Capitolo I

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Capitolo I

ՑՑՑ

            Joshua Foster, un mal di testa come quello, non lo ha mai avuto in vita sua e, a dirla tutta, avrebbe preferito non averlo mai. Alza una mano per tastarsi la testa e, quando sotto i polpastrelli sente qualcosa di umido, si guarda le dita: sono leggermente bagnate di sangue. Riesce ad isolare finalmente l'emicrania e a dividerla dal resto dei dolori che sente e, a parte quelli muscolari, c'è il bruciore di un graffio sulla tempia, appena sotto l'attaccatura destra dei suoi capelli rossicci – leggermente brizzolati nella parte inferiore. Non riesce a credere che ha solo ventitré anni e ha già qualche capello bianco ma, come dice sempre alla nonna, vedere i morti invecchia l'anima e, di conseguenza, pure il corpo.

   Forse dovrebbe andare in ospedale a farsi vedere, ma è più che certo non ce ne sia bisogno. Sta bene, malgrado il mal di testa e le ossa doloranti; è ancora tutto intero e non ha voglia di raccontare il perché si è letteralmente spiaccicato contro il volante della sua auto.

   Chi mai gli crederebbe?

   La visione, oltretutto, non appena ha attraversato le strisce pedonali di fronte alla sua auto, è sparita dietro l'angolo di una villetta – una di quelle tipicamente inglesi, dai mattoncini color terra di Siena e un bel giardinetto curato. Joshua non ha sentito il bisogno di seguire se stesso, soprattutto quella versione macilenta, letteralmente uno zombie. Dopotutto non è ancora certo che, quella visione, sia frutto della realtà. Vede i morti sin da quando è bambino – sua nonna si ostina a chiamarli fantasmi, ma non è così che Joshua se li è mai immaginati. Le visioni che ha sono di persone in carne e ossa, a volte quasi in decomposizione, a volte integre, che quasi è errato forse chiamarli defunti eppure, dentro di sé, Joshua sa sempre chi è ancora parte di questo mondo e chi invece non lo è più.

   Accosta l'auto contro un marciapiede e, uscendo col cuore che gli batte a mille, prende un fazzoletto dal cassetto portaoggetti della vecchia Volvo grigia di sua nonna e si pulisce la fronte. Non è nulla di grave, è solo un graffietto – lo può curare tamponando un po' sulla ferita.

   La verità è che Joshua preferisce sempre evitare i luoghi affollati e l'ospedale è uno di quelli – ospita un numero troppo elevato di decessi rispetto alla media, il che innalza troppo le possibilità di vedere i defunti in giro per la struttura e, per la sua incapacità di gestire la cosa, è meglio che le cose restino così. Non ama vederli e spera, ogni giorno, che si dimentichino di lui e decidano di mostrarsi a qualcun altro. Qualcuno di più coraggioso; qualcuno con maggiore controllo delle proprie emozioni.

   Perché, se c'è una cosa alla quale non si è ancora abituato, è quello che nonna Agnes chiama il dono. Non è cosa da tutti, ma non lo conforta per niente l'idea che vi siano altre persone in grado di vedere i morti. È vero che molti sono accomunati da una sensibilità che va oltre l'empatia – qualcosa che si avviluppa intorno alla realtà, la distorce e proietta immagini inverosimili e macabre davanti agli occhi di chi lo possiede e alcuni di questo ne fanno tesoro – anche se non ne ha mai conosciuto nessuno, di portatore del dono e lui, onestamente, non lo ha mai voluto. Avrebbe preferito un'esistenza ugualmente triste, come quella che sta vivendo. Quella di adesso è per lo più fatta di pochi amici, relazioni amorose disastrose, e un rapporto terribile con se stesso, ma tutto è meglio se pensato senza quella prospettiva tremenda.

   No, non c'è modo di abituarsi a un mondo vissuto tra la realtà conosciuta a tutti e una sola, tutta sua. È vero che non è l'unico, ma è anche vero che le sue visioni gli appartengono e nessuno le può fermare. Dovrebbe scendere a patti con quel fatto, accettandolo, ma è troppo difficile. Stringe tra le mani la croce di legno che porta al collo - Joshua in Dio non ci crede, ma quello è un po' la sua coperta di Linus e forse è così legato a quell'oggetto perché è un dono di sua nonna -, tirando un paio di respiri, perché quegli episodi gli lasciano addosso un senso di inquietudine e paura; così forte che è tutto più difficile di quanto già non sia normalmente. Fingere col resto del mondo che conduce una vita ordinaria è come vivere una vita fasulla.

Non Chiedermi dei Morti - Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora