2. La scuola

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Nuru entrò alla seconda ora, lo zaino che gli pendeva sulla schiena e le cuffie di nuovo infilate nelle orecchie.

Ruzzolò dentro la classe sovraffollata, allisciandosi i pantaloni della divisa scolastica e balbettando delle scuse.

Era l’ora di matematica, la professoressa Harunani non era tra le più severe, ma lo guardò comunque con un sopracciglio alzato che quasi sparì alla base del suo hijab.

La donna, vestita di nero con un velo colorato a coprirle i capelli, lo squadrò con aria di rimprovero aspettando una giustificazione.

«Mi scusi» mormorò, infilando le mani nelle tasche per l’imbarazzo. «Ho avuto un contrattempo venendo a scuola.»

«Siediti, avanti. Sei stato segnato assente, dovrò correggere il registro.»

«Sì, signora. Subito, signora» rispose, infilandosi tra i banchi ammassati e passando accanto al piccolo ventilatore che tentava invano di raffreddare la stanza rovente.

Arrivò al suo banco e si sedette. Notò che era stato inserito un altro banco singolo scalcinato, tra il suo e quello di Larry, quasi attaccato. Guardò Qaali con aria interrogativa e quella scosse la testa, arresa ai suoi disastri.

I suoi compagni erano tutti seduti composti di fronte all'insegnante, con le loro divise scolastiche immacolate: dei pantaloni blu e una camicia bianca per i ragazzi, con sopra il distintivo col logo della scuola – il Corano aperto con una penna e il calamo – e una gonna blu al ginocchio e una camicia bianca per le ragazze, con il velo a coprire la capigliatura.

Hassan si voltò verso di lui, dal banco proprio davanti al suo. «Si può sapere perché sei venuto a quest’ora?»

«Ho beccato uno mzungu da solo a cercare di salire su un matatu per Lighthouse, doveva andare a Nyali, così l’ho accompagnato.»

«Hai scarrozzato da solo uno mzungu sino a Nyali?» chiese Hassan, scuotendo la testa. «Solo uno come te poteva farlo. Che dirai a tua madre?»

«Non ci ho ancora pensato. La verità, credo.»

«Ti ucciderà. Lo sai questo, vero?»

«Certo che lo so...» borbottò, nel tirare fuori il quaderno di matematica. «In realtà, non so neanch'io perché l’ho–»

«Silenzio!» la voce imperiosa della signora Harunani lo fece saltare sulla sedia. «Mutuku, siamo a pagina centosette. Apri il libro e ascolta la lezione.»

«Scusi, signora» mormorò, mentre si arrabattava a prendere il libro dal suo zaino vecchio e slabbrato.

Quella lezione sarebbe stata sugli integrali, lui aveva sempre amato la matematica, e la professoressa Harunani era una della sue preferite, era buona anche se severa, gentile ma esigente.

La lezione continuò senza intoppi, ma lui non riuscì a seguirla, la sua testa era altrove. Il suo sguardo si perdeva sulla lavagna e la sua mente tornava a quel ragazzo pallido dagli occhi chiari, l’aria spaesata ma una vitalità nello sguardo che quando l’aveva vista gli aveva smosso qualcosa dentro e a ripensarci lo faceva sorridere.

Quando la Harunani finì la sua spiegazione, lui non ne aveva ascoltato una parola. La campanella suonò e fu tempo di ricreazione, così Qaali lo destò dai suoi viaggi mentali e lo esortò ad andare in cortile.

Furaha // alla ricerca della felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora