Capitolo 6

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Capitolo 6.

EMILIO IL FERROVIERE.

“Emilio faceva il ferroviere e per lungo tempo anche dopo l’età lavorativa i treni suscitavano sempre una qualche strana attrazione per lui.

Quelle volte che mio nonno andava a prendere il latte in vaccheria, ero ancora una bambina di quattro o cinque anni. Mi metteva seduta sul tavolo vicino alla finestra chiusa e mi diceva: “vedi – indicando la strada di sotto – nonno passa di lì; tu rimani ferma e aspettami.”

Io rimanevo da sola, ferma, con gli occhi fissi sulla strada e lo vedevo comparire da sotto il palazzo. Lui mi salutava con un cenno della mano e poi scompariva in lontananza.

Allora aspettavo di nuovo, minuti interminabili, sempre ferma li ad aspettare che lui ricomparisse.

Passava un tempo infinito e dilatato dalla mia trepidante attesa di bambina impaurita e attonita, perché da sola nel silenzio della casa, e finalmente ecco di nuovo la figura del nonno apparire e piano piano avvicinarsi sempre di più.

Tiravo un sospirone di sollievo e sorridevo, non ero più sola.

Oggi non ho alcuna paura a rimanere sola, anzi la solitudine mi piace, e delle volte ne sento un profondo bisogno, la solitudine quella scelta però.

Era un uomo semplice e buono nonno Emilio e fu proprio lui ad insegnarmi ad andare in bicicletta e forse dipende proprio da questo mio primo approccio, la mia continua ricerca di un uomo che sia semplice e buono, ma anche le tante paure dovute ad un non capire gli uomini, il loro mondo, le loro maniere. A proposito sono di nuovo single!“ affermò Alex mordendosi il labbro inferiore.

Sofia allora cambiando discorso puntualizzò da professoressa, quale era:

“Lo sapevate che gli psicologi auspicano che questa prova venga affrontata insieme al padre, perché imparare ad andare in bicicletta simboleggia nel subcosciente andare per la vita, l’amore, ma soprattutto l’approccio col sesso?”

Tutte cominciarono a dire la propria, chi rideva, chi scuoteva la testa affermando che era una emerita scemenza l’ultima affermazione di Sofia.

Alex fece un sorriso, si toccò i bei capelli neri e continuò.

“Ricordo benissimo che mio nonno mi teneva dietro al sellino e mi indirizzava dolcemente staccando la mano senza farsi accorgere e facendomi andare da sola, mentre mi incoraggiava a pedalare ora più piano ora più veloce.

Un giorno ho scoperto che mio nonno aveva un segreto, anzi una storia che non voleva ricordare.

Due donne lascive, madre e figlia, che abitavano nello stesso palazzo, lo circuirono e lo introdussero ad un menage a trois che per gli anni di allora, siamo alla metà dei 60, erano cose turche!!! Lo aspettavano nell’androne del portone del palazzo dove abitava e se lo portavano in casa e … se lo spolpavano vivo in cambio di piccoli favori e qualche regalo.

Mia nonna non gli perdonò mai il misfatto, ma io credo che a non perdonarselo fosse di più lui.

Invece mi raccontava volentieri di come aveva rimediato frutta fresca per la sua amatissima sposa, quando lei era malata ed in fin di vita all’ospedale per una peritonite. Gli amici ferrovieri dirottavano cassette di arance provenienti dalla Sicilia e destinate al mercato estero, per aiutare una madre di famiglia bisognosa di vitamine.

Già un grande amore non ricambiato quello per la nonna, ma anche quello per i treni.

Spesso con mio nonno Emilio andavamo in bicicletta a trovare  la bisnonna Clorinda. Nonna Linda, come i suoi occhi azzurri, aveva dei gerani favolosi, che ancora sono rimasti vividi nella mia mente.

Stupendi gerani dai rosa più svariati fino al lilla, quel lilla intenso e dolce dei gerani edera, che ricadevano dai vasi a cassone color bianco.

Un giorno di primavera - ero ancora poco più di una bambina - mi vide intenta ad ammirare quei fiori, dei quali ancora oggi sono una grande appassionata e mi disse con aria soave: “il segreto di questi fiori é la cacca di gallina.”

 Si, proprio lo sterco degli animali da cortile che la nonna allevava nella sua casa di campagna e con il quale concimava le sue piante.”

Le risate delle ragazze arrivarono alle stelle, grasse e sonore risate a pieno petto…e più si guardavano l’un l’altra più veniva loro da ridere a crepapelle.

Rotolandosi per terra Sofia singhiozzava tenendosi la pancia, Giorgiana piangeva dalle troppe risate e Leyla si era portata le mani alla bocca per soffocare i grugniti a porcellino che le uscivano insieme alle risate.

Solo Alex era rimasta seria, come quando tanti anni prima la bisnonna le aveva rivelato che anche la cacca può essere di qualche utilità.

“Anch’io coltivo gerani e uno di questi, del genere odoroso e dal colore rosa screziato l’ho chiamato “Clorinda”, il nome di lei.”

Le ragazze continuavano a ridere, buttandosi l’una contro l’altra, mentre anche la sabbia della clessidra continuava ad andare giù.

Sofia si ricompose e seriosa pensava intanto alla vita di una donna alla quale aveva voluto molto bene.

Prese la clessidra e pensò al suo nuovo racconto.

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