Capitolo 8

420 30 5
                                    

Uno ad uno, tutti gli studenti uscirono dall'aula. 

Quell'anno aprile arrivò lentamente, insieme ai primi giorni di sole e alla mia consapevolezza che Granger era una persona piuttosto interessante.

Iniziai anche io a raccogliere distrattamente le mie cose. Poi notai che Hermione era ancora lì, in piedi fra i banchi vuoti, i suoi occhi puntati su di me.

Veniva nel mio ufficio a fare lezione quasi ogni pomeriggio e la sua compagnia iniziava man mano a far parte della mia routine.

Io mi immobilizzai e la osservai meravigliato.

Lei si avvicinò piano, senza staccare gli occhi dai miei.

"Severus." 

In quel tempo speso insieme, mi resi conto della sua intelligenza, della sua curiosità e dedizione, della sua testardaggine. Eravamo più simili di quanto potessi immaginare.

Si fermò a pochi centimetri da me, il suo viso inclinato leggermente verso l'alto per guardarmi. Mi rivolse un tenero sorriso. 

Presto capii che tutte le mie paranoie erano infondate, e che potevo tranquillamente passare del tempo con lei senza che accadesse nulla di male.

Finalmente anche io mi mossi. Chinai la testa verso di lei, portando i nostri volti, le nostre labbra, a un soffio l'uno dall'altr--

Mi svegliai di soprassalato. Spalancai gli occhi e mi sedetti di scatto sul materasso. Ero completamente sudato e il cuore mi batteva a mille. Mi ci vollero diversi secondi prima di riconoscere la mia camera da letto e capire che era stato solo un sogno. Mi misi le mano nei capelli, serrai gli occhi e imprecai.

Appoggiai i piedi sul pavimento e mi alzai, con il respiro ancora affannato. Raggiunsi il bagno, aprii il rubinetto del lavandino e mi sciacquai la faccia a lungo, cercando di scrollarmi quelle immagini dal cervello. Alzai il viso verso lo specchio appeso di fronte a me, mentre l'acqua continuava a scorrere.

- Cazzo.

Vidi la rabbia formarsi sul mio volto. Strinsi la mano in un pugno e lo sbattei sul bordo del lavandino con un rumore sordo, facendomi ringhiare per il dolore.
Chiusi il rubinetto, appoggia la schiena alla parete e ad occhi chiusi mi lasciai scivolare a terra.

Quella maledetta ragazzina.

Davo la colpa a lei, chiedendomi perché non potesse semplicemente odiarmi e ignorarmi come tutti in quella maledetta scuola, anziché mettermi in mezzo a una situazione del genere.
In realtà ero infuriato con me stesso. Fin dall'inizio sapevo che quella ragazza avrebbe portato solo guai, prima ancora che intuissi il perché. Dovevo lasciar perdere, fin dall'inizio. Invece no, mi ero lasciato coinvolgere, mi ero autoconvinto che sarebbe andato tutto bene, e ora ero seduto sul pavimento del bagno, in pigiama, sudato e con una mano dolorante.

Ho quasi vent'anni in più di lei.
Sono il suo professore.

Cosa diavolo sto facendo?!

Rimasi lì seduto, a insultarmi con le mani in faccia, per quelle che mi parvero ore. Alla fine mi tirai su a fatica, cercando di convincermi che in fondo non avevo fatto niente di grave, e che tutto ciò non doveva necessariamente avere delle conseguenze.

Era solo un sogno. Non significa nulla.
Solo uno stupido sogno.

Ciononostante, quel giorno non ebbi il coraggio di incontrarla. Volevo a tutti i costi posticipare la lezione che avremmo avuto nel pomeriggio, ma non avevo alcuna intenzione di parlarle faccia a faccia.
Rimandai la faccenda fino a quel pomeriggio quando, camminando nei corridoi, mi imbattei in Harry Potter. Non appena mi vide, si fermò sul posto e trattenne il respiro. Era orario di lezione e evidentemente non doveva trovarsi lì.

Oro e ArgentoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora