Capitolo 4

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Una volta rientrata a casa, poggio la borsa nella mia stanza e mi sdraio due minuti sul letto; chiudo gli occhi mettendomi una mano sopra lasciandomi trasportare solo dall'oscurità che in quel momento mi circonda, sentendo solo il mio respiro pesante.

Mi alzo di scatto quando all'improvviso sento la porta della mia stanza, chiusa in precedenza, aprirsi di botto. Apro gli occhi tirandomi su con la schiena vedendo mia mamma sull'uscio della porta, con il grembiule da cucina addosso e un mestolo in una mano.

Acciglio lo sguardo rimanendo in silenzio, mentre lei continua a rimanere lì impalata.
Sorrido, raddrizzo la schiena e continuo a guardarla incrociando le gambe e chiudendo le braccia conserte.

«Ciao mamma, ti serve qualcosa?»

So benissimo che freme dalla curiosità di sapere com'è andata oggi. Da quando è successo quell'episodio, il suo comportamento nei miei confronti è diventato sempre più protettivo; vuole sempre sapere come sto, cosa mi passa per la testa e soprattutto cosa mi accade quando lei non c'è.

La vedo sbattere le palpebre più volte, come se si fosse resa conto solo ora della posizione innaturale che ha e di come è irrotta in camera mia.

Si sistema raddrizzando la schiena e muovendo il mestolo da una parte all'altra, facendo cenno di nulla.

«M-ma no amore, ecco...»

Inizia a balbettare e a muovere gli occhi da una parte all'altra, sicuramente sta pensando a cosa dire.

«Volevo solo avvisarti che il pranzo è pronto»

Chiude gli occhi per due secondi accennando un sorriso, mentre continua a rimanere davanti a me.

Sospiro ridacchiando «ah bene mamma, meno male perché sto proprio morendo di fame»

Mi alzo dal letto venendola incontro, così lei si sposta camminandomi davanti, fino ad arrivare in cucina.
Prende la pentola per versarmi il pranzo nel piatto, mentre io mi accomodo nella sedia.

«Allora, cosa mi racconti?»

Vorrebbe chiedermi com'è andata, quali sono le mie prime impressioni, come mi è sono sembrati i miei colleghi... ma si limita perché non vuole sembrare invadente, non vuole pressarmi.

«È andata molto bene mamma, ho anche conosciuto una ragazza»

Lei alza lo sguardo con un sorriso, «di già? Sono molto contenta per te!»

Le sorrido «grazie mamma, ti dirò che mi sento più tranquilla, almeno so di non essere sola»

«E dimmi, come si chiama questa ragazza?»

«Si chiama Sara»

«Tesoro voglio darti un consiglio: non chiuderti e non pensare che perché hai conosciuto "loro" allora tutti siano così»

Alzo gli occhi al cielo «si mamma lo so, non iniziare»

La vedo alzare le spalle, per poi alzarsi dalla sieda e ritirare i piatti ormai vuoti.
Mentre lei si preoccupa di lavarli, io mi cambio velocemente e vado a darle un bacio sulla guancia, «esco» le dico mentre afferro la borsa.

«Dove vai? Sei rientrata ora!»

Apro la porta urlando dall'ingresso per farmi sentire «vado in biblioteca, se resto qui mi addormento e non combino nulla. Voglio ripassarmi gli appunti presi a lezione. Torno alle 19»

La sento salutarmi, così chiudo la porta alle mie spalle, posiziono meglio la borsa e mi dirigo finalmente in biblioteca che, fortunatamente, è a dieci minuti da casa mia.

Entro dentro chiudendo la porta e salutando cordialmente la bibliotecaria, mi allontano addentrandomi e notando subito che è quasi completamente vuota. Al suo interno, seduto in un tavolo, c'è solo un ragazzo: i suoi capelli neri disordinati fanno intravedere i suoi ricci, la sua mano continua a toccarseli come se si stesse sistemando alla meglio, non riesco a non notare i lineamenti del suo viso così marcati, continuo a scrutarlo fino ad arrivare ai suoi occhi, verdi come lo smeraldo più bello, contornati da un taglio a mandorla che ora si posa su di me accigliato.

Come una gran sciocca, non mi sono resa conto di essere rimasta imbambolata a guardarlo per chissà quanto tempo, abbastanza però da sentirsi osservato e accorgersene.

Sento una vampata di calore sulle mie guance, non sapendo che fare giro la testa da una parte all'altra e corro a sedermi nel primo posto che trovo.

Prendo il quaderno degli appunti, e ripercorro tutto ciò che ha detto il professore, mentre lancio uno sguardo furtivo su quel ragazzo, così concentrato a leggere ciò che c'è scritto in quei fogli.

Il silenzio regna sovrano, si sente solo il rumore della penna che batte nel tavolo a furia di scrivere, un silenzio tanto bello quanto imbarazzante.

Non mi rendo conto del tempo che passa, ma quando alzo lo sguardo, non posso fare a meno di notare che fuori è già quasi buio, così accendo lo schermo del mio iPhone per vedere che ore sono e rendendomi conto che dovrei già essere a casa.

Prima che io possa sistemare tutto il mio materiale nello zaino, sento che il silenzio si interrompe bruscamente, non posso evitare di buttare gli occhi su di lui accorgendomi che anche lui sta ritirando tutto.
Ci alziamo entrambi nello stesso momento e ci incamminiamo verso l'uscita. Tutto questo è a dir poco imbarazzante.

Quando gli passo davanti gli accenno un sorriso che lui ricambia, poi mi metto le cuffie e mi incammino verso casa con quegli occhi verdi ancora nella mia testa.

Inevitabilmente tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora