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«Se non apri questa cazzo di porta la sfondo» sono distesa sul letto di una stanza sconosciuta, con Edward che sta prendendo a pugni la porta da un bel po' e una voglia incontrollabile di piangere.

Inoltre sono sicura di essere dello stesso colore dei miei capelli a causa della sua frase di poco fa e per un altro tipo di...ehm...voglia che ha scatenato.
Chiamiamola voglia a luci rosse.

Per evitare di saltargli addosso in quel momento ho scelto la strada più semplice: sono corsa al piano di sopra, ho aperto la porta che mi ispirava di più e mi sono chiusa dentro prima che lui potesse prendermi di nuovo.

Non ci sono bagagli né oggetti personali qui, quindi credo di non essere né in camera dei due fratelli né in camera di Rose.
Ogni angolo é completamente spoglio: le pareti, i cassetti, le mensole, tutto é così vuoto da mettere i brividi. Gli spazi che ho visitato fino ad ora, dall'ingresso al corridoio, sono curati nei minimi dettagli e arricchiti da tappeti, quadri, piantine da interno o qualsiasi tipo di accessorio che rende l'abitazione accogliente e piena di vita.
Tutto qui invece, trasuda solo desolazione e tanto, tantissimo dolore.

Ho come l'impressione che in passato ci fossero numerosi ricordi a decorare ogni insignificante spigolo, forse troppi per il proprietario della stanza.
Sono quasi certa che ciascuna memoria sia stata strappata via e buttata chissà dove, in qualche angolo oscuro di questo luogo o di qualche cuore.

Questa non è decisamente la stanza per me, c'è troppo vissuto nascosto tra la polvere.

«Penny, conto fino a tre» sento Edward parlare dopo un'infinità di pugni e imprecazioni.
Forse sarebbe stato meglio se avesse sfondato direttamente la porta e io non avessi sentito la rabbia nella sua voce.

Ora mi uccide.

«Uno...» inizia dopo attimi di silenzio.
«...Due...» dal tono con cui parla sto seriamente pensando di andare ad aprire e farmi ammazzare.
«...Tr-» spalanco la porta prima che venga scardinata e lo trovo eccessivamente vicino a me.

Senza neanche alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi, mi volto e mi rigetto sul letto a pancia in giù con il viso immerso nel cuscino.

Non voglio parlargli, non voglio sentire la sua voce, non voglio averlo così vicino.
Non ora.
Sono troppo arrabbiata per fare qualcosa che non sia piangere o urlare e preferirei restare sola a crogiolarmi nel dolore piuttosto che sentire il suo sguardo ardermi addosso come ora.

Non lo vedo ma so che mi sta fissando da quando è entrato, e questo non fa altro che aumentare la corsa del mio cuore.

Perché deve farmi sempre questo effetto?
Perché non riesco a mantenere una posizione quando c'è di mezzo lui?

É così snervante non riuscire a controllare le azioni del proprio corpo, non essere capaci di stabilizzare la respirazione o evitare di far salire il cuore in gola fino a non essere in grado di deglutire.

«Non lo guardare»
Solo un attimo, voglio capire perché non parla.
Stava per buttare giù la porta pur di riuscire ad entrare e ora che è qui neanche mi rivolge la parola?

Non che io lo voglia, sia chiaro.

Però cercando di non farmi sgamare (e fallendo pietosamente), sposto di poco il viso dal cuscino e con l'occhio scoperto sbircio la figura di Edward ai piedi del letto: ha le braccia conserte, gli occhi puntati all'altezza della mia metà volto scoperta, ma lo sguardo perso chissà dove.

«Questa è la mia camera» dice dopo minuti interminabili passati a contemplarci a vicenda.

Ma in fondo, me l'aspettavo.
Un dolore così immenso non poteva appartenere ad altri.

(H)E(A)VEN ANGELS FALL IN LOVEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora