Fatti gli ultimi scalini, arriviamo all'ultimo piano e giriamo a sinistra, andando verso le ultime due aule, che sono la presidenza e l'aula insegnanti.
«Quindi, che si fa ora?» chiedo fermandomi sulla soglia della porta.
«Ora devi entrare. Avanti» mi dice, facendomi "accomodare" nell'aula verniciata completamente sui toni del bianco e del giallo.
«D'accordo...» dico entrando.
«Okay. Ora saresti così gentile da spiegami che ci facevate tu e Allen nello stanzino delle scope?» mi domanda, sedendosi su una sedia e iniziando a far girare tra le dita una penna.
Lo ignoro e guardo in giro, cercando di notare qualcosa che attiri la mia attenzione o di nuovo, dagli anni scorsi, siccome quest'anno non sono ancora entrata qui dentro pensavo di trovare qualcosa di diverso, invece l'unica differenza è che, questa volta, invece che quattro o cinque prof, ci siamo solo io e O'Conner. Mi giro a destra e a sinistra, notando la mancanza di Dan.
«Ah, ecco. Mi sembrava che mancasse qualcuno. Dov'è Dan?» gli chiedo sedendomi anche io su una sedia.
«Rispondi alla mia domanda» dice serio, piagandosi un po' di lato ed estraendo, probabilmente dalla sua valigetta, lo stesso piccolo quaderno senza righe o quadretti del giorno prima, per poi iniziare a scrivere.
«E poi tu risponderai alla mia?» chiedo schiettamente, forse per abitudine, forse perché non riesco davvero a vederlo con un insegnante per la sua giovane età o forse perché sinceramente non lo temo più di tanto, tanto meno mi importa particolarmente di trattarlo in modo così rispettoso.
«Forza, spiegati Roland» mi induce a parlare lui.
«Che noioso... » borbotto, prendendo una matita in un astuccio di fianco a me, iniziando a scarabocchiare l'unica cosa che divide me e O'Conner: un lungo tavolo bianco, su cui ho fatto tre quarti dei miei compiti di castigo durante i miei anni precedenti.
«Cosa?» chiede lui, alzando la testa da quaderno, facendomi capire che non ha davvero sentito.
«Nulla. Comunque siamo finiti li dentro per parlare» dico io, sperando che non faccia tante domande, anche se mi pare impossibile.
«Per parlare? E non potevate farlo alla fine dell'ora? Magari non dentro uno stanzino?» chiede lui piuttosto stordito, non capendo il perchè del nostro "rifugio".
«Si, me lo sono chiesta anche io, ma Dan voleva parlarmi subito e quindi...» mi spiego io, divagando sulla vera motivazione.
«Era davvero così urgente?» domanda incredulo.
«Per lui si...» dico io, ripensando al comportamento impulsivo del momento.
«Certo, per voi è tutto urgente. Ma più importate, voglio sapere che ci facevate fuori durante l'orario di lezione» dice tornando a scarabocchiare il suo quaderno.
«Beh, io ero già fuori, poi Dan mi ha seguita...» spiego io, cercando di capire che cosa scrive o fa.
Dopo poco, mette giù la biro e lo guardo mentre afferra la tazza bianca colma di caffè alla sua destra e a piccoli sorsi mandare giù il contenuto. La appoggia nel punto di prima, e con le dita magre e affusolate si stuzzica il labbro inferiore, prestando finalmente attenzione a me.
«E perchè eri fuori?» mi chiede, guardandomi con attenzione e, data la sua insistenza, fa spostare il mio sguardo da lui a qualcos'altro nella stanza.
«Beh... io ho...» provo a dire, ma inutilmente, sentendomi fin troppo osservata.
«Tu hai?» chiede, provando a tirarmi fuori di bocca le parole, sedendosi ancora più correttamente sulla sedia.
«Ah! Quante domande! Non mi sono sentita bene e così il prof Park mi ha dato il permesso di uscire per bere un bicchiere d'acqua, per riprendermi un po', insomma...» lo informo, trovando interesse in una copia di un vecchio quadro, "lo stagno di ninfee" di Monet, facendomi venire in mente quando alle medie provai a riprodurlo, con scarsi risultati, però.
«E Allen?» interrompe i giri di ricordi tra quadri e pittura.
«Dan doveva andare un bagno» brontolo, cercando di dare una risposta per ogni noiosa e petulante domanda che mi viene posta.
«Doveva andare in bagno o doveva chiudersi nello stanzino con te?» chiede lui, facendomi pentire di averlo seguito, piuttosto di essermi buttata dalla finestra del secondo piano.
«Detto così suona male, lo sai?» lo avverto, sentendomi stranamente vista non esattamente di buon occhio da O'Conner, ma come dargli torto, quello che gli è stato detto di me, non è proprio il massimo.
«Dovresti darmi del lei quando siamo fra le mura scolastiche» mi informa, mostrandomi con l'indice le quattro mura dell'aula insegnati.
«Come vuoi...» borbotto riprendo a disegnare, provando a fare una caricatura di colui che ho davanti.
«Si. Esattamente, come voglio. Adesso spiegati meglio» quasi mi ordina, alzando di poco la voce.
«E va bene, va bene... dovevamo parlare. Lui sa che non sarebbe stato facile, perché abbiamo litigato e quindi ha pensato bene di... non farmi scappare. Chiaro ora?» provo a spiegargli, prestando ora più attenzione al suo viso che alle domande.
«No. Non abbastanza. Spiegati meglio» mi dice, sistemandosi il gilet nero e i bottoni della camicia.
«Oh... che palla al piede» sussurro, ma non abbastanza piano.
«Come, scusa?» chiede irritato.
«Mh? Cosa? Non ho detto nulla...» mento io, evitando di ridergli in faccia. «Comunque... sono piuttosto difficile da gestire, Dan sapeva che mi sarei messa ad urlargli contro e forse sarei anche corsa via per non ascoltarlo, quindi mi ha chiuso lì dentro con lui. Ecco tutto» spiego velocemente, osservando i tratti giovani, duri e perfetti, che incorniciano degli interessanti occhi di diverso colore.
«Quindi non eravate la dentro per-...» prova a dire lui, prima che io lo blocchi, evitando di far venire fuori dalla sua bocca una stronzata che per lo più, potrebbe farmi vergognare.
«No! No! E no! Cosa va a pensare?» chiedo stupita di ciò che è andato a pensare.
«Per come vi ho visti questa mattina pensavo che voi due foste intimi» mi informa con nonchalance.
«Dio mio...» dico alzando gli occhi al cielo, chiedendomi se è questa l'impressione che diamo io e Dan agli occhi delle persone.
«Senti... volevo dire... emh.. senta, so che non ho dato l'immagine migliore di me da quando mi ha conosciuta, ma non sono quel tipo di persona» preciso, provando a chiarire qualsiasi tipo di equivoco che si è creato o si sta per creare.
«Cosa intendi per "quel tipo di persona"?» chiede lui, che sembra fare finta di nulla o semplicemente prova a mettermi in imbarazzo.
«Lo fa apposta?» chiedo a denti stretti.
«A fare che?» mi domanda, facendomi intuire che lui non ha davvero capito.
Un altro ritardato.
«Okay, faccia finta di niente. Stavo dicendo: con "quel tipo di persona" intendo dire una ragazza facile o una poco di buono, va bene? So che con tutto quello che è successo tra ieri e oggi può sembrare il contrario, ma io non mi ubriaco, almeno... da un po' non succedeva, beh, non prendo passaggi da sconosciuti, non dormo nel letto di ragazzi che non conosco e tanto meno faccio altro. E non succede mai che io mi chiuda nello stanzino delle scope con persone... nemmeno se quella persona è un mio amico, beh, tranne oggi, che fa eccezione, okay?» preciso io, cercando di provare la mia "innocenza", se così si può chiamare. «Forse sono un po' nevrotica e maleducata, e soprattutto a scuola sono poco interessata alla matematica, o almeno, la matematica è poco interessata a farsi capire da me, ma non sono così pessima come Goffrey mi ha descritto... davvero» continuo, cercando di convincerlo. Sentendomi hai suoi occhi stranamente piccola, come una bambina che prova a convincere suo papà che non è stata lei ha tirare le trecce alla sua compagna di banco.
Vedo il suo sguardo addolcirsi, ma senza scomporsi mai.
«Oh, beh. Partendo dal fatto che tu non sei una ragazza facile, l'ho capito ieri» mi rivela, togliendomi quasi un peso dallo stomaco.
«E allora perché ha pensato che io-...» provo a dire, per poi venir interrotta.
«Mi sono sbagliato. Ecco tutto. E forse mi sono dimenticato di dirti che ieri non volevi salire sulla mia macchina perché pensavi fossi un maniaco. Tirandomi pure un pugno nello stomaco...» dice, trattenendo un sorriso, che quasi speravo di vedere, toccandosi una parte del petto facendomi vedere dove l'ho colpito.
«Oh, non lo sapevo...» ammetto io, cercando di scavare nei ricordi annebbiati della sera prima, ma inutilmente.
«Ovviamente. Eri completante partita» precisa lui, ricominciando a giocare con la biro.
«Mi dispiace per... il pugno» mi scuso, tornando alla caricatura di O'Conner, che provo a migliorare ricalcando i tratti del viso e degli occhi, facendolo sembrare un po' più buffo, guardando poi l'originale e il disegno, notando una differenza quasi imbarazzante: il disegno sorride, lui no.
«Ah, non ti preoccupare. Non mi hai fatto mica male» mi tranquillizza lui, appoggiando la biro nell'astuccio, il che mi fa capire che la matita che ho preso precedentemente, appartiene a lui.
«Ah, okay...» biascico, cercando una gomma per cancellare la caricatura.
«Però dai, mi fai ricredere su qualcosa, almeno. Ma per quanto riguarda ciò che ha detto Goffrey? Non vorrai dirmi che è tutto falso?» chiede, quasi ovviamente sicuro di sapere la risposta.
«Ah... beh... diciamo di no» dico, dandogli la conferma che ciò che ha detto quello stupido vecchio di Goffrey, è vero.
«E quindi? Perchè ti sei comportata così?» domanda lui.
«Beh, avevo dei motivi per fare ciò che ho fatto» rispondo assorta, cercando di ricordare i vari importanti o inutili motivi, che mi hanno spinto a fare delle cazzate con Jinger e gli altri.
«Ad esempio?» chiede, avvicinandosi al tavolo, quasi come se fosse interessato.
«Beh, adesso non mi vengono, ma quando mi sono comportata così, avevo delle motivazioni» spiego, portandomi le mani alla bocca, iniziando a morsicarmi le pellicine delle dita.
«Si. Immagino...» dice incredulo, fermandosi dal suo continuo fare domande, per poi ricominciare.
«Ma la cosa che non capisco davvero è perché questo drastico cambiamento...» chiede basito, per qualcosa che io non riesco subito a capire.
«Cambiamento?» ripeto, facendogli capire che non è stato chiaro, e io non ho capito a cosa si riferisce.
«Si. Da una scalmanata studentessa che infrange le regole a rappresentante di classe» chiarisce lui.
«Ah... si. All'inizio nemmeno io ci ho capito molto di questa mia scelta, ma... è andata così» provo a tagliare corto io, per non dover stare atri minuti a spiegare il più e il meno.
«E come mai?» chiede lui, ancora.
Rinuncio a sperare che la smetta di fare domande su domande e appoggio i gomiti sul tavolo, per poi rispondergli.
«Diciamo che nessuno di noi quest'anno si voleva candidare e mancava solo la mia classe e ci dissero che se entro la fine della giornata non avevamo scelto un rappresentante, saremmo rimasti fino a tardi. E io avevo fame e non ne potevo più, così... eccomi qui» gli riferisco, ripensando alla seconda settimana dell'inizio anno, quando ci volevamo dare una mossa per non finire come gli anni precedenti, prima di natale senza un progetto, delle idee chiare su cosa fare o no, senza una dannata organizzazione decente, e ovviamente, questo solo nella mia classe. E stranamente nessuno aveva voglia di candidarsi e prendersi questo dannatissimo compito di rappresentante, così, con un po' di coraggio o quasi obbligo da parte di Jinger, sono finita per rappresentare la mia rumorosa classe.
Anche se non è cambiato molto dagli anni scorsi, siamo sempre casinisti, forse più organizzati, ma niente di che.
E io da arrogante, sbruffona e disinteressata a scuola sono diventata calma, per obbligo, meno arrogante, meno sbruffona e meno disinteressata.
Beh, ho voti migliori e alcuni prof hanno ripreso a parlarmi, nonostante io mi sia comportata da... stronza.
In fondo, non è poi così male.
«Si. Ora ha tutto un senso» esordisce lui, facendomi riprendere da innumerevoli pensieri riguardanti la scuola, il mio comportamento e chi più ne ha, più ne metta.
«Davvero?» chiedo io, stupendomi del fatto che mi abbia capito.
«Certo. Ma la prossima volta non sarò così clemente. N'è con te n'è con il tuo amico Allen. Siamo intesi?» mi dice, permettendomi di alzarmi e di avviarmi verso la porta, nella speranza di uscire.
«E va bene. Ora posso andare?» chiedo speranzosa.
«Si. Vai. Ma mi raccomando» mi avverte.
«Si, si, certo. Arriv-...» provo a dire, cercando di scappare dalla classe, ma il mio intento viene bloccato appena mi richiama.
«Ah, Roland, aspetta. Ultima cosa»
«Cosa? Cosa vuole ancora?» chiedo sbuffando.
«Hai lasciato la tua roba a casa mia» mi ricorda lui.
«Si, e quindi?» chiedo io, battendo il piede a terra.
«Quando hai intenzione di venirla a prendere?» chiede, smettendo di avere quella strana aura di compostezza e perfezione che gli volteggia attorno tutto il tempo.
«Quando avrò tempo» affermo provando ad uscire dall'aula un'altra volta, venendo ancora bloccata dalla sua voce.
«Senti, ti do un passaggio così poi-...» prova dire, venendo interrotto dalla voce di qualcuno che mi chiama.
«Thea!» grida una voce familiare sulle scale.
«È Dan» informo O'Conner, che ha ripreso ad avere la solita facciata indifferente di prima.
«Chi è Thea?» chiede guardami.
«La sottoscritta... aspetti» dico io, tornando a guardare in corridoio «Dan! Siamo qui!» faccio segno con la mano al mio amico, vedendolo che mi viene tranquillamente incontro.
«Eccoti! Ti stavo cercando!» dice Dan, fermandosi davanti a me prendendomi la mano, per poi tirarmi «Jinger mi ha detto che O'Conner ti ha rapito e portata qui».
«Emh... Si...» biascio io, mostrando a Dan che dentro l'aula c'è ancora il cosiddetto rapitore.
«Ah... giorno prof» dice lui, con imbarazzo.
«Si, giorno Allen» dice O'Conner, quasi con distacco e poco interesse.
«Senta prof, volevo dirle che è solo colpa m-...» inizia lui, prima che venga bloccato.
«Si, lo so. Roland mi ha già spiegato tutto» lo avverte il prof.
«Tutto cosa?» chiede Dan, guardandomi con sospetto.
«Si, Dan. Non ti preoccupare. Ora andiamo. Grazie e arrivederci!» provo a tirare Dan per il braccio, ma senza riuscire a smuoverlo di un misero centimetro. «Aspetta Thea. Che le ha detto? Cioè, va davvero bene così? Nessuna nota o punizione?» chiede sorpreso Dan.
«Dan! È tutto a posto. Andiamo! Avanti! Non è necessario che lo domandi, potrebbe cambiare idea» lo incitò a venire via, ma inutilmente.
«Cosa mi ha detto?» inizia il prof, informando Dan di cosa abbiamo parlato fino ad ora «Allora: dato che lei» dice indicandomi «è un caso disperato, grida, scappa e probabilmente tira anche qualche gancio destro, per sicurezza l'hai portata in seduta spiritica con te nello stanzino delle scope, non è così?»
«Oh. Si. È così» sussurra Dan, forse stupito di come ha reagito O'Conner a questo.
«Appunto. È così. Ora andiamo» dico ancora.
«Ma Allen, mi vorresti spiegare tu, il perchè di questa importante discussione nello stanzino?» interviene lui, facendomi desiderare di avere una corda, legarci Dan e portarlo via.
«Non è necessario, Dan. Non sono affari suoi» commento acida.
«Certo che lo sono, invece. In fondo sono io che decido se riprendervi o no per l'accaduto» dice, facendomi pentire un'altra volta di non essere scappata quando potevo.
Questo bastardo, mi aveva illusa di poterla scampare.
«Ma lei ha detto-...» provo a dire, per poi venire bloccata. Ancora, ancora e ancora.
«So cosa ho detto. Avanti Allen, spiegami» dice O'Conner, incitando sta volta Dan a parlare.
«Beh, vede, la mia amica qui presente...» inizia lui.
«Dan, andiamo!» lo interrompo, tirandolo per la manica della maglietta.
«Dai, che sarà mai. È la verità!» dice lui, cercando di farmi smettere.
Sembro una bambina rompiscatole.
«Lo so! Ma smettila!» gli dico io, sperando di fargli cambiare idea a Dan.
«Roland, fallo parlare!» mi riprende il dannato matematico.
«Che cazzo...» sussurro, oramai stanca di provare a convincere il mio amico a stare zitto.
«Beh, Thea ieri si è divertita un po' troppo così... ha finito per ubriacarsi ed essere aiutata da un completo sconosciuto, che l'ha portata a casa sua e poi nel suo letto e dovevamo parlare di questo» dice Dan tutto d'un fiato, guardandomi con disaccordo.
Guardo velocemente O'Conner, che sembra continuare a tenere la sua facciata da "non mi importa un cazzo di niente" e poi di nuovo Dan, che sembra traforarmi con lo sguardo da parte a parte.
«Dan! Smettila! Così è troppo!» lo riprendo io, sperando che il prof non dica nulla.
«Ma è la verità! E non capisco questo tuo comportamento! Tu non sei così!» quasi grida, rinfacciandomi qualcosa, come se io fossi diversa, stessi cambiando e non mi riconoscesse più. Un'altra volta.
«Basta ripetermelo! Ho capito!» grido io, lasciando andare il braccio di Dan, sentendo un fastidioso nodo nello stomaco.
«No, non hai capito! Non è da te!» dice ancora.
«Lo so! Ma ora basta! Non l'ho fatto apposta!» quasi mi giustifico, anche se non dovrei.
«Non ho fatto sesso con lui, non ho fatto nulla e... e non sono diversa! okay?» grido ancora di più, sentendo la stretta allo stomaco intensificarsi.
«Thea, io-...» prova a dire, prima che io lo blocchi e lo liquidi con la mano.
«No. Tu, niente. Non voglio sentire altro. Vado» dico io, uscendo definitivamente all'aula e camminando fino alle scale, per poi sentire un ultimo «L'hai fatta arrabbiare, eh?» e poi più niente, se non i passi veloci di qualcuno che, forse, mi segue. Dan.
Corro giù fino al piano terra ed esco, aspirando un po' di aria fresca che mi investe e mi rilassa un po'.
Mi siedo sulle scale antincendio di fianco all'entrata e cerco di calmarmi, provando a ripensare a ciò che è appena successo, e cioè di tutto.
È da ieri sera che succede di tutto e mi chiedo quante altre cose potrebbero succedere!
Una cazzo di sbronza, il prof che ti aiuta dopo la bronza, una litigata con il tuo migliore amico, anzi due! E per di più una stupida litigata davanti al proprio professore.
Non può andare peggio di così...
«Dorothea? Che ci fai qui?» chiede piano una ragazza dietro di me.
«Chi è?» ringhio alla voce, per poi girarmi e vedere Jinger leggermente turbata, pentendomi di averle risposto così.
«Thea, ma che... che ti succede?» chiede avvicinandosi e sedendomi vicino a me.
«Jinger io... ah! Che cazzo!» dico, nascondendo il viso tra le mani, per poi emettere un lamento di frustrazione.
«Thea, calmati» mi dice Jin, iniziando a scrollarmi un po'. «Ma non dovevi essere con Dan?» chiede lei, guardandosi attorno.
«Si... fino a poco da lo ero, ma...» dico io, non finendo la frase, troppo stufa per dover rispondere ad altre domande.
«Ma?» chiede lei, incoraggiandomi a parlare.
«Ma ha rovinato tutto!» grido io, infastidita.
«Cosa ha rovinato?» chiede Jinger, cercando di capire cosa mi ha fatto arrivare a perdere le staffe.
«Ho cercato in tutti i modi di non spiegare il motivo del nostro stupido litigio, ma quando è arrivato lui... quello stupido di O'Conner l'ha voluto sapere e così adesso sa che abbiamo litigato per lui. Tutto questo, quanto può essere stupido, inutile e imbarazzante allo stesso tempo?» le domando, sentendomi un'idiota a dire ad alta voce la ragione del mio pessimo umore.
«Dai, non ti preoccupare. In fondo O'Conner sa come sono andate le cose» mi ricorda, cercando di farmi passare la rabbia.
«Si, e adesso sa anche che ho litigato con Dan per lui! Non è possibile! Per il prof! Ti rendi conto?» brontolo, appoggiando la testa sulle sue gambe, come ogni volta che sono triste, arrabbiata, stressata o in cerca di affetto.
«Si, ho capito. Ma non ti arrabbiare» dice lei, iniziando a passare le dita magre e sottile tra i miei capelli.
Uno dei metodi più usati da lei per tranquillizzarmi.
«Jinger, non mi puoi dire di non arrabbiarmi! Lo sai che non funziona così!» le ricordo, chiudendo gli occhi.
«Lo so, lo so, ma... con Dan?» domanda ancora incerta su quello che è accaduto in aula insegnati.
«Ah... quello stupido....» brontolo, facendomi venire in mente il suo stupido viso che mi sorride, non riuscendo a sentirmi ancora arrabbiata con lui.
«Però... non penso che tu sia scattata solo per questo... che cos'altro ha fatto, oltre a spifferare questa storia al prof?» chiede lei,
«Ha detto... ha detto "non è da te" e "tu non sei così", come se... fossi inspiegabilmente cambiata. Ma io... non sono diversa, vero?» domando seria a Jinger, alzandomi e guardando fissa negli occhi, per cercare un po' di sicurezza che in questo momento a me manca.
«Ah! Thea! Lo sai che non lo pensa davvero. L'ha detto solo perché è un bambinone geloso di chiunque ti si avvicini!».
«Non mi importa se lui è geloso e tutto il resto. Non può dirmelo come se niente fosse, senza prendere nemmeno in considerazione i miei sentimenti, dopo tutto quello che sa di me, che io... io non farei mai quelle cose, come se stessi cambiando, stessi diventando come... come lei» dico, abbassando sempre di più il tono di voce, pensando a come sarei se diventassi come lei.
«Io... ah... ho capito. Allora, adesso guardami» dice seria, prendendomi il viso tra le sue mani. «Avanti, guardami!»
«Va bene...»
«Brava. Ora ascoltami: tu non diventerai come tua mamma. Non succederà mai. E se mai succedesse, ti prenderò talmente tante volte a badilate che ti riprenderai. Stanne certa!» mi informa sorridendo Jinger.
«Cos'è? Una minaccia?» le chiedo piano.
«No! È una promessa, e adesso andiamo in classe, forza!» dopo un mio sorriso, si alza, mi prende per mano e corriamo fin su in aula, appena prima che la campanella suoni.
Ci sediamo e subito dopo con la sua solita puntualità, entra la professoressa Halsey che inizia a spiegare per due lunghe ore: scienze sociali.
Fa alcune domande a me e a Jinger, riprendendoci più volte perché chiaccheriamo, ma senza poterci dire nulla perchè alle domande rispondiamo senza difficoltà, ma non per la sacra botta di culo o per intelligenza... ma perché è dall'inizio dell'anno che fa sempre le stesse domande, che, oramai, scriviamo e ripetiamo a memoria come una registrazione inceppata.
Arrivati all'ultima ora, ci prepariamo e usciamo fuori, pronti per riassaporare la solita libertà, sempre fino al giorno dopo.
«Allora? Oggi che si fa?» domanda Jinger, sistemandosi la borsa sulla spalla.
«Scusatemi tanto ragazze, ma ho gli allenamenti e credo che mi fermerò fino a tardi» interviene da dietro Charley, che senza alzare lo sguardo dal cellulare risponde.
«Come mai?» chiede Jin, girando si verso di lui, con aria abbattuta.
«Ho dei problemi con i freni della moto. E io e James dobbiamo fare qualche modifica al motore... quindi ci vediamo sta sera sorellina. A domani Thea» ci salutata lui e dopo un «ciao stupido» da parte della sorella e un mio saluto, si allontana.
«E tu Thea?» chiede ora, girando verso di me.
«Hanno spostato il mio turno di lavoro, quindi oggi ci devo andare» dico ricordandomi il messaggio ricevuto la settimana scorsa da parte di Amanda, la proprietaria del bar dove lavoro part-time da almeno quattro mesi.
«Ah... ecco perché ieri eri a casa. Pensavo fosse successo qualcosa di brutto al lavoro» dice Jinger, guardando il calendario sul telefono.
«No, assolutamente. Va tutto perfettamente, ma è arrivato uno nuovo e l'hanno messo con me per potergli fare da guida. Ma per qualche strano motivo mi hanno spostato di un giorno e cioè il martedì» le spiego, sapendo che oggi devo mostrare le mansioni al nuovo impiegato.
«E tutti gli altri?» chiede riferendosi a gli altri giorni del mio lavoro.
«Rimangono sempre il mercoledì e il venerdì. Soliti orari. Non ti preoccupare» la rassicuro io, facendole capire che nessun'altra orario o giorno è stato cambiando, andando ad influenzare le sue prove.
«Ma per oggi?» chiede a malincuore.
«Cazzo... è vero. Le prove di ballo» brontolo sapendo che il mio lavoro è nello stesso orario delle prove di Jinger.
«Te n'eri dimenticata?» mi domanda perplessa.
«No! Certo che no! Sono anni che ora mai vengo a vederti, non potrei mai dimenticarmene. Ma credo che non riuscirò a venire oggi» ammetto, sentendomi tremendamente in colpa. Dopo tutto sono esattamente sei anni che io ogni martedì e mercoledì, vado a sostenerla durante i suoi allenamenti, e in questi sei anni, li avrò saltati si e no, otto volte. Principalmente per malattia o studio, ma sono sempre andata a vederla.
«Come no?» dice sbarrando gli occhi.
«Scusami Jin... gli orari sono dalle quattro in poi e coincidono con i tuoi...» sussurro, maledicendo la decisione del mio capo.
«Allora? Che si fa? Mangiamo tutti insieme?» dice Josh, apparendo magicamente dalle spalle di Jin, che la abbraccia da dietro e le lascia un bacio sulla guancia.
«Scusa Josh, oggi devo andare al bar» lo informo io.
«Quindi non vieni?» chiede stupito.
«A quando pare no... ma se finisco prima ti mando un messaggio e ti dico se vengo» le prometto a Jinger, sperando con tutta me stessa si poter partecipare anche oggi ai suoi allenamenti.
«Davvero?» chiede speranzosa.
«Si! Davvero! Adesso vado, dovrebbe esserci mio papà a casa!» li saluto entusiasta, iniziando a camminare, girando l'angolo.
«Ciao Thea!» mi salutano in coro i due piccioncini, prima che uno sciroccato inizi a seguirmi.
Ci mancava sto qui.
La voce del professore mi rimbomba nelle orecchie: «Allora? Passi a casa mia?»|Porca vacca. Fino a qui (non qui, qui, ma nell'ultima riga del capitolo) sono 4122 parole. Wow. Sono un mito.
Va beh.|Konnichiwa Minnaaaaa! (๑^ں^๑)
Voglio seriamente una statua!
Mi sento... un Dio! Beh, Dea... massi, avete capito.
Comunque, due capitoli nella stessa settimana! E per lo più, dopo che avevo cancellato il capitolo e detto che lo avrei pubblicato sabato o domenica perché ero con il morale a terra!
Ma sapere cosa ho fatto?! L'ho riscritto appena l'ho cancellato.
Voglio dire, grazie al cazzo, è ovvio che io dovessi fare così, ma non per non perdere il ricordo di ciò che avevo scritto, ma perché probabilmente domani l'avrei rimandato a dopo domani, dopo domani a dopo domani ancora e così via, per poi trovarmi le mie amiche fuori da casa mia con bastoni, fucili oppure messaggi minatori su whatsapp e non mi pareva il caso.
Così mi sono messa subito a riscrivere il dialogo e poi la parte narrativa.
Sono rimasta fino alle tre di notte per vedere se andava bene.
Mi sono fatta aiutare da PetraIppolito e Baptivi , che mi aiutano con le idee e gli errori e per questo, le ringrazio moltissimo.
Detto questo... volevo dirvi un paio di cosine.
Allora: so magari in questa storia non c'è nulla di interessante, nemmeno un accenno di romanticismo, che ci dovrebbe stare e tutto il resto, ma... io non sono quel tipo di persona che dopo nemmeno due sguardi la protagonista e il protagonista amano e si promettono amore eterno.
Cioè, si, succederà prima o poi che qualcuno si innamori e tutto il resto, ma non ora, non così, non dal nulla.
Quindi scusatemi se ci metterò un po' ad arrivare a quel momento :')
E questo lo dico perché nella metà delle storie che ho letto... già al quinto capitolo stavamo già a pensare di mettere su famiglia...
Seconda cosina: nel prossimo capitolo, ci sarà una special guest... *rullo di tamburiiiiii*
ABIGAILLLLL! YAAAAAA *^*
Se tu, piccolo essere che leggi non sai chi è, vai da Baptivi e cerca tra le sue opere "Mille baci sotto il sole" e leggila. Ora. Subito. Vai. CORRI. E INNAMORATI FOLLEMENTE DELLA SUA STORIA. Bene :3
Ottimo! Tutti felici! E anche io! Zizi *~*
Okay, ultima cosa, ringrazio una ragazza molto gentile, che si è accorta di un mio errore/dimenticanza nel capitolo quattro che ora è tutto sistemato e buh! Grazie mille.
Vi ringrazio ancora per seguire questa triste e incasinata storia e basta... grazie, davvero.
AMO TUTTI! No... tu che leggi no. Soprattutto tu... tu che respiri.
Okay. No, stop. Addio.
BURRITO VI SALUTA U.U
Shau.
STAI LEGGENDO
| Stupida distrazione |
Romance|Tratto dalla storia| «Dio, mi fai così incazzare» commenta irritato. Aspetta, cosa? «Come, scusa? Io ti faccio incazzare?» grido infastidita, iniziando a gesticolare. «Si, tu mi fai incazzare. Il modo che hai di rispondermi mi fa incazzare. Il tuo...