Lascio questa casa con la convinzione di lasciar andare il mio passato una volta per tutte, con lui anche tutto il dolore e la felicità che ho provato fino ad ora.
Appena metto piede sul taxi, vedo mamma che mi guarda serena, le sorrido per poi afferrare il mio telefono e sbloccarlo, vedendo subito un'immagine casuale. Ho deciso di resettarlo, di lasciare solo il numero di mia madre ed eliminare soprattutto le canzoni e le fotografie. Quando ho deciso di iniziare tutto da capo, includevo pure questo.
Decido così di cercare canzoni nuove, metto youtube e mi faccio cullare da una playlist rilassante, ammirando il paesaggio intorno a me. Più ci allontaniamo dalla città, più mi sento sollevata e leggera, il mio viaggio verso l'università può avere finalmente inizio.
Ho deciso di prendermi un appartamento proprio lì vicino ed evitare di fare domanda per i dormitori del campus perché non volevo lasciare mia madre da sola. Un piccolo appartamento farà sicuramente comodo a entrambe.
Quando finalmente arrivo a Firenze, la città dove sono nata, rimango affascinata. Tutto attorno a me sa di storia e arte. Tra le strade brulica gente di ogni tipo: pittori che mettono in mostra le loro opere, ragazzi di strada che dipingono con le bombolette, bancarelle che contengono ogni genere di cosa e i palazzi altissimi.
Mi volto verso mia madre che mi guarda contenta, sapeva che tornare qui mi avrebbe fatto bene.
Quando finalmente arriviamo a destinazione, vediamo un enorme portone con tantissimi campanelli, siamo nei pressi dell'Università, questa zona è abitata principalmente da studenti.
Apriamo il portone e subito ci imbattiamo in due corridoi con al centro delle scale. Mi volto verso mia madre vedendola intenta a guardare sul suo cellulare, poi alza lo sguardo su di me «21 B.»
Mi avvicino alla porta più vicina «10 A» dico ad alta voce, «sicuramente è al secondo piano» ipotizzo. La vedo annuire e dirigersi subito verso le scale, così la seguo.
Attorno a noi un silenzio tombale, quando saliamo le scale mi avvicino nuovamente ad un'altra porta leggendo il numero «10 B», lei rimane ancora in silenzio, poi si volta senza dire una parola e continua a proseguire dritta davanti a se, quando la vedo finalmente fermarsi, capisco che siamo arrivate. Prima di aprire la porta mi osserva con un sorriso, poi inserisce la chiave e finalmente entriamo.
Ciò che vediamo intorno a noi è un semplice ingresso molto piccolo che porta alla cucina e al soggiorno, a destra si trovano le nostre stanze e un bagno. L'appartamento è molto semplice ma comunque accogliente, a me, onestamente, va più che bene.
Iniziamo a prendere familiarità con la casa, sbirciando un po' ovunque, quando sentiamo il mio telefono vibrare sul tavolo. Lo afferro e senza guardare chi sia, dato che è sicuramente un numero non registrato, rispondo «pronto?» vedo mia madre guardarmi con un viso inclinato e dubbiosa, mentre mi rispondono dall'altro lato del telefono «salve, siamo la ditta di trasporti, volevamo avvisarla che siamo esattamente davanti al vostro portone principale.»
Mi sbatto una mano sulla fronte, mi ero completamente dimenticata che avevo dato il mio numero.
«Oh sì certo, arriviamo subito!» dico frettolosamente, mentre mi metto la giacca e inizio ad avviarmi verso l'uscita, seguita da mia madre.
«Chi era?» urla mentre corre le scale «è la ditta dei trasporti, sono qui davanti» non mi fermo ad aspettarla, continuando a camminare frettolosamente, sentendola però parlare da sola «oh, sono già qui?»
Quando arrivo al portone lo apro, vedendo i ragazzi di qualche ora prima già con gli scatoloni fra le mani, mi fanno un sorriso mentre io gli apro il portone per farli entrare.
In mezz'ora hanno già portato su tutta la nostra roba, e mentre siamo intente a sistemare, mi capita fra le mani nuovamente quel pupazzo. Mi avvicino a mia madre, mostrandoglielo «te lo ricordi?»
Sorride, annuendo «come potrei dimenticarmi...» si sistema i capelli dietro l'orecchio, mentre me lo prende dalle mani «chissà chi era quel bambino...»
Alzo le spalle «la vera domanda è: perché me l'ha dato?» mi pongo per l'ennesima volta quella domanda a cui, in vent'anni, non ho mai saputo dare una risposta, ma che continua a balzare in testa come una molla.
La vedo avvicinarsi a me e darmi il pupazzo, prima di voltarsi e riprendere ciò che stava facendo, mi risponde «spero solo con tutto il cuore che qui potrai trovare la risposta che cerchi.»
Lo spero anch'io, mamma.
Dopo aver disfatto solo la metà degli scatoloni, mi siedo nel divano mentre lei prepara la cioccolata calda, quando ha finito si siede affianco a me, mi avvicina il vassoio e poi, quando ho preso la tazza, lo appoggia sul tavolino di fronte.
«Hai pensato che forse qui potrai rivedere quel bambino?»
Mi giro verso di lei stranita, «è cresciuto, non riuscirei mai a riconoscerlo» cerco di essere più realista possibile, mentre lei scuote la testa «non sono d'accordo» continua «a volte il destino gioca brutti scherzi, Amelie».
Abbasso lo sguardo, tornando improvvisamente seria «penso che con me abbia già giocato, e anche molto male» osservo quella tazza ormai semivuota.
Tornano in me tutti quei ricordi che io avevo deciso di dimenticare, ma con tutta la buona volontà che io ci metto, purtroppo è ancora tutto inutile.
Sento il tocco di mia madre, mi accarezza il viso delicatamente e mi sorride serena «non sempre, tesoro» mi osserva con dedizione, mentre sento il calore del fuoco davanti a noi «seppure ho trovato un uomo come tuo padre, mi ha comunque donato te, che sei il senso di tutto», anche in lei, tutt'ora, continuano a tornare quei ricordi, però riesce impressionabilmente a farli diventare forza per continuare a vivere, mentre a me buttano sempre più giù.
«Per una situazione che ti farà star male, ce ne sarà un'altra che ti farà felice» termina il suo discorso, mentre sposta lo sguardo verso il fuoco.
«Spero che tu abbia ragione» dico con rammarico, posando il mio sguardo su di lei.
«Vedrai! Se ti è successa una cosa del genere, dovresti esserne felice» afferma, riferendosi al pupazzo.
«E perché mai?» mi volto nuovamente verso di lei, cercando di capire quale sia il fine del suo discorso.
«Amélie il destino non guarda in faccia nessuno, ricordatelo! Se ti è successo quello, c'è sicuramente un perché»
Come al solito inizia a farsi portare via dalla fantasia. Sbuffo sonoramente alzando gli occhi al cielo «in ogni caso, destino o no, non voglio sentir parlare di ragazzi per almeno cinque anni», sono stanca di stare male, e di riporre il mio cuore in mano a chi ha il potere di spezzarlo.
La sento sospirare, mentre si alza dal divano, prende la mia tazza ormai vuota e senza guardarmi si incammina verso la cucina «quando troverai chi davvero si prenderà cura di te, ti innamorerai anche senza che tu te ne accorga» si volta verso me, guardandomi dritta negli occhi, mentre io mi perdo nei suoi, consapevole che ciò che mi sta dicendo è frutto di tutto ciò che ha passato «non chiudere i tuoi sentimenti e non chiuderti nella tua solita bolla difensiva, non sono tutti come quei due» sento lo schifo nel pronunciare quelle due parole.
Ha ragione, ma sarà comunque molto difficile fidarmi nuovamente di qualcuno.
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Inevitabilmente tu
RomanceAmelie è una ragazza tradita dalle persone a cui avrebbe dato il mondo: il suo ragazzo e la sua migliore amica l'hanno ferita talmente tanto, che l'unica via di fuga da quel dolore così straziante, è solo quella di fuggire via e di ricominciare da c...