità e abilità. Una volta completata la modificazione, il feto era inserito in una di quelle capsule. Raggiunto il momento opportuno, il bambino era rimosso dalla capsula e cresciuto per diventare un'arma.

Per l'ennesima volta, quel posto mi portò alla mente ricordi del passato. Ricordi che avrei preferito dimenticare.

     * * *

«Sorellona! Soffia la candelina! Oggi è il tuo onomastico! Oggi è il Pi Day!» 3.15 piombò a sorpresa dietro di me, mettendomi un braccio sopra le spalle, tenendomi ben stretta a lui, e sull'altra mano reggeva un muffin, rubato dalla mensa, con una candelina accesa. Eravamo i fratelli più uniti della nostra categoria. Ci piaceva definirci gemelli perché eravamo usciti dalla capsula lo stesso giorno, a pochi secondi di distanza, e fisicamente era uguale a me, solo il sesso era diverso. Alto, capelli neri e occhi grigi. Eravamo migliori amici da quando eravamo nati.

«Sei un idiota!» dissi scherzando. Gli tirai un'affettuosa pacca sul braccio «E fai silenzio, sono le undici e mezza. Se ci beccano fuori dopo il coprifuoco, siamo spacciati. E poi perché ti ostini a chiamarmi sorellona? Siamo nati lo stesso giorno!»

π - La diversità sfugge al controllo -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora