Capitolo 8.
FEDERICO IL ROSSO.
Cominciò a piovere, di una pioggia incessante mista a grandine, d’improvviso un altro tuono ruppe la monotonia del suono dell’acqua che scendeva ed il ricordo di Leyla andò al nonno paterno: lui avrebbe detto “E’ nonno in carrozza”, intendendo dire che nel cielo immenso suo nonno stava scorrazzando col cocchio.
“Era un uomo passionale, rosso come i suoi capelli e avvampava di ira per un nonnulla, diventando paonazzo come un peperone, eppure adorava la moglie della quale diceva – Lella è tutto per me, è mia moglie, mia madre, mia sorella -
Aveva perduto la madre a seguito di una infezione post partum.
Era il febbraio del 1906 e al Castello aveva nevicato in abbondanza.
Purtroppo quando si partoriva in casa c’erano delle incertezze; così non ci fu modo di portarla in un ospedale e la poverina morì lasciando il piccolo neonato, due figlie ancora bambine ed una figliastra giovinetta.
La moglie per mio nonno divenne quindi tutto il suo mondo di affetti, con grande stizza per la sorella Giuseppina che divenuta una attempata zitella, era andata a vivere con loro e non sopportava la cognata.”
“Le solite competizioni al femminile!!!” interruppe Alex; “siamo proprio stupide e cieche a farci sempre la guerra in questo modo inutile. Come era la Zia?”.
“La zia Giuseppina era una single antesignana, aveva gli occhi di un verde bottiglia, intensissimi, quasi da strega, i capelli di un biondo dorato naturale ed era un po’ grassottella, perché amava molto mangiare.
Giuseppina era una zitella sui generis per l’epoca, parliamo degli anni ’50: abitava da sola e lavorava in centro, come addetta alla correzione di bozze in un ufficio interno di una Banca d’interesse nazionale. Non aveva mai voluto sposarsi per tanti motivi, primo fra tutti il suo carattere spigoloso e permaloso, ma non ultimo il fatto che si era presa economicamente sulle spalle il padre, rimasto vedovo molto presto.
Durante proprio quegli anni Federico fu licenziato per la sua attività di sindacalista.
Allora aveva già tre figli, il più grande mio padre, di sedici anni, si impiegò a fare il portantino in ospedale per aiutare la famiglia.
Una profonda crisi esistenziale lo prese.
L’ingiustizia del mondo, la vanità dell’essere umano, l’inutilità di qualsiasi iniziativa per raggiungere l’equità sociale.
Raccontava con amore che si salvò dalla depressione e dal suicidio con l’aiuto della moglie, la sua Lella, che gli fu vicina nei momenti di buio.
Si, infatti mio nonno ebbe la tentazione del suicidio, una volta senza lavoro si sentiva senza più motivi, senza forza, senza scopo e meditò seriamente di togliersi la vita.
Ma grazie al suo migliore amico e cognato Mimmo, manco a dirlo un convinto fascista, trovò di nuovo lavoro come tornitore presso l’aeroporto militare di Guidonia.
Il nomignolo di roscetto gli veniva dai capelli di un fulvo convinto e anche dal suo carattere battagliero e facilmente infiammabile, e forse anche dal suo credo politico.
Da ragazzo faceva parte della banda di paese dei pulcinellaQuesti giovani, rigorosamente solo maschi, ballavano e suonavano per le strade durante il Carnevale, animando le giornate degli anni venti del paese.
Si conobbero con mia nonna proprio a casa del fratello di lei.
Fu amore a prima vista. Federico era più grande di sette anni e aspettò più di cinque anni che la fanciulla crescesse fino a quando compiuti i diciotto anni la prese in sposa.
Mi raccontava che un giorno per gioco correvano intorno ad un tavolo rotondo; lei scappava per non farsi prendere e lui faceva finta di non riuscire a raggiungerla, per continuare il gioco, che era poi il gioco del corteggiamento, della seduzione e della conquista.
Si trovarono ad un tratto l’uno nelle braccia dell’altra con i capelli sconvolti e le guance colorate dalla corsa; si baciarono di un casto bacio sulla bocca. Un sogno, il sogno di un amore grande e unico.
Ma il sogno di entrambi divenne anche di avere una figlia femmina che avrebbero voluto chiamare Luciana. Provarono e riprovarono: vennero alla luce quattro maschi e poi desistettero per sopraggiunte impossibilità naturali.
Arrivò anche Luciana un giorno, la prima nuora amata comeuna figlia. Mia madre.
Ai pranzi di Natale si lodavano le pietanze che la nonna preparava: “buona questa insalata, saporite queste lasagne”, lui ridendo sentenziava che l’insalata l’aveva condita lui e che il parmigiano per le lasagne lo aveva grattato sempre lui.
Nel salone da pranzo della casa dei nonni, una piccola casa al centro storico, c’era una cassettiera. L’ultimo cassetto era pieno di foto in bianco e nero della loro storia d’amore…di quando ancora giovanissimi si corteggiavano regalandosi fotografie con dedica, poi c’erano le foto del loro matrimonio, dei figli e poi dei matrimoni dei loro figli e infine le foto di noi nipoti.
Di mio nonno ho ereditato i suoi colori ed il suo aspetto, ma non certo la sua irrazionalità. La sua innocenza intellettuale forse quella si”.
Le ragazze ristettero attente e pensarono ognuna in cuor suo che avevano da sempre tanto voluto un amore così nella vita, un amore eterno, unico e solo, forte, intenso, appassionato eppure così dolce ma forte, un grande amore insomma!!!
“Come è morto tuo nonno?” Chiese curiosa Sofia.
“E morto da vecchio” continuò Leyla “Ma solo dopo due giorni dalla morte prematura di uno dei suoi figli. Non poteva reggerla una cosa così innaturale e crudele”.
“Ha avuto comunque una vita piena e felice ed anche lunga insieme alla donna che amava e che lo ha amato teneramente sino alla fine.”
La pioggia era cessata ed era di nuovo silenzio, dentro e fuori la casa. Le ragazze si strinsero nelle spalle.
“Attenzione alla clessidra! Sotto a chi tocca” rise Leyla.
“Sentite io ho una fame da lupo” esordì Alex, ”Preparo due spaghettini aglio, olio e peperoncino, sono pronti in dieci minuti, che ne pensate?”
Ci fu un coro unanime di si delle altre tre, tutte affamate.
In pochi minuti spazzolarono il mezzo chilogrammo di pasta che avevano cotto e mantecato nella padella con l’olio e le spezie. Annaffiarono il tutto con del Verdicchio, il vinello sincero delle marche e ripresero presto posto davanti al caminetto.
Sofia riattizzò nuovamente il fuoco e si preparò al suo racconto.