Tiro fuori il telefono dalla tasca e guardo l'ora. Non passa più questa giornata. Non so che fare. Probabilmente, se non avessi la carica di segreteria e non dovessi dare il buon esempio... starei già fuori dalla classe a gironzolare per i corridoi o a disturbare qualche mio amico nelle altre classi.
Mi passa per la testa di farlo ma la mia coscienza fa esplodere subito l'idea e torno ad annoiarmi totalmente.
Tiro fuori il blocco degli appunti e inizio a fare qualche schizzo con la penna nera.
Non ho ben precisa una immagine da raffigurare, e così facendo lascio che la mia mano vaghi libera sul blocco.
Una volta finito guardo un po' in giro, cercando qualche distrazione che faccia passare il tempo più velocemente.
Sussulto quando la porta della classe sbatte contro il muro e la sagoma di un uomo appare sulla soglia.
Tutti gli occhi della classe sono puntati su di lui, ma non sembra interessarsene.
La sua camicia verde mela è abbottonata male ed è fuori dai jeans.
Le scarpe da ginnastica blu stonano e non poco. Cammina deciso in mezzo alle due corsie di banchi posti a destra e a sinistra -spostati da noi ragazzi ogni volta che entriamo in questa classe- senza nemmeno guardarci o salutarci.
Tiene la testa bassa e concentrata sull'agenda che regge in mano. Arrivato alla cattedra, si siede. Sembra un po' sconvolto. Ha il respiro pesante e qualche goccia di sudore che gli cola dalle tempie.
Tira fuori dalla valigetta di pelle scura un libro, un quaderno e un astuccio rosso. Si riprende e cerca di mettere a posto la camicia quando nota che deve sbottonarla e riabbottonarla, la guarda qualche secondo, scuote la testa e la lascia così.
Si passa una mano sulla fronte sudata e poi sui capelli scuri, con degli strani riflessi chiari, pieni di gel.
Disgustoso.
Tira fuori dei fazzoletti dalla valigetta e si asciuga la fronte. Sospira e guarda il registro di classe. Lo sfoglia e va alla prima pagina.
Si schiarisce la gola e tira fuori degli occhiali neri dalla tasca della camicia.
Prima di poggiare la spessa montatura scura sul naso, si strofina gli occhi.
Fa un altro respiro profondo e alza la testa, scrutando la classe. Le prime file a destra e a sinistra, le seconde file a destra e a sinistra e così via fino alla quinta fila, che è l'ultima. Allunga un po' il collo per le ultime due e poi, guarda a lungo i compagni di banco di coloro che dormono profondamente. Come Hanna, Charley e Caroline. Il supplente con un gesto della penna fa capire di svegliare i tre addormentati. Con una pacca sulla spalla e una quadernata sulla testa si svegliano e si lamentano. Si stiracchiano un po' e poi, si rendono conto dello sguardo quasi penetrante del nuovo uomo alla cattedra che prima del loro riposo, non era presente.
Si schiarisce ancora la voce, guarda il registro e inizia a fare l'appello.
«Anaway» dice con voce roca il primo cognome della lista. Alza di nuovo lo sguardo cercando la diretta interessata. Guarda davanti a me e fa un cenno nella sua direzione «Presentati».
«Sono... Meg e ho diciassette anni... e... mh, niente» conclude imbarazza Meg che torna con la testa bassa, cercando di non attirare attenzione.
«Bel nome. Comunque, in matematica?» domanda aggiustandosi sul naso per l'ennesima volta gli occhiali «come andavi con il professore Goffrey?» dal fondo della classe si senta una risatina e un commento poco carino. Lisa si diverte a sfottere tutti, ma in fondo, sappiamo che ha avuto delle effusioni con Goffrey. Ma questi sono dettagli, o segreti. Dipende da come si vuole vedere la questione.
«Oh... mh, bene» taglia corto lei e torna ancora con la testa bassa.
«Okay, continuiamo. Arteni?» dice guardando dalla parte opposta della classe.
«Marc. Marc Arteni. Diciassette anni. Capitano della squadra di basket della scuola. Pessimo in questa materia ma ottimo come ruba cuori» si presenta lui come se fosse un soldato al militare, facendogli fare una smorfia al supplente dal nome ancora sconosciuto.
«Capisco. Grazie per le informazioni, mi serviranno molto» commenta ironicamente lui, o almeno provando.
Marc sorride e gli fa l'occhiolino.
Lui scuote la testa e continua l'appello.
Nomina Allen, Bosen, Capter, Dacota e altri fino ad arrivare a Charley.
«Monroe?» domanda guardano in fondo alla classe. Charley abbassa il cappuccio e impreca a bassa voce.
«Sono Bob, ho quarantadue anni e ho smesso di bere da quattro settimane e mezzo...» dice grattandosi il mento per poi sbuffare e mettersi composto sulla sedia «senta... ma siamo al confessionale di qualche gruppo di alcolisti anonimi?» domanda irritato. Vuole tornare a dormire. Ne sono sicura. Glielo si legge in faccia. Come la parola "scemo" scritta sulla di fronte con il pennarello giallo.
Non penso che se ne sia accorto.
«No, ma sarei felice se ognuno di voi si presentasse. Per fare conoscenza. No?»
«Ma i nostri nomi stanno anche sul registro, sulla piantina della classe e sul cartellone appeso alla parete. Con nome e cognome. Non le basta?» indica il cartellone bianco alle sue spalle.
«No. Non mi basta. So benissimo dell'esistenza del cartellone, registro e piantina con i vostri nomi e cognomi, e so anche più informazioni di quanto tu possa immaginare, come le tue note, ma preferisco interagire con voi il primo giorno, piuttosto che fare lezione. Ma se vuoi iniziamo subito» commenta serio, senza scomporsi.
«Come vuole lei» risponde disinvolto. Subito dopo arrivata una gomitata parte di Eric che gli dice di stare zitto, così lui si zittisce e guarda Senza Nome.
«Okay, mi scusi. Comunque sono Charley, ho quasi diciassette anni e sono fratello della tizia che viene dopo di me sull'elenco. Quella che si chiama Jinger...».
La biro di Senza Nome passa tra i nomi e si ferma su quello di Jinger.
«Si... Jinger Monroe... non mi pare che sia in classe. Come mai?»
«È stata poco bene. So solo questo» lo liquida con una bugia e appoggia ancora la testa sul banco tornando nel mondo dei sogni. Nomina altra gente ancora e poi arriva a me.
«Roland?» alzo la mano e la scuoto un po', attirando la sua attenzione.
«Dorothea. Ho anche io quasi diciassette anni e faccio parte del consiglio studentesco. Ah, si, sono pessima in matematica» concludo la mia fantastica presentazione, lasciandolo stupefatto dalla mia bravura ed eleganza nel presentarmi.
Scuote ancora la testa e poi finisce l'elenco, senza aggiungere una parola. Ne su di me, ne sulle presentazioni altrui.
Abbassa la testa e inizia a scrivere velocemente sul suo quaderno qualcosa.
Guardo il telefono e noto che manca ancora un ora all'intervallo e questa, dobbiamo passarla con l'uomo misterioso.
Sono passati venticinque minuti, e io, come venticinque minuti fa, sto disegnando sul banco. L'uomo alla cattedra sta ancora tenendo la testa bassa mentre la biro veloce scrive, spostando la testa dal libro al quaderno. Dopo poco, alza il viso, toglie gli occhiali e fa un sospiro di sollievo. Fa un mezzo sorriso, ma assomiglia più a una colica, e si prepara per pronunciare qualcosa.
«Sono Matt O'Conner, il supplente di matematica, ma questo l'avrete già intuito. Comincerò dal capitolo quattro. So che l'avete già fatto, ma Goffrey mi ha informato che la metà di voi, se non di più, hanno l'insufficienza sullo stesso argomento, quindi, rispiegherò il capito e tra tre settimane faremo un verifica, d'accordo?» domanda e aspetta con impazienza la risposta, che non arriva, così, un piccolo "si", esce dalla mia bocca.
O'Conner mi guarda, mi fa un cenno con la testa, e chiude gli occhi, quasi come per ringraziarmi per la risposta.
Torna alla cattedra, posa gli occhiali, si sfrega l'occhio destro con il palmo della mano e mi guarda. Ancora. Mi fa il gesto di alzarmi e avvicinarmi alla cattedra.
La voglia è poca e il mio di dietro sembra incementato alla sedia, ma il buon senso fa muovere le gambe nella sua direzione.
Sono davanti a lui. Mi osserva di sottecchi e picchietta la biro sul piano di legno chiaro e un po' scheggiato.
«Siediti» mi ordina mostrandomi la sedia scarabocchiata di fianco a me.Buondì! Ho già aggiornato perchè... beh, mi pare ovvio il perchè! Il primo capitolo è noioso e non si capisce niente. E comunque non vedevo l'ora di continuare :')
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| Stupida distrazione |
Romance|Tratto dalla storia| «Dio, mi fai così incazzare» commenta irritato. Aspetta, cosa? «Come, scusa? Io ti faccio incazzare?» grido infastidita, iniziando a gesticolare. «Si, tu mi fai incazzare. Il modo che hai di rispondermi mi fa incazzare. Il tuo...