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Trascorsero altri cinque giorni.
E fui pronta per uscire dall'ospedale.
Raccattai tutte le mie cose con una leggera ansia. Decidere dove andare fu strano. Non conoscevo la città, non avevo idea di dove poter alloggiare con il poco denaro che possedevo.
Così quando passò il primo autobus, ad una fermata accanto all'ospedale, vi salì sopra.
Contai cinque fermate prima di scendere in periferia. E fui davvero fortunata quando trovai un bad and breakfast, sciatto.
Riuscì a prenotare una camera sotto gli occhi attenti di un' anziana signora. Probabilmente stava osservando la mia faccia pallida, la ferita mi faceva male ma non avevo intenzione di fermarmi in un corridoio macabro ed essere importunata da qualche malintenzionato.
Quando mi chiusi la porta alle spalle presi un respiro profondo, finalmente potevo rilassarmi.
In quell'attimo capì che l'ansia che mi aveva accompagnato non era solo il nervosismo di non sapere dove andare, ma anche di stare compiendo delle azioni sotto lo sguardo altrui.
Mi sentivo osservata.
Mi riscossi rapidamente, entrando nel piccolo bagno per fare una doccia calda.

Quella sera cenai a base di snack di un distributore, in un pigiama comodo.
La cosa che più mi aveva stupita, cercando nel borsone, era stato trovare una delle sue magliette.
Ero scoppiata in un pianto a dirotto, con tanto di singhiozzi, che avevo cercato di smorzare visto le pareti sottili della stanza.
E adesso me ne stavo lì, stesa su quel letto dalle lenzuola consumate con la sua maglietta e un paio di shorts a farmi da pigiama, con il cuore a pezzi.

Non avevo idea che il cuore potesse fare male, non avevo idea che si potesse soffrire così tanto.
Avevo conosciuto un uomo fantastico e lo avevo amato.
Ma era finita. E forse dovevo convivere con quell'esperienza bruciante per il resto della mia vita.

Con quella consapevolezza caddi in un sonno profondo, stanca per lo sforzo e per la ferita dolorante.
Fu un grosso boato, simile ad uno sparo che mi fece sussultare nel sonno, balzai a sedere come una molla.
Il cuore, quell'organo malandato, mi saltò in gola mentre mi sollevavo in piedi e mi infilavo le scarpe. Qualcosa non andava. E il rumore sembrava provenire dalla stanza accanto e sembrava avvicinarsi sempre più.
Il cartongesso delle pareti sembrava esplodere ad ogni colpo, come una raffica di proiettili.
Non avevo intenzione di aprire la porta, mentre colpi decisi battevano sul legno, ma quando essa fu sfondata un grido si scatenò dalla mia bocca.
Sollevai le mani in un gesto automatico mentre tutto intorno a me si faceva confuso. Sbarrai gli occhi quando un soldato vestito di nero, con una grossa maschera mi afferrò per le braccia,spaventata graccai una preghiera prima di svenire.
.

