Non so per quanto tempo rimasi immobile. Non mi ero accorto, all'inizio. Forse per pochi secondi, minuti, ore. Il freddo mi aveva intorpidito le dita, mi aveva congelato da dentro, dalle ossa alla pelle, rendendo tutto così doloroso da non farmi più muovere. Il ghiaccio mi scoppiava nel petto, nel cuore; le vene si potevano definire cristallizzate. Sentivo di poter esplodere in migliaia di pezzi, in tante piccole schegge di cristallo taglienti e ardentemente fredde. E se qualcuno ci avesse camminato sopra, si sarebbe ritrovato con i piedi martoriati, sporchi di sangue e lividi, urlante di dolore con le lacrime copiose già sulle guance. Forse mi ero anche addormentato, magari quella proiezione di dolore era stato il mio breve ma intenso sogno. Chi può dirlo. In quell'arco di tempo nell'inconscio, dopo il primo sogno strano, credevo di aver sognato il mio peggiore incubo. L'ansia arriva a ondate, come dei secchi d'acqua gelata dritti in faccia, inaspettatamente. Mi ritrovai in un giardino dall'aria familiare e strana, sconosciuta al tempo stesso; sembrava un'antica rovina piena di erbacce. Era come stare in un labirinto infinito senza capo né coda. Dinanzi a me c'erano delle mura immense, ciclopiche. Ero nel centro del labirinto, da quel che avevo afferrato: uno spiazzo di terra e roccia mi circondava. Delle strade, simili ad antiche rovine romane, piene di archi e colonne, statue di divinità diverse e inquietanti, congiungevano tutte in quel punto. Contandole, in tutto erano dieci. No, avevo sbagliato a contare, erano undici. Ora però erano quindici... diciotto. Continuavano ad aumentare, io non ci capivo più niente, non sapevo dove andare, quale percorso prendere, quindi ne scelsi uno a caso. Stavo giusto per intraprenderlo, quando... Da sud giunse un richiamo. Poi due. Poi tre. Non riuscivo a distinguere la differenza tra suono di animale, o magari una macchina, qualsiasi cosa... Il rumore si avvicinava e, man mano che lo faceva, mi sentivo più intimorito. Non sapevo da che cosa provenisse o da chi quel suono. Sapevo solo che non poteva portare nulla di buono. Mi accovacciai facendomi sempre più piccolo.D'un tratto mi ritrovai a immaginarmi all'età di sei anni, quando mi persi in un centro commerciale, che mia madre non era ancora morta, e per la preoccupazione era andata in panico, tanto che svenne e la portarono in ospedale. Io ero nascosto in una cavità, incastrato tra due porte di vetro fatte ad angolo, perfetto per osservare le persone e non essere visto, ed ero piegato su me stesso, inginocchiato, osservando mia madre su una barella con i medici a fianco. Mi tappai le orecchie con le mani, cercando di non sentire il suono dell'ambulanza, così fastidioso è assordante, ma gridai, come un pazzo dei manicomi o come si mi avessero tagliato le vene. L'attenzione fu rivolta a me. Era quello che desideravo, che tutti mi guardassero soffrire e che non fosse la mia mamma a dolersi. Un' infermiera mi prese in braccio, dicendomi che andava tutto bene, e mi appoggio sul sedile dell'ambulanza di mia madre diretta per l'ospedale più vicino. Guardai mia madre, così bella, pallida e esangue. La sua vita che sembrava risucchiata, sfinita, la mia invece troppo allegra e vivace. Mi trovavo accovacciato sulle ginocchia, a fissarla tra le fessure delle mie gambe magre, con gli occhi socchiusi. Poi, finì tutto, e tornai nel labirinto.
Tenevo le gambe piegate e la testa protetta da esse e dalle mie mani gelide. Spiai dalle piccola fessura tra le mie gambe ciò che stava fuori. All'improvviso vidi una sagoma, ma non la distinsi bene. Alzai la testa cercando di farmi coraggio. C'era un lupo. C'era un lupo davanti a me, in quell'istante.
Merda pensai, e ora come mi salvo il culo?
Iniziai a correre così forte da non sentire più i miei piedi toccare la superficie. Il lupo mi dava la caccia e non avevo una via di fuga. Bene. Perfetto. Fantastico. Continuai a correre. Qualcosa mi disse che se avessi smesso... non ci dovevo pensare, No. Concentrati. Correvo tra le mura senza una meta, in preda al più totale panico. Come potevo uscire? Come potevo non essere sbranato? Era finita, lo sapevo. Ma io non ci volevo credere. Quasi mi dimenticai della mia gamba finta perché nei sogni non c'era mai. Avevo due gambe sane su cui correre, quindi forza, corri Josh, corri. E fino ad ora, non ero mai uscito dalla finzione. Quindi... tutto ciò non stava accadendo davvero. Non sarei morto, perché era un mondo glissato, un posto surreale, finto. A quel punto ripresi il controllo di me stesso; che mi sbranasse quel cane bavoso e peloso: io ero immune. Mi fermai di colpo, stavo aspettando il momento fatidico. Con tutto il fiato in corpo, urlai: –Vieni, bastardo!– e mi sentii immediatamente sollevato. Il lupo mi trovò; era in fondo al vicolo. Aveva la bava alla bocca, gli occhi erano lucidi, i denti serrati in un ringhio inquietante. Le sue grandi zampe si mossero. Fece dei passi lenti, soppesati. E, dopo lunghi minuti, arrivò da me. Mi scrutava, come per vedere se scappassi; ma io non mi muovevo. Neanche respiravo. Ero così ansioso di farla finita che quasi non mi resi conto. Il lupo era su di me. Con una forza bruta, mi buttò a terra. Iniziò ad annusarmi; con i suoi artigli mi scorticava gli strati di pelle. Poi un dolore lancinante mi trafisse proprio alla gamba sinistra. Gemetti e imprecai. La mia fronte grondava di sudore appiccicandosi ai capelli e mi rendeva impossibile vedere la scena. Tanto valeva chiudere gli occhi. Così era meglio. Tutto questo non aveva senso. Se davvero fosse stato un sogno, o meglio un incubo, non avrei dovuto provare dolore. Non avrei dovuto sentire nulla. Avrei potuto svegliarmi e finire l'agonia. Ma non ci riuscivo. Ero bloccato, fino a quando non sarei morto dissanguato. Non potevo morire sbranato da un cane. Decisi di farmi forza e di conseguenza aprii gli occhi. Il lupo si stupì della mia scelta; lo fissai di traverso in quegli occhi neri e profondi, soprattutto inquietanti. Come se lo avessi pugnalato, si scansò da me immediatamente. Guaiva. L'ho spaventato? Oddio. Mi alzai cercando di non piangere e crollare. Mi aggrappai a una sporgenza del muro di roccia e, col fiato affannato, gli sputai nell'occhio destro. –Muori– gli dissi, come se potesse capirmi. Il cane iniziò a ululare come un dannato, sembrava che lo stessi torturando. Girava su se stesso continuamente, afferrò l'aria con le zampe anteriori e in fine si accasciò a terra. Smise di emettere suoni e di respirare. I suoi occhi divennero vuoti, senza vita. Era morto. L'avevo ucciso.
Solo dopo essermi finalmente svegliato ed essere tornato nella caverna buia e tetra, capii tutto. Io avevo un potere, il più pericoloso e potente che potesse capitarmi. La morte era nelle mie mani. Forse.. potevo fare anche il contrario. Magari sarei riuscito a far rivivere il lupo. Ma qualcosa mi disse che... era del tutto improbabile. Ma non impossibile.