Capitolo 43

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Un forte pulsare alla testa mi fa lentamente aprire gli occhi.

All'inizio non capisco nulla, ma dopo qualche secondo tutto mi ritorna in mente come un fulmine a ciel sereno: il video, il dolore profondo, le lacrime, il cancello, i passi veloci, il respiro affannato, qualcosa che mi blocca e poi il più completo e totale buio.

La stanza in cui mi trovo è completamente buia e silenziosa, anche se in alto a destra entra un piccolo spiraglio di luce dovuto ad un buco nel muro.

Non vedo assolutamente nulla, perciò la prima cosa che mi viene in mente è alzarmi e cercare una via di fuga... Ma proprio quando provo a farlo mi accorgo di un dettaglio molto importante.

Non riesco a muovere assolutamente nulla.

Mi guardo addosso e riesco a intravedere che le mie braccia, le mani, i piedi... tutto è legato con delle corde alla sedia su cui sono stata messa.

Provo questo dolore alla tempia sinistra talmente forte da non riuscire nemmeno a pensare lucidamente, credo di essere stata colpita molto violentemente perché altrimenti non si spiega.

Improvvisamente tutta la paura, l'ansia e l'angoscia che fino a poco fa sembravano essersi allontanata da me, tornano magicamente nel momento in cui il rumore proveniente da una porta in lontananza attira la mia attenzione.

Cerco in vano di mettere a fuoco la sagoma nera che piano piano si sta avvicinando a me, anche se il mio corpo continua a tremare per la paura.

Dopo qualche secondo una luce bianca si accende dal fondo della stanza, e dopo di lei quasi come effetto domino, altre 5 o 6 luci fanno lo stesso.

Chiudo istintivamente gli occhi ormai abituati al buio, e quando riesco ad aprirli di nuovo leggermente, davanti a me non trovo nient'altro che la figura dell'essere più disgustoso che possa mai esistere sulla terra.

<<Chi si rivede eh?>>dice mentre prende una sedia e si mette vicino a me.

Il mio disprezzo verso di lui in questo momento penso non sia misurabile, o per meglio dire descrivibile a parole.

Il solo averlo davanti a me mi fa venire il voltastomaco.

Lo guardo solo per trasmettergli la mia indignazione, la mia vergogna... Si, vergogna di essere sua figlia.

<<Oh... Come mai ora non parli, abbiamo perso un pó di grinta? >> dice beffeggiandosi di me mentre fa una risata inquietante.

Sinceramente stento a riconoscerlo.

Continuo guardarlo... Spera davvero che queste sue battute patetiche possano in qualche modo scalfirmi?

<<Bene mettiamo subito in chiaro le cose qui... - dice iniziandomi a spiegare le sue "regole" - d'ora in poi farai quello che dirò io, parlerai quando lo dirò io, non esisterai più per il mondo intero... >>

Si avvicina piano piano a me e si piega fino ad arrivare vicino alla mia faccia, mentre con la mano si sorregge alla sedia e mi sussurra con cattiveria:

<<hai avuto il tuo momento di gloria, hai pensato di essere "amata" -dice con tono sprezzante-di avere degli amici, delle persone che addirittura tenessero a te... Quando in verità non hai nessuno, perché nessuno tiene a te, nessuno penserà mai che tu possa valere qualcosa... >>

Sapete... se solo si fosse fermato a questo non avrei fatto nulla, ma poi lui ha deciso di continuare, di rincarare la dose, e quando si arriva a quel punto la mia lingua è difficile da fermare.
Soprattutto quando si nomina mia madre.

Infatti continua dicendo:
<<Sei tale e quale a tua madre, inutile e senza valore>>

I suoi occhi sprigionano cattiveria, e sinceramente sembra quasi essere andato fuori di sé.

-You Saved Me-One direction, Harry Styles Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora