Capitolo undici.

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Alzo lo sguardo verso il ragazzo che ha appena parlato. Lo osservo mentre ridacchia e scuote la testa, passandosi una mano tra i capelli.
Cerco di ricordarmi dove l'ho già visto, ma non ci riesco.
Lo dirò sempre... non sono molto fisionomista.
Eppure ha un'aria talmente familiare!
Solo quando mi porge la mano lo riconosco: è il tizio di oggi pomeriggio!
Sorrido imbarazzata e accetto l'aiuto, esattamente come qualche ora prima per colpa della mia mancanza di attenzione e forse, e dico forse, anche di equilibrio.
Mi alzo in piedi e mi accorgo di non essere più così bassa in confronto a lui.
«Ti sei alzata» commenta sarcastico.
«Ti riferisci all'altezza o al fatto che sono in piedi e non spalmata per terra?» gli domando trattenendo una risata.
«Intendilo come preferisci» dice tornando serio.
Le luci della sala si sono fatte più chiare e la musica si è abbassata leggermente, dando la possibilità a Danny di parlare al microfono.
Sia io che il ragazzo ci giriamo nella sua direzione e ci mettiamo ad ascoltarlo.
«Okay ragazzi! Questa prima serata è davvero da sballo!» esulta lui, lanciando le braccia in aria «Bene! Adesso è arrivato il momento di presentarvi dei cari amici, venuti qui per suonare e se vi piaceranno, saranno la band del locale!» grida ancora, per poi incitarli a salire sul palco, sul quale sono già disposti gli strumenti.
«Beh, credo che sia il momento di andare. Mi chiamano» afferma facendo un cenno col capo verso il palco.
Strabuzzo gli occhi e prima che possa dire qualcosa in ragazzo mi risponde «Si, suono in questa band» dice, facendo scomparire ogni mia domanda.
«Oh. Allora... buona fortuna» gli dico tirando su i pollici vicino al viso e sorridendogli ampiamente, facendolo quasi sorridere.
Si gira e attraversa tutta la sala, fino ad arrivare dove ci sono i suoi amici, già pronti.
I diversi componenti sono alle loro postazioni: uno alla batteria, uno alla tastiera, uno al microfono e altri due alle chitarre, tra cui, il bello sconosciuto, che prende la chitarra acustica e si posiziona di fianco al solista, che controlla che tutti siano pronti.
Le luci stroboscopiche smettono di girare per la grande stanza e si fermano proprio sui volti dei ragazzi che si preparano per cantare.
Il cantante dai capelli biondi tossisce alcune volte al microfono, attirando l'attenzione di tutti e anche per schiarirsela, per poi parlare «Salve gente. Io e il mio gruppo vorremmo ringraziare Danny e tutto lo staff del Poison, che ci ha permesso di suonare qui sta sera e per questo spero davvero che vi piaccia la nostra musica» conclude girandosi verso i ragazzi dietro di lui e con un cenno della testa, gli fa capire di partire.
«Ecco a voi gli Stupid Escape! Un bell'applauso!» grida il dj dalla sua postazione. Un applauso lungo circa un minuto da coraggio alla band che inizia a suonare.
«Lips smoke, ragazzi» dice il solista a voce bassa al microfono, lanciando un occhiata al ragazzo alla tastiera, che inizia a suonare, per poi far tremare la batteria, le chitarre e la voce profonda del ragazzo.
Guardo attentamente il musicista alla chitarra acustica, che pizzica le corde muovendosi un po' sul suo posto, smettendo ogni tanto e sistemandosi i capelli, per poi ricominciare.
"Le tue labbra, che su di me bruciano, mi fanno solo bene" canta il ragazzo biondo, alzando di tanto in tanto la tonalità della voce.
Sorride per poi mandare un'occhiata al ragazzo con la chitarra, che lascia perdere quest'ultima e si avvicina al microfono appoggiato sull'asta, prendendolo e iniziando a cantare il ritornello: "Potrei morire, perché fai male. Sei la droga più pesante che si sia, eppure lo accetto, continuando ad assaporare le tue labbra di nicotina".
Lascia il microfono e ritorna a suonare la chitarra, lanciando occhiate divertire al suo amico, dall'altra parte del palco, che si sente in sottofondo con il suo basso, di color oro e blu.
Guardo da lontano il palco mentre mi avvicino di nuovo al bar e ordino un Apotheke.
«Abbonda con il cognac» dico al ragazzo che mi ha servito prima.
«Sarà fatto» ammicca lui, girandosi per prendere le varie bottiglie.
La musica riprende e la voce profonda del ragazzo biondo al microfono rimbomba nella sala affollata.
«Last day, questa la dedico alle ragazze».
Il basso inizia e continua seguito da quella classica con un suono dolce.
«Grazie...» dico piano, appena il bicchiere colmo di un liquido arancione mi viene dato.
"Dovresti restare questa notte. È l'ultimo giorno per me. Offrimi le tua presenza di cui non posso fare a meno" dice il ragazzo per poi lasciare spazio al suono delle chitarre e della batteria.
Mi piace come suonano. Mi piace davvero.
Appena la seconda canzone finisce ordino un altro Apotheke. Faccio il segno "due" con le dita e dopo poco il secondo bicchiere è tra le mie mani. Bevo tutto d'un sorso e l'ennesimo liquido amaro riempie la mia gola di un formicolio.
Mi guardo un po' attorno e mi sembra di aver perso qualcosa... cavolo! Jinger e gli altri!
Sono almeno quindici minuti che non li vedo... saranno nei dintorni dei divanetti vicino all'altro bar.
Mi avvicino al gruppo di persone in mezzo alla pista e ci passo attraverso, evitando di cadere ancora e di essere schiacciata come un'acciuga.
Tra un colpo nello stomaco, due nella schiena e qualche pestata ai piedi di troppo, arrivo al bar della parte apposta.
Osservo con attenzione le persone e cerco tra queste i miei amici.
Dove cazzo sono finiti?!
Cerco nelle tasche posteriori il cellulare e realizzo di averlo dimenticato a casa.
«Che testa di cazzo...» mi lamento tirandomi la punta dei capelli.
Sposto il mio sguardo dal bar al palco.
Il gruppo del ragazzo dal nome a me ancora sconosciuto finisce di suonare e dopo aver salutato tutti e ringraziato per il lungo applauso, sparisce insieme ai suoi amici appena sceso nella porta proprio di fianco al palco.
Rifletto sul da farsi e decido di fare un altro giro per il locale e cercare di trovarli.

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