Capitolo IV

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Capitolo IV

ՑՑՑ

        La carta da parati arancione di casa Soria perde le sue tinte; si spengono, lasciando spazio solo colori freddi nella sua tavolozza dapprima tiepida. Il pavimento coperto di moquette sembra sgretolarsi sotto i suoi piedi e, il tempo, si blocca. Joshua muove una mano tremante, che non risponde immediatamente a quell'impulso, ed è pesante, come se fosse diventata di pietra. Proprio come il ragazzo di fronte a lui: è immobile, non sbatte nemmeno le palpebre. Non respira. È una statua di ghiaccio. Joshua vorrebbe svegliarsi, capire se è una sorta di paralisi del sonno che lo ha colto da sveglio. Visioni così forti, nella sua vita, non le ha mai avute. Visioni così vicine, così potenti, non gli sono mai capitate.

   Il cuore sembra gli stia uscendo dalla gabbia toracica, per quanto batte forte.

   I morti, invece, lo guardano ancora. Respirano a fatica e quell'azione grava enormemente sulle loro spalle che si alzano e si abbassano dolorosamente; muovono il petto in maniera quasi innaturale. A volte sembra in procinto di esplodere, a volte di implodere. Ogni respiro rimbomba come dei passi duri in una grotta oscura. La pelle di ognuno di loro è pallida, sfibrata, a volte mancano brandelli di carne, ed è grigio perlato, a tratti in decomposizione. Pezzi di ossa, frammenti di nervi, filamenti di muscoli. 

   Ne conta cinque, tra i pensieri offuscati – e gli occhi, anche gli occhi non vedono altro che nebbia. Tre uomini, una donna e un bambino. Sono impegnati a guardarlo come se non fosse il benvenuto in quella casa. Come se il suo arrivo fosse la peggiore delle maledizioni. Joshua alza finalmente il braccio, ci riesce e li indica, ma un sussulto al cuore gli mozza il respiro in gola. Porta la stessa mano al petto, la stringe intorno alla maglietta e, tremando, cerca di parlare. Balbetta terrorizzato qualche frase sconnessa, poi si ammutolisce, quando uno di loro, a prima vista il più anziano, emette un lunghissimo grugnito che sa di spossatezza, di dolore e forse è così. Joshua pensava inizialmente che fosse un'esternazione di rabbia ma non è così. È la fatica di riuscire in quell'azione così semplice, come aprire la bocca e dire qualcosa. Un gesto a quanto pare difficile da compiere, per alcuni defunti.

   «Non gua-guardare», inizia quello, alzando una mano e indicandolo. L'unghia dell'indice è così lunga che pare un coltello affilato. La sua voce è atona, anche se sembra un fischio lontanissimo che gli entra nelle orecchie per non uscirne mai più. Rimbomba nelle pareti del cervello e si aggrappa alla ragione, e la disintegra. «Te stesso», scandisce l'uomo, mentre gli altri morti tacciono e respirano. Sembrano farlo anche per il loro portavoce, e forse anche per lui. Respirano così rumorosamente che Joshua prova l'istinto di tapparsi le orecchie, ma non ci riesce, troppo annichilito dalla paura, da quel senso di impotenza che lo ha colto, che lo blocca e si sente una statua, incapace di fare o dire qualsiasi cosa. Spento, come si è sentito quel giorno in cui si è visto al di fuori del parabrezza, mentre portava sulle spalle il peso della propria bara – e della propria morte.

   E del proprio dono che non ha mai voluto.

   Vorrebbe chiedergli di cosa accidenti sta parlando;  chiudere gli occhi e riaprirli un istante dopo, con la speranza di non vederli più e scoprire che quelle persone sono solo frutto della sua immaginazione. Vorrebbe scacciare via quell'immagine, e tornare alla realtà ma, tutto ciò che riesce a fare, è cadere a terra sulle proprie ginocchia e tentare, con tutto se stesso, di tornare a respirare. È difficile. Ha un filo di respiro incastrato tra i polmoni e la carotide, e la bocca è così secca che ha bisogno di tossire, ma non ci riesce. È intrappolato nella realtà che quei fantasmi hanno creato intorno a lui, mentre il ragazzo seduto al pianoforte continua ad essere solo un pezzo di ghiaccio in un deserto di neve che lo fa rabbrividire.

Non Chiedermi dei Morti - Volume 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora