Sogni

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Yu è andato via.

Mi manca, tanto.

No ma che dico. Non si può dire solo tanto. È immenso il vuoto che provo.

Nei polmoni entra l'aria, ma non la sento. Come se mancasse l'ossigeno.

Posso paragonarlo a lui, un elemento fondamentale per la mia vita.

Ormai siamo alla fine di giugno, è passato un mese da quando lui è partito.

Ho provato a chiamarlo, ma risponde subito la segreteria telefonica.

Ogni volta che ci riprovo, mi vengono in mente le telefonate serali in cui gli raccontavo la giornata.

Voleva sapere com'è la vita di un ragazzo normale. Senza problemi come i suoi.

I suoi eventi preferiti erano le mie figuracce in pubblico, mi prendeva sempre in giro.

Arrossivo terribilmente, meno male che non mi vedeva, non volevo sembrargli un timidone.

Entro nella mia camera da letto, fisso ogni dettaglio di essa oscurato dal buio della notte.

Tiro la tenda e guardo fuori dalla finestra, il cielo è pieno di nuvole. Le stelle non si vedono.

Ho l'impressione che senza di te non le rivedrò mai più.

Penso, e ci credo veramente.

I miei ricordi con te mi salgono tutti insieme e mischiati quando non riesco a concentrarmi.

Uno in particolare, uno dell'ultima sera.

Io ti ho sentito, Yu.

-Yūichirō! Mi chiamo così! -

Hai infranto due regole per me, il mio cuore fa i salti di gioia per questo.

Le regole per te sono tutto.

Appoggio le mani sul pianerottolo di marmo della finestra. La fronte sbatte contro il vetro di essa.

Potevo venire con te.

Ma non l'ho fatto, perché sono uno stupido e non mi è venuto in mente quando eravamo insieme.

E adesso siamo separati.

Stringo i pugni, trattengo le urla in gola.

Mi manca...

Mi manca!

Indietreggio, mi getto all'indietro cadendo sul letto, la testa finisce tra i cuscini.

È colpa mia... Dovevo dirgli che mi piaceva fin da subito, invece ho aspettato mesi!

Le mani finiscono sulla mia faccia in preda alla disperazione.

Dovevo chiedergli quale accademia...

Mi porto le gambe al petto, le stringo con le braccia.

Dovevo salvarlo subito da quella sua vita di merda... Perché non ho fatto niente!?

Spiaccico la faccia sulle coperte azzurre e urlo, in modo da non propagare il suono e farlo sentire in tutta la casa.

Prendo a pugni il materasso con una mano, l'altra stringe la zona del petto che contiene il cuore.

Eri finalmente mio, solo e solamente mio...

"Sono uno stupido!"

Grido, cercando di liberare tutta la rabbia che avevo accumulato.

Le parole riecheggiano tra quella quattro mura.

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