Quando mi risvegliai la confusione fu la prima cosa che avvertì, come la nausea. Mi voltai di lato sulla brandina e respirai profondamente per evitare di vomitare. Una mano mi accarezzò la schiena e io cercai di capire a chi appartenesse.
Una donna dall'aspetto esile mi sorrise. I capelli biondi corti avvolgevano un volto sottile, pallido con due profondi occhi verdi.
-Va tutto bene. Sei al sicuro, ora.-
-Chi sei?- domandai con voce rauca.
-Mi chiamo Emilia, Lia per gli amici.-
Scossi la testa mentre mi tiravo su a sedere e osservavo la stanza in cui mi trovavo.
-Perchè sono qui?-
Mi sorrise rassicurante mentre si incamminava verso un mini frigo e ne tirava fuori una bottiglia d'acqua.
-Tieni. Bevi. So che il siero ti fa sentire confusa e molto assetata.-
Annuì grata.
-Non hai risposto. Perché sono qui?-
-Lo scoprirai presto.-mi sorrise mentre usciva dalla stanza. Ritorno su i suoi passi e mi rivolse un cenno. -Vieni oppure no?-
Ma che diavolo...
Mi sollevai e la seguì barcollando lungo uno stretto corridoio dalle pareti grigie, constatai di essere vestita nello stesso modo, con persino le scarpe ai piedi.
Ed ero stata probabilmente molto fortunata.
-Cosa sarebbe questo posto?- chiesi mentre arrivavamo in uno largo spazio occupato da pochi divanetti e una TV.
Emilia ignorò la mia domanda, invece sorrise avvicinandosi ad un alto uomo dai capelli corvini.
Mi bloccai osservandolo sbigottita.
Gli occhi scuri dell'uomo passarono in rassegna la donna al suo fianco con una dolcezza infinita, poi si rivolsero verso di me. Era lo stesso uomo che mi aveva portato la borsa in ospedale!
-Benvenuta!-
-Dove sono?- ripetei ancora mentre lui mi faceva segno di seguirlo.
-In una struttura di sicurezza, tre piani sotto terra di puro cemento. Sei al sicuro, non siamo noi i nemici.-
-Tu... sei venuto in ospedale.-
-Sì. Il piano era quello di fare credere a tutti che tu e Xandar aveste rotto.-
Sussultai, mentre ci fermavamo davanti ad una porta.
-Il piano?-
-Non dovrei dirtelo. Ma voglio che tu sappia che non è stato facile per lui.-
Sbattei le palpebre mentre apriva,con il braccio ed un sensore, la porta. Mi fece cenno con la testa di entrare e io mi ritrovai a seguire l'ordine.
Mi fermai mentre la porta alle mie spalle si chiudeva con uno scatto e rimasi a fissarlo.
Lui era lì. In piedi. Sembrava mi stesse aspettando.
I suoi occhi azzurri mi percorsero dalla testa ai piedi con avidità e mi sentì a disagio indossando ancora quel pigiama improvvisato e le scarpe da ginnastica consumate.
La sua espressione mi sembrava concentrata mentre osservava il mio viso e scivolava in basso ad osservare tutto il mio corpo. Rabbrividì, stringendomi nella sua maglietta, che sicuramente aveva riconosciuto.
-Come ti senti?- mi chiese con dolcezza avvicinandosi. Notai le rughe attorno agli occhi, quelle occhiaie così vistose sul suo viso perfetto.
Rimasi ferma mentre il mio cuore scoppiava nel petto. Non avevo idea se fosse solo un sogno o se invece...

-Sto bene...- sussurrai.
-Sono sicuro che hai molte domande.-
Annuì mentre lui percorreva i pochi metri che ci dividevano e mi bloccava contro la porta. Fui avvolta completamente dal suo profumo mentre le sue braccia si poggiavano ai lati della testa per supportare il suo corpo in bilico.
-Ma adesso ho solo voglia di baciarti.-
Rimase sospeso mentre cercava il mio consenso.
Era un sogno?
Le mie mani si aggrapparono con forza alle sue spalle forti e mi tirai in punta di piedi per baciarlo sulle labbra.
Fu intenso e scioccante. La nostalgia, la mancanza di lui incrementarono la forza del nostro abbraccio.
Una delle sue mani mi strinse attorno alla vita mentre l'altra con una leggera pressione mi sfiorava il corpo come a capacitarsi della mia presenza.
-Mi sei mancata da morire.- mormorò sulle mie labbra prima di sollevarmi in braccio e portarmi di peso in una camera con il letto. Non persi tempo ad osservare in giro, ma mi dedicai ad imprimere un ricordo di noi due insieme su un letto scomodo.
Per molto tempo non ci fu tempo per parlare, se non per i nostri corpi nudi e le nostre mani e bocche avide.
Se era un sogno, non volevo svegliarmi.

Pɾσɠɾαɱɱα Mαƚҽʂ σϝ WυʅϝҽɾDove le storie prendono vita. Scoprilo ora