Capitolo 3

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Strizzo gli occhi sentendo la sveglia suonare prepotentemente sul comodino, allungo il braccio per poterla spegnere e donare così un po' di sollievo alle mie povere orecchie.
Mi alzo dal letto trascinandomi in cucina, dove mi attende un profumo di cornetti e cappuccino, e una mamma bella come il sole con il uno sorriso stampato in viso.
La guardo con la testa inclinata e con un mezzo sorriso, mentre mi gratto la testa, continuando a stare ferma sull'uscio della porta.

«Buongiorno amore»

Ma come fa a essere così di buon umore alle sei del mattino?

Biascico un «buongiorno» mentre mi metto a tavola, per saziare la mia fame, senza dire una parola. Lei, conoscendomi, mi sorride, sedendosi di fronte a me con una tazzina di caffè tra le mani.

Finita la colazione in totale silenzio, mi alzo e finalmente mi dirigo in bagno per prepararmi. Oggi è il mio primo giorno di università, finalmente ho l'opportunità di conoscere gente nuova, di farmi degli amici e di sfogare tutto sui libri di testo.

Per quanto possa essere esilarante, amo studiare, mi incuriosisce tutto ciò che mi circonda, tanto che a volte penso di essere anche troppo. Ho sempre una domanda pronta per qualunque cosa, e ogni volta che succede, mi informo come meglio posso, fino a quando non trovo la risposta.

«Mamma io vado» urlo ormai davanti alla porta d'ingresso, «ciao tesoro!»

Esco di casa con lo zaino in spalla, dirigendomi verso l'università. Chiudo gli occhi per qualche istante, mentre mi godo il rumore della città con le auto che sfrecciano di prima mattina, l'odore di cornetti appena sfornati che fuoriesce dai bar, le chiacchiere della gente spensierata che si prepara ad affrontare una nuova giornata.

Iniziare da capo.

Iniziare da capo la mia vita, in un luogo in cui nessuno mi conosce, nessuno sa la mia storia e nessuno mi guarda con la tristezza negli occhi. Non penso esista cosa peggiore.

Passare tra i corridoi di una scuola, senza attirare gli sguardi di nessuno e vedere solo facce nuove.

Entro finalmente in aula, mi posiziono nei primi posti iniziando ad estrarre quaderni e libri dal mio zaino. Appoggio questo ai miei piedi e inizio a scrutare con occhi curiosi ciò che mi circonda: le pareti austere di un bianco candido donano all'ambiente un senso di vuoto, dinnanzi a me si presenta un proiettore con un telo bianco, una cattedra spoglia color panna e al mio fianco una sfilza di posti a sedere. Dalla porta continuano ad entrare studenti, alcuni soli e spaesati, altri che chiacchierano allegramente con il collega, le voci si accavallano tra loro creando nella stanza confusione, che si azzera nel momento stesso in cui si vede entrare il professore dalla porta.

«Ciao! Mi posso sedere accanto a te?»

Sono talmente concentrata a guardarmi intorno, da non essermi minimamente accorta che una ragazza si è appena seduta al mio fianco. I suoi due grandi occhioni neri mi osservano, mentre aspetta una risposta.

«Certo» le faccio un sorriso mentre continuo a osservarla: la sua figura minuta si accomoda nella sedia affianco alla mia, mentre inizia a sistemare anche lei il materiale che le serve. Una volta che ha posizionato tutto in perfetto ordine nel suo banco, si volta nuovamente verso di me, allungando una mano «scusami se non mi sono presentata, il mio nome è Sara»

Afferro la sua mano, stringendola «Amelie»

«Che bel nome! È molto particolare»

«Ti ringrazio»

Ora che ci penso, nessuno me lo aveva mai detto...

Interrompiamo la nostra conversazione non appena il professore inizia l'appello, seguiamo la lezione per tutta l'ora cercando di prendere quanti più appunti possibile, sentendo solo il rumore di tasti di computer, penne che sbattono contro il foglio nel banco e la voce del professore.

Quando finalmente ci congeda, raccolgo tutto risistemando le cose all'interno del mio zaino e, prima di alzarmi, mi giro verso Sara «ehi, ti andrebbe di accompagnarmi fuori per fumare?»

Si volta subito verso di me, guardandomi con il viso verso l'alto «certo»

Non appena usciamo, respiro una boccata d'aria fresca a pieni polmoni, dirigendoci nello spiazzo principale.

«Da dove vieni?»

Estraggo il pacchetto di Marlboro dalla borsa con l'accendino «Sono nata qui a Firenze, ma quando avevo sei anni sono dovuta partire a Roma per problemi di famiglia, sono tornata solo qualche settimana fa»

«Oh capisco, quindi sei semplicemente tornata a casa»

La sua delicatezza nel non fare domande mi rincuora, avevo paura che avesse fatto, innocentemente, domande sulle motivazioni per il quale io sia tornata qui, e invece mi ha solo fatto sentire a casa mia.

Le sorrido «sì, diciamo di sì» aspiro il fumo dalla sigaretta e subito le domando «tu invece? Sei di qui?»

«Sì, nata e cresciuta qui, purtroppo»

La guardo curiosa inclinando la testa da un lato, senza fare domande, mentre lei, dopo aver passato un paio di secondi di silenzio, continua «sarò strana, ma anche io a volte vorrei cambiare aria» il suo sguardo perso nel vuoto la assenta da tutto ciò che io potrei dirle, così le sorrido, abbassando la testa «è una città fantastica, sono contenta di essere tornata qui»

Lo dico con tutta la sincerità possibile, essere lontano da Roma e da tutto ciò che possa ricordarmela mi rasserena.

Quando rialzo la testa, vedo che mi osserva, ed è come se avesse già capito tutto «già... però deve essere bello scappare ogni tanto. Spero che ti troverai bene qui»

«Lo spero tanto anche io»

Quando vediamo il prossimo professore entrare nello spiazzo, butto la cicca della sigaretta a terra, calpestandola, e insieme ci riaddentriamo in classe, riprendendo tutti quanti i nostri posti.

A fine lezione, ci scambiamo il numero di telefono e, dopo averci dato appuntamento per il giorno dopo, ci salutiamo rientrando ognuno a casa sua.

Nel cammino verso casa, mi sento più tranquilla, ho la certezza di non essere sola i prossimi giorni, e spero che Sara possa essere una ragazza sincera, anche se prima di aprirmi, ci passerà del tempo, davvero tanto tempo.

Inevitabilmente tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora