Capitolo 1.
BIANCA LA VIOLETTA.
“Nonna Bianca era una donna piccolina di statura, capelli castano dorato con degli occhi marrone scuro, quasi neri, come i miei, acuti come spilli e un incarnato molto pallido.
Bianca era famosa per le sue massime, di quella saggezza antica sempre ficcante. Spesso diceva: - A vita è n’affacciata de’ finestra -
"Fai la traduzione per noi "polentone" grazie!" la rimproverò Leyla.
"Parla per te! Io ho capito" sottolineò beffarda Sofia, che era una vera polentona di Venezia.
"La nonna voleva dire che la vita passa in fretta, dura appunto un attimo come il momento di affacciarsi alla finestra. Tempus fugit...dicevano i latini."
"Esatto" continuò Alex. "Mia nonna era una forza: le sue compagne di gioco alle carte, delle pensionate come lei, la chiamavano la marescialla, perché diceva “sono per la giustizia”, intendendo però che quando giocava a carte non voleva mai perdere, al massimo pareggiare.”
Ad Alex piaceva osservare i suoi gesti mentre faceva gli gnocchi di patate o impastava la sfoglia per le fettuccine, gesti precisi e lenti, che venivano da tanto lontano nel tempo. Per esempio quando aveva finito l’impasto per il pane faceva con la mano una croce sulla forma. Lei le chiedeva: “Nonna perché fai così?”. Bianca rispondeva che anche la madre lo faceva. Ma non sapeva neanche lei il perchè, ripeteva un gesto imparato, visto fare anni e anni prima.
Quel taglio aiutava la lievitazione.
Alex continuò: “Da bambina adoravo stare a sentire i suoi racconti di quando da giovane, appena sposetta andava col marito in bicicletta ed arrivavano vicino a monte Giove in una radura completamente ricoperta da violette profumate, un campo intero. E cercavo di immaginare il colpo d’occhio e il profumo di quei momenti mai vissuti.
Mia nonna sosteneva che una donna dovesse essere proprio come il fiore profumato e vergognoso, la violetta appunto. Che si nasconde per essere cercata e amata, ed è preziosa proprio perché nascosta e timida. Insegnamenti che non avevo mai messo in pratica; io sono sempre stata molto poco vergognosa, molto amante della forma estetica e dell’apparire, del sentirsi osservata o al centro dell’attenzione, comunque una protagonista. Vorrei tanto che mia figlia – se mai ne avrò una – potesse essere l’incarnazione di quei principi, timida e angelica, vergognosa e discreta, una sorpresa di contenuto alla scoperta, profumatissima e profonda, proprio come una violetta.” E visto che siamo in tema “sorrise Giorgiana”, “Vi voglio fare una breve citazione per raccontare il mito che rende leggenda il fiore della violetta, è quello frigio di Attis e Cibele: Attis, un bellissimo giovane amato dalla dea Cibele, voleva abbandonarla per sposare una donna mortale, ma la dea lo fece impazzire ed egli preso da una furia omicida si evirò, morendo dissanguato. Dal suo sangue nacquero viole mammole e lui fu trasformato in un pino sempreverde, raffigurazione dell’Albero Cosmico”.
“Sei la solita enciclopedica!” Alex prese un bicchiere e vi versò del succo di pompelmo, poi prese un biscotto e lo sgranocchiò in tre morsi. “Torniamo alla nostra eroina” disse.
"Bianca era l’ultima figlia dopo tre maschi. In un’epoca di assoluto maschilismo, non poteva mettersi nemmeno il rossetto, figuriamoci se poteva uscire con le compagne. Gli unici momenti di incontro col mondo erano quando andava a lavare i panni alla mola e incontrava le altre ragazze e donne che lavavano a mano coi saponi fatti in casa e raccontavano storie casalinghe e ridevano sonore risate e facevano caricature dei lor uomini. Lei imparò tanto di quello che c’era da sapere sugli uomini, da questi singolari simposi al femminile.
Cercò di sposarsi presto per sottrarsi ai quattro uomini della sua famiglia che la trattavano come un essere inferiore."
Si sposò per questo non per amore, come tante donne della sua generazione. “Quando mi sposai rinacqui”, “potevo disporre di me stessa, essere libera di uscire quando volevo” mi diceva ricordando quei primi sapori di libertà. Mio nonno invece si era perdutamente innamorato di lei e la corteggiò come si faceva allora mandandole bigliettini per raccontarle il suo amore…proprio come Cyrano per la cugina Rossana, percorrendo chilometri in bicicletta per raggiungerla e stare sotto il suo balcone per ore senza avere riposta”.
Alex fermò il racconto e chiese: “continuo? Vi piace?”
“Certo che sì” risposero in coro le altre tre.
“Mia nonna amava sopra ogni cosa i bambini piccolissimi, i neonati. Quando da giovane salvò uno dei bambini del vicinato, divenne famosa in paese: il bimbo di qualche mese di vita aveva contratto la polmonite e rischiava la vita, lei lo guarì somministrandogli poco per volta cucchiaini di caffè e stringendolo al seno ... un seno bello abbondante da balia, per fargli caldo.
La sua lunga vita fu costellata di grandi prove: molti interventi chirurgici, i bombardamenti della guerra, due figli nati morti e poi finalmente due gravidanze andate a buon fine.
Sapete nell’ultimo periodo della sua vita si chiedeva spesso: “Dove saranno i miei bambini? Li rivedrò?”. Non ne aveva mai parlato durante tutta la sua lunga vita e ora che si apprestava alla dipartita all'età di novantatre anni, si sentiva vicina a quei bambini che aveva perduto. Alex le rispondeva che loro erano angeli e che li avrebbe ritrovati nell’infinito mondo dell’altra dimensione.
Gli occhi di Alex si illuminarono di due piccolissime gocce di lacrime e riandò col pensiero a quando la nonna la stringeva al petto.
Si asciugò col dorso della mano e continuò: “Mi raccontava che aveva perso durante la guerra tutto il suo corredo: le lenzuola ricamate a mano dalla madre Rosa che tutti chiamavano Rosina per via del fatto che era una donna minuta, gli asciugamani in puro lino, le tovaglie a punto croce.
Ma il piacere di ricamare non l’aveva mai perduto, fino agli ultimi anni della sua vita continuò a ricamare: e infatti ho ancora un cuscino – ultimo dei suoi lavori - di fiori ricamati in sgargianti colori che adorna il mio salotto rosso bordeaux, insieme ai tanti ricamati anni e anni prima.
Mi parlava di quando andarono sfollati ad Assisi durante i bombardamenti.
"Mia madre – diceva Alex - aveva poco più di quattro anni e le suore del convento dove si erano riparati, siccome era un po’ discola e disobbediente la punirono tenendola in piedi ferma sotto il sole, la nonna ricordava che la piccola non si mosse di un muscolo e a fine giornata aveva l’insolazione con una febbre da cavallo. Che splendido esempio di amore cristiano!!!"
Col passare degli anni, la zia, la figlia più piccola, era sempre malata e quindi Bianca fu costretta ad allontanare la più grande per via del contagio ed a farla vivere con sua madre, la nonna Rosina. Una donna di ferro e fede, un generale, che allevò la bambina nel più completo rigore, ma anche in onestà e rettitudine.
"Quando – dopo l’ennesima delusione amorosa - già grande le chiedevo: “Nonna troverò l’uomo della mia vita?”. La nonna con calma serafica mi rispondeva: “Quello destinato a te non te lo porta via nessuna!”.
“Tempo scaduto” affermò con serietà Leyla.
“Aspetta, falla finire!” sorrise Sofia.
“Ma sarà davvero così?”.