18. Catarsi

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Appena tre giorni dopo, gli diedero una notizia gli fece gelare il sangue nelle vene.

«Nuru, c’è uno mzungu che vuole la roba. Ha chiesto di te.»

«Uno mzungu

«Sì, con la stampella, non so che ci faccia qui. Gliene serviva parecchia, così l'hanno portato da Muzzamil.»

Merda. Merda, merda, merda.

Non Raffaele da Muzzamil, cosa cazzo ci faceva lì? Cosa gli avrebbe detto? E Muzzamil? Che gli avrebbe fatto? Non poteva lasciare che si avvicinasse a lui, non poteva.

Uscì di casa di corsa, lasciando Lela a badare ai fratelli. Non sentì neanche i polmoni scoppiare e le gambe fargli male, sapeva solo di dover fare presto, sapeva solo che doveva correre come non aveva mai corso in vita sua.

La baracca di Muzzamil non era troppo lontano da casa sua, più verso il centro del quartiere, inglobata dalle altre baracche di lamiera e dalla terra bruciata e dal fango.

Nuru arrivò là in pochi minuti, col cuore che gli bruciava nel petto, ansimante, la milza che gli doleva per la corsa. Entrò in casa di Muzzamil senza nemmeno annunciarsi, ruzzolando all’interno, e lo vide. Aveva sempre la sua stampella e sempre il braccio legato al collo, stava tra due degli uomini di Muzzamil e lui gli stava parlando.

«Che succede?» ansimò, le guance bollenti dopo la corsa forsennata.

Muzzamil portò gli occhi su di lui. Sorrideva, il che non era mai un buon segno. «Questo mzungu è tuo amico?»

No. Quello mzungu era l’amore della sua vita. «Tutto a posto. Lui è con me.»

Sentì il coltello bruciare nella tasca dei jeans, e pensò per la prima volta che avrebbe potuto usarlo sul serio.

Raffaele sembrava perso, era più pallido del solito, e davanti a Muzzamil sembrava ancora più magro. Lo guardava con gli occhi azzurri spalancati dal terrore.

«Venendo ha detto di volere venti grammi di roba, ma ora è saltato fuori che non ha i soldi per pagarla.»

«Mi hanno rubato tutti i soldi. È stato lui a farlo» protestò, indicando Yusuf, uno dei favoriti di Muzzamil.

«Io non ho fatto proprio niente.»

«Invece sì. Mi hai minacciato col coltello, mi hai preso il portafoglio e mi hai portato qui.»

Yusuf alzò le spalle. «Mi sembra solo strano che uno mzungu con la gamba rotta sia venuto sin qui sapendo da chi comprare, a chiedere tutta quella roba. Pensavo valesse la pena indagare un po’.»

«Garantisco io per lui» intervenne Nuru, prima che gli animi si scaldassero. «È pulito.»

Muzzamil iniziò a giocherellare con la pistola sul tavolo sbilenco. «Nuru, tu non puoi andare in giro a dire ai turisti quello che fai, lo sai, vero? Se qualche voce esce da qui e si può risalire a me...»

«Non è un turista e non dirà nulla. Te lo giuro. È una persona di fiducia.»

«Pensa bene a quello che dici. Se c’è il rischio che spifferi qualcosa non posso lasciarlo uscire da qui, lo capisci, vero?»

Non sarebbe uscito neanche lui, senza Raffaele. Se avessero voluto fargli del male… cazzo, se avessero voluto fargli del male avrebbero dovuto ammazzarlo prima.

Lo guardò, notò che era impallidito ancora. Non avrebbe potuto lasciare che lo toccassero. Non l’avrebbe permesso.

Prima pensò di tirare fuori il coltello e minacciarli, ma erano troppi, Raffaele era ferito, non sarebbero andati da nessuna parte in quel modo. Pensò di iniziare a pregare, allora, di supplicare di non fargli niente, che lui non avrebbe parlato, lo giurava su tutto quello che aveva, che ammazzassero Nuru al suo posto per il disturbo, tutto ma non fargli del male.

Furaha // alla ricerca della felicitàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora