2° capitolo

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My life...

Fin da piccola mi ha dato piacere l'idea della solitudine, specialmente quando ero malinconica o giù di tono. Inoltre, non ho mai avuto un buon rapporto con i miei genitori e ciò può essere spiegato dal costante terrore provato verso mio padre. Solo al sentire il suo passo, il mio cuore iniziava a percorrere una maratona, una di quelle chilometriche onde evitare conflitti e scontri. Non paragonatemi, tuttavia, a Filippide del 490 a.C. il quale ha pronunciato le codeste parole prima di morire: "Abbiamo vinto". Io non ho mai esclamato quella frase, benché mi farebbe provare immenso piacere proprio come un bambino nel giorno del suo compleanno.


Cari lettori, immagino che per voi non sia lapalissiano il fatto che per noi avviene ogni due anni l'anniversario di nascita. Appena veniamo al mondo abbiamo già un anno di vita a causa del nostro tener conto dei nove mesi durante i quali siamo nel grembo della nostra cara madre. Perché? Vi do celermente il responso. Si tratta di una convenzione fra tutte le civiltà delle galassie, siccome in qualche pianeta la gravidanza dura nientemeno di dodici mesi, ovvero un anno.


Prendo un viaggio di ritorno e riprendo dalla mia 'maratona', i "passi della morte" li denomino tutt'oggi. Provavo quel sentimento di non ritorno nel vuoto cosmico, dove l'inesistente paesaggio presentava davanti ai miei occhi di bambina una macchia nera, come una goccia d'inchiostro caduta sulla carta. Un fare di minaccioso suo unico che, qualora qualcuno lo vedesse, sverrebbe per il timore da esso provocato, tuttavia ciò l'ho vissuto non come un estraneo ma come ruolo di figlia, incarcerata nella gabbia di fuoco dell'avvoltoio. Il letto era divenuto il luogo dello giacere delle mie lacrime, precisamente nel mio morbido cuscino che tutt'oggi ringrazio per aver sopportato i miei sfoghi. A prendere rimproveri ogni giorno che passava e al mio silenzio imposto per suprema legge universale, quando è iniziata l'adolescenza, la mia calma è esplosa. Ero come un vulcano feroce che non guarda in faccia a nessuno tranne ai più amati, i quali, purtroppo, non venivano a rappresentare nemmeno le centinaia per non dire le decine.Cercavo di stare zitta come quando ero ancora paffutella, nonostante il mio demone interiore fosse avverso a questo principio e in questo modo non mi trattenevo, non ce la facevo, la mia testa stava cominciando a non sopportare più nulla: troppo piena di pensieri, colma e colma fino all'orlo. La conclusione di questi avvenimenti è finalmente arrivata nel momento in cui ho conosciuto le mie compagne, le cinque Arance. Grazie a loro ho cominciato ad amarmi e imparare il valore dell'amore verso se stessi e a vedere il mondo con un altro punto di vista, non mascherata dalla macchia nera.


Col passare del tempo sembravo tutt'altra ragazza, un atteggiamento simile ad un fiore che rinasceva, oppure a un bruco che si trasformava in una farfalla. Credo che questo cambiamento l'hanno visto pian piano anche la mia famiglia ed è probabilmente per questo che mi hanno iniziato a vedere sotto un'altra prospettiva. Ero ritornata ad essere la bambina solare che ero un tempo, durante la mia infanzia prima della crescita della mia paura interiore.


Sono riuscita a trovare il mio spazio con le mie idee e le mie passioni e le persone che amo di più (sono distanti da me e contemporaneamente, come un senso contrapposto per coincidenza non so da chi voluto, sono quelle che sento più vicine, sono coloro che mi fanno sentire bene e mi fanno amare di me stessa). Arrivato il sogno, mi è nata una curiosità come sorpresa verso una passione che mai mi sarei immaginata piacermi, sto parlando precisamente dell'astronomia. Nel momento in cui da piccola udivo per caso anche solo la parola astronauta o quando un qualche mio amico o altro bambino mio pari aveva il sogno di diventare un esploratore spaziale, io presentavo una faccia che rappresentava un sentimento simile al disgusto, non lo saprei descrivere nei dettagli.


È in questo modo che oggi sono qui come apprendista per diventare un astronauta di alto livello.

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